Apr 20, 2018 - Senza categoria    Commenti disabilitati su EROS E MORTE (Claudio Cisco)

EROS E MORTE (Claudio Cisco)

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EROS E MORTE

Eros e morte

camminano insieme,

l’uno a fianco dell’altro,

dall’origine dell’universo

sino all’eternità.

Non può esistere il sesso

senza l’incombente presenza della morte,

e non si può morire per sempre

se non si sparge prima su questa terra il seme dell’amore.

Ogni essere umano comincia a morire

da quando un orgasmo lo genera,

e conserva nella memoria d’una lapide

parte di quell’amore che non separa la vita dalla morte.

Non c’è maga Circe capace di convincere Ulisse

col dono dell’immortalità,

e non esiste spada di Damocle sul punto di crollare

che spaventi l’uomo

perchè quest’ultimo, bramoso d’avere tutto e subito,

ostinato e vanitoso,

innamorato di quel breve soffio che è la vita,

è pronto a sfidare persino gli dei primeggiando

pur di amare e morire,

respirando fino all’ultimo alito di vita,

sfruttando anche l’ultima goccia di sangue che arrivi al cuore.

Dinanzi a tanta meravigliosa presunzione di vitalità

anche l’Onnipotente resterebbe senza parole.

 

 

 

MADRE E FIGLIO

Perchè sei così sporco, figlio mio?

sembri il figlio di nessuno!

Ho fatto l’amore per la prima volta, madre!

con una grande signora.

Perchè l’hai fatto, figlio mio?

c’è il tempo giusto per ogni cosa.

Volevo farlo, madre!

non volevo avere rimpianti.

Ma sei impazzito, figlio mio!

hai imboccato una strada sbagliata.

Forse sto sbagliando, madre!

ma abbiamo sentito di farlo sulla terra e nel fango.

Tu hai perso il senno della ragione, figlio mio!

non ascolti più neanche tua madre.

Io ti voglio ancora bene, madre!

ma oggi ho scoperto di avere un’altra madre:

è questa terra che stringo nelle mani,

e l’aria che sto respirando,

e la natura, il mondo, l’universo

e tutto ciò che mi sta intorno.

E quando mi sentirò triste e solo,

mi arrotolerò con gioia nel fango,

soffierò felice sulla polvere delle mie mani,

bacerò i fiori dei campi

e mi laverò la faccia con l’acqua dei ruscelli.

Non ti capisco e non ti riconosco più, figlio mio!

ma come parli?

Io invece ora mi conosco bene, madre!

parlo col linguaggio dell’amore!

E darei tutto quel che ho

pur di trasmetterti la felicità che ho dentro.

 

 

 

IL MIO CORPO SUL TUO CORPO

Il mio corpo sul tuo corpo

si muove lentamente.

Il mio corpo sul tuo corpo

si dimena dolcemente.

Voglio scoprire il tuo segreto,

sprofondare nell’intima tua essenza

fino a esplodere in te violentemente

svuotando il mio liquido nel tuo nido inebriante.

Ora che sono in te

non puoi più nascondermi nulla,

ho svelato il tuo mistero di donna,

io ti possiedo, so tutto di te.

Prepotente,

sono entrato nella tua inesplorata caverna,

e nei tuoi umidi anfratti

sto scivolando.

Sono io il tuo corpo.

Sono io l’universo.

 

 

 

 

 

 

BIANCANEVE

Ragazzini eravamo forse bambini

una decina circa non di più

8-10-13 anni al massimo

queste le nostre età.

35 anni aveva lei se ben ricordo

Biancaneve la chiamavamo noi,

per cinquemila lire il pisellino ci toccava,

per dieci lo succhiava.

Infine per trentamila l’amore faceva

e sempre con uno per volta

mai tutti assieme

o più di uno.

Com’era bella Biancaneve nostra!

Com’era dolce e comprensiva!

Come ci sapeva fare!

Un dolce segreto era e nessuno di noi mai parlò.

Per caso l’ho rivista dopo 30 anni e forse più

appesantita, invecchiata, sfiorita, la nonna pareva

di quella Biancaneve conosciuta allora

ma un sussulto al cuore ho avuto lo stesso nel vederla:

“Biancaneve!”

d’istinto le ho detto senza volerlo;

“Prego?”

mi ha risposto stupita lei.

 

 

 

 

 

LE TUE MANI

Le tue mani morbide più della seta

sfiorano con dolcezza il mio pene,

lo accarezzano,

lo stringono,

lo muovono.

Chiudo gli occhi

mi concentro su quel delizioso piacere,

sospiro piano,

mi abbandono vinto,

abbraccio l’estasi.

Come un trovatello ragazzino

stretto fra le tue mani,

il mio membro si lascia andare,

cresce sempre più

nell’eccitante movimento d’un’altalena.

Il cuore ora sembra scoppiarmi in petto,

incontrollabile diviene il mio respiro,

esplode come neve bianca

il succo del mio piacere

splendido dono per le tue sapienti mani.

 

 

 

 

 

AMPLESSO

I nostri corpi che si scontrano

e si possiedono senza tregua.

Pelle bollente,

segnata,

battuta,

e il sangue che scorre dentro

impazzito.

Fluisco dentro di te

come un’onda inarrestabile

che mi porta a riva,

e poi

mi spinge di nuovo al largo.

Scopro limiti che mi fai superare

ancora prima che io me li ponga.

Non resisto perchè non voglio resistere.

Prima ti penetro la mente con la mente,

poi il sesso con il sesso.

Il tuo corpo apre la folle danza del piacere

e il mio puntuale risponde.

Penetro in te in profondità.

E’ come se io stesso entrassi in me,

scavando tra emozioni e desideri

che non conosco

e scopro ogni volta come fosse la prima.

Ti accarezzo

come un soffio di vento

e mi scuoto quando esplodo in te,

quando godo nella parte più intima del tuo corpo,

quando esce l’animale che ruggisce dentro di me.

E in quei momenti,

possiedo anche la parte più intima

della tua anima.

Ti faccio gemere, urlare, tremare, godere, venire.

Per me tu sei sempre

completamente nuda

anche quando sei vestita,

mai ho desiderato tanto conoscerti!

possederti!

amarti!

 

 

 

 

TI POSSIEDO

Ti guardo negli occhi fiore del male

e poi ti bacio tirandoti i capelli.

Ti mordo forte le labbra,

ti strattono, ti sgrido, infine ti faccio gemere.

Stringo la tua carne fra le mie mani,

ti spoglio fin dove voglio,

ti costringo in tutto e per tutto.

Ti colpisco forte e non smetto

neppure quando mi supplichi,

poi piego il tuo corpo sul tavolo

e ti espongo, ti offro, ti apro.

Ti insulto,

ti faccio promettere l’impossibile,

m’impongo e dispongo di te,

ti infilo dietro qualsiasi cosa,

la forzo sempre più dentro lasciandola lì come dolce tortura,

ti ficco il mio sesso in bocca fino a non farti respirare.

Poi ti alzo il volto e ti guardo,

ti penetro col mio membro

riempiendoti di me e di altro.

Ignorando le tue lacrime

ti sbatto violentemente,

ti uso,

ti possiedo.

Non puoi più pensare ora

e nemmeno agire: kamasutra dammi l’estasi!

Finalmente ti ho dominata,

mi appartieni,

sei totalmente mia.

 

 

 

 

LEGATO

E’ inquietante

questa corda nera

come l’atmosfera che respiro

attraverso la benda.

Mi preme sulla pelle

e mentre imprime strani disegni su di essa

sembra che il fuoco divoratore di cui è capace

mi trasformi ammaestrandomi con disciplina.

In preda a questo vizio perverso

che mi hai insegnato,

non so difendermi

nè voglio, mi lascio andare sconvolto nei sensi.

Questa corda mi appartiene,

i suoi fili intrecciati m’immobilizzano

iniettando nei miei occhi

sete di sfida.

Le parti del mio corpo vibrano

imprigionate in quella ragnatela di piacere,

risalta inconfondibile il desiderio

di abbandonarmi completamente a te.

Se non fosse stato creato il piacere sessuale

quanti peccati legati ad esso

non sarebbero stati commessi!

E’ perché è considerato peccato se piace così tanto?

Può il piacere sessuale essere anche piacere dell’anima?

STRANE SENSAZIONI

Strane sensazioni pervadono il corpo e la mente

mi attraversano, mi riempiono, mi lacerano, mi annientano:

la frusta, le corde, le catene

tutto mi consuma.

Attraversato, riempito, lacerato e infine annientato

e poi ancora sconfitto, umiliato, usato

in qualunque gesto, in ogni parte del corpo.

Quale grande capacità possiedi!

Quante infinite sensazioni mi regali!

Che potente nettare di piacere mi offri!

Strane sensazioni mi vincono

fino a divenire un tutt’uno di orgasmi

in una perfetta simbiosi.

 

 

 

IL MIO IMPERO

Sono entrato prepotentemente

nella tua anima fortificata.

Inesorabile ho abbattuto ogni tua difesa

e conquistato la tua nuda terra.

E ora

senza nessuna clemenza, nessun mistero

ciò che un tempo era soltanto tuo

adesso è anche mio.

Mi muovo espandendomi dentro te,

come fuoco che brucia appare il mio pene

forte quando divampa,

umiliato quando si spegne.

Ma anche tu sei crollata senza scampo,

nel tuo fragile corpo ormai

ho costruito il mio impero.

Arrenditi a me!

 

 

 

 

PAGLIACCIO BAMBINO

Tu sensuale, invitante, carnale

magica e perfetta nelle tue assurde follie di donna.

Gemiti appena sussurrati,

orgasmi urlati a squarciagola

ma sei sempre tu, tu e soltanto tu

dolce e glaciale, candida e perversa,

lucente angelo meravigliosamente diabolico.

Tu carne e cibo della mia mente,

pericoloso rifugio per la mia anima,

cavallone impazzito che travolge il mio mare di insicurezza.

Sento di essere un uomo

solo nell’istante in cui vengo in te,

poi torno e resto per sempre

pagliaccio bambino.

 

 

 

 

 

LA FINE DELLA MAGIA

Il mio respiro,

il suo.

Il mio battito,

il suo.

I respiri che si accordano

ritmici,

affannosi,

incalzanti,

ansimanti.

Il cuore

batte, batte, batte

tutto il petto batte,

pulsa in gola,

pulsa nell’anima.

I pensieri assumono lo stesso ritmo,

la stessa intensità,

si uniscono,

si esaltano.

Un crescendo folle e continuo:

vertigini,

ronzii,

la mente

che ha lasciato ogni controllo.

Le emozioni

sono padrone dei corpi.

Avvinghiarsi,

rotolarsi,

ubriacarsi,

urlare.

Secrezioni,

sudore,

saliva,

odori intensi.

Segnale della fine

o è solo l’inizio?

Silenzio…

assaporando la fine della magia.

 

 

 

 

 

 

SOLO UN ISTANTE

Il cuore che scoppia,

il respiro affannoso.

Esplodo finalmente

come unico rimedio

per non impazzire di piacere

ma è solo un istante!

La mente si svuota,

lentamente sento uscire

poco a poco ciò che è di lei.

Non sento più le mani, le gambe

non so più chi e dove sono:

odore, sudore, respiro

non sento più nulla!

non ho più un corpo,

mi sfugge l’anima.

E’ solo un istante,

poi mi sento leggero.

Una piuma che lieve

si culla tra le nuvole

in un cielo immenso

e mai si posa.

Rientro di colpo nella realtà

disteso sopra il suo corpo abbandonato:

ho soltanto amato!

 

 

 

 

 

FRA LE TUE COSCE

Ora che mi ritrovo fra le tue cosce

vorrei stare fermo per un istante:

donna di terra e di acqua

plasma la mia nella tua intensità!

invadi anche la mia mente!

prendi tutto del mio essere!

Io cane fedele d’ogni tuo desiderio

desisto nel non voler più il poeta in me

in questa sera di stelle senza tempo,

dove in una folle danza di erotismo

si perde persino il mio gemito

formica nella tua foresta di peli.

Donna che mi ami senza amore,

non è alba o tramonto,

non è estate o inverno

e non è nemmeno gioia o dolore:

è un fiore che germoglierà tra le tue cosce

donato insieme con te a questo mondo.

 

 

 

 

NETTARE DI TE

Col fuoco addosso

umida tana

non placa il rogo

che di te s’avvampa.

Dentro il tuo corpo

su quel sentiero

inseguo paradisi

a luci spente.

Nel tuo regno

frugo l’oscuro

cercando sensazioni

oltre il tempo.

Ti desidero

in quel possederti

gocce di sole vanno

oltre il cielo.

Esplorandoti

oscuro tunnel

dov’è racchiusa in te

luce di stelle.

Sabbie mobili

affondano nel clitoride

ma in quel cader mio

non cerco scampo.

Mappe d’estasi

sul tuo mare

disegnano le magie

dell’infinito.

Nettare di te

raccolgo le gocce

d’oscuri paradisi

fra i cespugli.

 

 

 

 

UN LAMPO NELL’OMBRA

Donna completa, mela carnale, luna calda

denso aroma d’alghe, fango e luce mischiati

quale oscura chiarezza s’apre tra le tue colonne?

Quale antica notte tocca l’uomo con i suoi sensi?

Ahi! amare è un viaggio con acqua e con stelle,

con aria soffocata e brusche tempeste di farina,

amare è un combattimento di lampi

fra due corpi da un solo miele sconfitti.

Bacio a bacio percorro il tuo piccolo infinito,

i tuoi margini, i tuoi fiumi, i tuoi minuscoli villaggi,

e il fuoco genitale trasformato in delizia

corre per i sottili cammini del sangue,

si precipita come un garofano notturno

fino a essere e non essere che un lampo nell’ombra.

 

 

 

 

 

 

EROS D’ESTATE

E siamo

mari in tempesta

venti che onde

già portano in cielo,

aliti ardenti

che accendono di fiamma

l’umida tua pelle.

S’intrecciano le dita

a catturar magie

mentre

sotto le stelle

un vulcano si risveglia.

Nudi

vestiti d’amore,

ci prendiamo,

ci sentiamo

annullandoci a vicenda.

Il tempo dei sogni

s’è assopito,

ora pulsa la vita,

l’amore!

Ed il respiro,

frenetico,

corre

sui ritmi

dell’estate.

 

 

 

 

 

CANTO DI DELIZIA

La mia lingua sfiora la tua lingua,

il mio sesso nel tuo sesso,

il mio cuore nel tuo cuore,

la mia vita nella tua.

Anima sguarnita da ogni vincolo

stretta a me in un desiderio sfrenato

rincorre la perfetta incarnazione del godimento.

Bagnato è il tuo corpo

di linfa sacra

dove riposa la più alta eccitazione

delle fantasie più proibite ed inconscie.

Profumo di rose appena colte

sparse nel tuo campo che ho appena sconfinato,

in un sussulto il tuo respiro

sa di mandorle e canditi.

I tuoi vagiti si fondono con i miei

creando intensi movimenti fisici

di pura creazione artistica

tramutandosi in un canto di delizia.

 

 

 

 

 

 

GODI

Eccoti giungere

stanotte e mille altre ancora

preda esclusiva del mio letto,

trappola divina di desiderio.

Su colline di creta morbida

i miei baci sparpagliati,

accarezzami con gli occhi

mentre scorri sul mio cuore arso.

Benvenuta, entra!

Spengo la luce?

Soffio sul buio e ti accolgo,

senza una parola

ingurgiti il mio sesso

bevendone avida il succo.

In un abbraccio stordito

mi trascini giù

su lenzuola chiare

che odorano ancora di candele spente,

ritratto di mani voraci e volti sconosciuti.

Nel silenzio

che ci avvolge insieme,

strappi incauti di sospiri, atti più impuri

orgasmi che ritmicamente si susseguono

e che rammendo senza fretta.

No, non chiedermi niente! Sei già proposta indecente.

Godi…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

OMBRE SUL MIO GIACIGLIO

Non sarà nè legno nè pietra

a vegliare sul mio riposo,

nè sarà un fiore

il pegno del ricordo.

E non saranno le fronde dei cipressi

a fare ombre sul mio giaciglio,

nè epitaffio nè voce nè ricordo di un caro

come amara consolazione del mio definitivo viaggio.

La terra è la mia culla,

la selva intatta il mio nascondiglio,

la polvere e gli sterpi il dolce lenzuolo,

il silenzio il mio unico compagno.

 

 

 

 

 

ESSENZA LARVALE

Su strada nera conduco i miei passi,

nascosto oltre un nulla d’infinito,

una volta oscura sovrastante incombe.

Ascolto le cadenti lacrime della natura,

scendono sul mondo e me

cencioso essere mortale.

Enigma è la mia inesistente provvidenza,

nichilismo dei buoni sentimenti

icone perdute di essi.

Come dalla psiche profonda

omissioni di verità approdano

caricandomi di brama di comprensibilità.

Fuori da mura di pelle

le febbri son più grandi

dei geli del cuore.

Respiro zolfi del mondo

dove il calore diviene sempre più tenuo,

solo fredde spinte sussistono in me.

Nessun vigore ausilia la triste marcia,

tranne un’anomia fredda come il cuore

d’essenza larvale che sono.

E soltanto ora la mia anima maledetta

comprende il senso insensato

di un’esistenza di vela senza vento,

di airone senza ali,

di carne senz’anima.

 

 

 

 

 

 

NULLA ESISTE OLTRE I SOGNI

Nel buio della notte,

seduto sull’orlo di un precipizio,

ammiro la bellezza della luna,

il suo pallore è come il viso della morte

che affamata di anime

attraversa l’aria contaminandola.

Niente!

solo oscuri pensieri

che trafiggono la mia mente,

grigie lame di metallo

che perforano la mia anima,

sangue che scorre

lungo il mio corpo.

Il cammino da seguire è lungo

ma non riesco più a vedere oltre,

non ce la faccio a capire,

non posso più correre.

Morfeo mi avvolge nel suo mantello ramato,

lacrime di morte

scendono dal cielo illuminato dalla triste luna

mentre il vento sfiora il mio corpo

e la solitudine mi trascina nella valle della morte.

Ho perso ogni mia speranza,

il fuoco della vita brucia il mio spettro.

Nulla esiste

oltre ai sogni,

mondi fantastici di oracoli e maghi

che cancellano la realtà.

 

 

 

 

 

 

DEPRESSIONE

La salute c’è

non presenta nessuna malattia.

Eppure è così deperita,

quando dorme sembra morta!

Cos’ha questa povera ragazza?

Non ha niente!

Ha solo il verme

della depressione

che la sta consumando

pian piano

ogni giorno di più.

 

 

 

 

 

 

ANGELI SPORCHI

Essere due piccole gocce di inchiostro nero

su una tela dipinta

ove falsi colori vivaci

esaltano con cattiveria e pregiudizio

la loro diversità:

non spetta anche a loro sognare l’armonia?

No! il cielo non ammette angeli sporchi

e violento strappa loro le ali.

Essere creati

per vivere accanto alla colpa,

insieme alla vergogna

ma di cosa?

Di essere diversi? Ma da chi? Perchè?

Domande che chiamano altre domande

in un girotondo senza risposte.

La confusione aumenta

al pari di uno strano risentimento

che fa soffocare,

che induce a dubitare:

E’ questo ciò che gli altri vogliono da loro?

Che non esistano?

E’ quello che vuole il loro Dio?

Che non esistano?

Sì! il cielo non ammette angeli sporchi

e graffia la carne sotto la loro pelle.

Ho visto quelle due piccole gocce avvicinarsi

fino a diventare una sola,

angeli che finalmente hanno qualcuno

che asciughi le loro lacrime,

che li accarezzi,

che li abbracci!

Angeli sporchi

che ora si stringono tra loro

consolandosi a vicenda.

Un solo gesto,

un grande coraggio!

Il piacere profondo del peccato giudicato dagli altri

peccato come realizzazione di un sogno

come fuga da un mondo ipocrita in bianco e nero,

come vendetta verso una madre

che cerca di soffocare sul nascere

le proprie creature.

Perchè mai l’uomo

non rispetta l’uomo?

Non riesco proprio a capire…

 

 

 

 

 

LA BESTIA RARA

Sguardi sconosciuti,

persone che mi scrutano, esaminano, giudicano

che ridono guardando

verso di me o nel vuoto.

Non so…

in qualunque caso

sono persone come altre

che seguono la massa.

Non apprezzano la diversità come novità.

Alcune mi fissano

come se fossi una bestia rara, un bersaglio da colpire

a volte mi fanno paura

sembra che mi disprezzino,

che vogliano farmi del male.

Forse solo perchè mi distinguo dal gregge

e sono per inclinazione

fuori dal coro.

Mi sento un ebreo fra i nazisti.

Ma io non sono nato per far fare numero

o per consumare ossigeno prezioso,

ho un’anima con me anch’io,

preziosa e brillante più di un tesoro,

io e Dio soltanto

sappiamo bene il valore che ha.

 

 

 

 

 

 

I MIEI PIU’ ATROCI INCUBI

Sono stato al parco.

Era notte.

Buio.

Cielo nero a sovrastarmi.

Incerto presagio di fine.

Io e l’oscurità.

Mi sono inginocchiato

ai piedi dell’acqua sporca che scorreva.

Ho rivisto il mio volto,

nel silenzio ho urlato,

ho urlato,

urlato!

fino a non avere più voce.

Non ero solo,

eppure mi sentivo come abbandonato.

La solita sensazione di dispersione

che si impadroniva nuovamente di me.

Sarei voluto correre via, scappare via

veloce, sempre più veloce

ma sono rimasto paralizzato

senza armature per difendermi

vittima dei miei più atroci incubi.

 

 

 

 

 

 

OMBROSI PENSIERI

Desolazione d’anime

nella valle dell’attesa.

Da crisalidi pendenti

cadono lembi di carne putrida

(adombrata metamorfosi

di esseri un tempo umani).

Coltivazioni demoniache

di ombrosi pensieri.

 

 

 

 

 

PERDUTI

Percorrendo una vuota spirale

alla fine della quale troveremo noi stessi,

osserviamo la nostra ombra crollare al suolo

affrontando il riflesso di una nostra immagine residua

concepita nella più cupa desolazione.

Giacendo su queste corrotte strade di vorticanti pensieri,

mentendo ai nostri propri stati mentali,

tratteniamo tutto ciò che non saremmo

anelando a ciò che ci è proibito.

Un delirio di onnipotenza è ciò che chiamiamo conoscenza

senza renderci conto che il decadimento è solo un passo avanti

ma la vanità in cui crogioliamo

si è mutata nella nostra gloriosa tomba cristallina

coesione sublimata di un ego inferiore pieno di incompiutezze.

L’umanità si consola aspettando l’arrivo di un nuovo messia sintetico che possa risanare i nostri corti circuiti interiori

decretando l’annullamento dei nostri ultimi atomi,

così saremo definitivamente perduti.

 

 

 

 

 

 

SORELLA MORTE

Gioco con le mie emozioni,

una manciata di biglie di vetro nella mia mano.

Per ogni biglia infranta

un sogno si dissolve.

Resto a fissare

il cupo riflesso della mia noia,

Biglia infranta,

crepa nel mio cuore.

Frammenti di vetro,

illusioni svanite.

Con sguardo apatico

osservo pezzi di intonaco volare via,

e non tenderò alcun muscolo

posseduto da un’inerte volontà,

non cercherò di andare al di là di questo velo

che mi copre tutto.

La mia anima si scioglie,

ogni cosa grava, ingarbugliati pensieri

nulla emana benefica essenza.

Ardo di una luce opaca.

Fallo con grazia, sorella morte

spegnimi con un soffio!

 

 

 

 

 

 

 

UN MONDO DISFATTO

Il mio demone mi mostra la realtà più brutta di com’è

guarda attraverso i miei occhi deformandola

e contempla un modo disfatto.

Il canto della sirena

giace impotente ai piedi del rumore.

Il senso della vita

ha perduto lo scettro,

resta una lapide senza nome

del tempo che fu.

Il mausoleo del giardino delle rose

è stato violato

da malvagi profanatori.

Ma non riesco a gioire

nel vederli annegare

in laghi di sangue.

L’amore perduto

non tornerà mai più

a specchiarsi dentro di me.

Siringa e sangue lungo il mio cammino,

confini sordi alla realtà per la mia mente in gabbia,

ciechi gli occhi dello spirito.

Non so come uscirne fuori!

 

 

 

IL SERPENTE

Un’eco

insegue la mia fuga,

è una lingua di fuoco

che tutto brucia

e che quando mi raggiungerà

consumerà il mio essere.

È forte solo perché io gli permetto di esserlo.

Il vortice

si avvicina sempre di più,

gira

sempre più forte,

e il suo buco nero,

al centro,

mi risucchia,

mi avvolge i sensi e la mente.

Annaspo nel turbinio

ed ho paura di toccarti

per non contaminare anche te

e trascinarti con me

nell’immenso occhio nero.

Vedi accanto a te un mostro con tante teste

il grande serpente

che oscilla fra te e il futuro?

Vedi

le sue lingue di fuoco

che bruciano tutto davanti ai tuoi passi?

E non senti i suoi piedi

calpestare la polvere,

bruciare nella cenere?

Ridicolo essere umano, ammasso di briciole tenute su dalla presunzione,

non puoi vincere

una potente soprannaturale forza.

Ti prego

guarda accanto a te: E’ bugiardo! Abile mistificatore!

Non si rivela mai per quel che è realmente:

è il tuo serpente!

 

 

 

 

 

 

QUEL CHE SONO NON MI PRENDE

Chiuderei gli occhi

e in un soffio me ne andrei

stanco di tutto,

il solo respirare

mi affatica,

qualcosa mi opprime,

credo sia il peso della vita.

Mi guardo allo specchio

e fisso l’obbrobrio riflesso.

Continuo a guardare quella oscena figura

fino a sferrargli un pugno,

osservo il sangue scorrere sulla mia mano,

e mi perdo nei piccoli frammenti dello specchio

ma è ancora lì:

Cosa vuole questa vita da me? Perche mi ha voluto?

Non l’ho chiesto, non ho desiderato esserci

ho pregato per andarmene!

Perchè quel che sono non mi prende?

Un’eternità di nulla, una vita di vuoti, solo rimpianti!

Nessuna lacrima, forti dolori, un grande amore!

Sono all’inferno, spiritualmente morto

immenso vuoto e depressione.

Come ombra che svanisce alzo bandiera bianca.

Poi e per sempre

solo morte!

 

 

 

 

 

 

 

INVOLUCRO DI CARNE

Piccola anima

accartocciata dentro un involucro di carne,

il tuo respiro attraversa il petto.

C’è luce, c’è ombra.

Ancora luce e di nuovo ombra.

La mano ascolta il tumulo, l’ossessione.

La punta della penna solca il foglio.

Scrivi per te, scrivi di te.

Mi parli di una realtà che regna dietro tante porte chiuse.

Di sangue del proprio sangue.

Di verità custodite nel silenzio.

Fa tutto parte del gioco,

tu stai gelando ora!

Si può morire di disperazione, la testa fra le mani

la penna caduta per terra,

le braccia stese sul pavimento

mentre le ombre avvolgono ciò che resta di te.

Un involucro di carne e niente di più!

Solo un miserabile e insignificante involucro di carne.

Una mano ti abbassa delicatamente le palpebre,

il segno della croce

e subito dopo il nulla.

Non sono un angelo.

Non sono un demone.

Io sono la verità.

La verità a volte uccide.

 

 

 

 

 

MASCHERA

Sembra tutto così perfetto

come scenario di un’opera teatrale

ma quale sarà il segreto,

l’orrendo retroscena di questa farsa,

di questa commedia che chiamiamo vita?

Qual’è il ruolo che mi è stato assegnato?

Cos’è questa maschera che prontamente

le mie emozioni cela?

Come una lumaca

mi rinchiudo con viltà nel mio guscio.

E’ piu adatto a lacrime e vani sorrisi

questo mio volto coperto e deturpato

miserabile sotto la sua ridicola perenne smorfia.

Teschio

a ghigno

eternamente condannato.

 

 

 

 

 

 

 

LA SOLITUDINE

Lacrime nere rigano un volto,

pallido

e senza segni di vita.

Ghiaccio nell’anima,

foglie morte al vento,

inverno che piange.

Uno sguardo,

quello di una creatura non sola pur essendo sola

vogliosa e assetata d’affetto

che crede d’affogar in un bicchier d’acqua.

Ormai abbattuta

china il capo

e si piega alla grandezza,

al potere immenso di quell’essere.

Quell’essere di cui è umile serva:

la solitudine!

 

 

 

 

 

 

 

LUCIDO E FREDDO E’ IL MARMO

Lucido e freddo è il marmo,

riflette tutto come uno specchio.

C’è disordine,

oggetti dimenticati,

ed un velo di polvere

copre tutto.

Regna il silenzio,

le torri sfidano il cielo,

fantasmi appaiono nell’ombra.

Lucido e freddo è il marmo,

candide come la neve le statue,

la piccola bambola fissa

con occhi verdi di smalto

abbandonata nel buio.

Rena la quiete,

i bastioni proteggono il castello,

i passaggi merlati paiono ponti sulla fantasia.

La bella addormentata non è mai stata qui,

non vi è mai stato un sogno incantato,

lucido e freddo è il marmo.

 

 

 

 

 

 

MIA SORELLA SOLITUDINE

Ubriaco di te

smaltisco la mia sbornia

su una panchina isolata

nella periferia della città

di Paranoia.

Non so dove andare,

non so chi cercare,

non so perchè respiro

ma protendo ancora la mano verso te,

nuovamente implorante ai tuoi piedi

mia amante,

mia amica,

mia compagna,

mia sorella Solitudine.

 

 

 

 

 

ANCESTRALI PAURE

Fievole luci

che all’imbrunire

non vincon l’ombre.

Indecise sagome

arrancanti nel buio

nero antro di ancestrali paure.

Figure incerte

di bieco pensiero avvolte

che di nera cronaca s’ammantano.

Passi veloci

come a sfuggir tempesta

nei vicoli t’inseguono.

Il gelo del comune sentire

tutto avvolge

come unico sudario.

E a nulla vale

il lume della ragione che è vanto

nè il saper che l’amor mio m’è accanto.

Solo il colore del sogno

potrà spezzare

del grigio orrore il cerchio.

Solo di poesia il volo

potrà sciogliere delle catene

l’angosciante nodo.

Subisco l’ultimo disperato assalto

di chi sa che la sua guerra

ha già perduto ormai.

 

 

 

 

 

 

 

LO SBADIGLIO DEL TERRORE

Nessuno ascolta

il rumore assordante del lupo

estasiato

dinanzi ai bagliori

della notte

stregata.

Un luccichio assorbe

il silenzioso spazio,

nel vuoto dell’ignoto

respiro accaldato dalla lucciola

che traballante attraversa il sentiero,

dal folto dell’ugola fuoriesce soave alito umano.

Ascolta la notte!

Ascolta la nebbia!

Ascolta i battiti del cuore!

Ascolta e non restare

senza un fruscio oblungo

nel dolce mio silenzio.

 

 

 

 

“GIACOMO LEOPARDI”

RIPROPOSTO IN UN LINGUAGGIO MODERNO:

 

 

“L’INFINITO”

 

Ti ho sempre amato, colle

solitario come me.

Ti ho sempre amata, siepe

che mi fai aprire l’anima

verso l’orizzonte,

me lo nascondi

ma me lo fai amare

immaginando spazi infiniti.

Ho sempre amato questo posto,

il suo sovrumano silenzio,

la sua profondissima quiete,

e il tenue soffio del vento tra gli alberi,

e la dolcezza di queste piante che dormono.

E mentre sono seduto e guardo lontano

mi tornano in mente le stagioni fuggite,

l’ora presente,

l’eternità,

ed è dolcissimo

perdersi nell’immensità della natura.

 

 

 

“IL PASSERO SOLITARIO”

 

Ti vedo in cima a quella antica torre,

solo,

proprio come me!

Tu canti finchè non muore il giorno

mentre la primavera brilla nell’aria,

esulta per i campi

festeggiata da mille uccellini

che fan mille giri nel cielo.

Ma tu passero solitario non ti curi di loro,

resti indifferente a quella festa,

non la cerchi, non provi a volare

consumi così nella solitudine

la parte più bella della tua vita.

Quanto è simile il mio modo di vivere al tuo!

non c’è spensieratezza in me,

gioie e divertimenti io li evito,

mi sento estraneo e quasi fuggo da loro

e il dramma è che non so spiegare a me stesso

nemmeno il perchè.

Chiuso nella mia stanza

passo le mie giornate vuote e monotone

in silenzio, in solitudine.

Eppure questo giorno che ormai volge alla sera

è festeggiato da tutti in questo paese,

si odono nell’aria suoni di festa vicini e lontani,

i giovani sono allegri

indossano i loro abiti migliori

si divertono

ed è persino bello guardarli.

Ma io,

in quest’angolo del paese vicino alla campagna,

io resto da solo come sempre,

ogni divertimento

lo rinvio in altri tempi

non so a quando!

guardo il sole che si dilegua dietro i monti

e sembra ricordarmi

che anche la mia giovinezza sta morendo.

Tu, passero solitario

alla fine dei tuoi giorni

non potrai pentirti d’aver vissuto così,

è la tua natura che ha deciso questo.

Ma io,

se non riuscirò a evitare la detestata vecchiaia

e tutto sarà noia più di adesso,

cosa penserò della mia giovinezza sprecata

e non goduta?

Forse piangerò,

guarderò indietro

ma sarà ormai troppo tardi.

 

 

 

“IL SABATO DEL VILLAGGIO”

 

La ragazzina spunta dalla campagna

al tramontar del sole

con la dolcezza, con la malizia

d’una età che non dà pensieri.

Ha un fascio d’erba in mano,

un mazzo di rose e di viole,

domani è festa, deve farsi bella.

La vecchietta con le sue amiche,

seduta sull’uscio di casa,

è intenta a filare

e con una lacrima agli occhi

ripensa a quando anch’ella era ragazza

e spensierata e felice

era circondata da tanta compagne.

L’aria si fa bruna,

le ombre scendono dai colli e dai tetti,

una luna bianchissima splende nel cielo.

Una tromba suona annunciando la festa,

i bambini giocano felici nella piazzetta,

il contadino torna a casa fischiettando.

Poi, quando le luci si spengono

e tutto tace,

si ode soltanto il rumore d’un martello

e di una sega,

è il falegname che ha fretta di terminare il suo lavoro

prima dell’alba.

Questo è il più bel giorno della settimana

pieno di gioia, di speranza

domani tutto ritornerà normale, triste, monotono

e ciascuno riprenderà il suo lavoro col pensiero.

Ragazzo mio,

la tua splendida ma fuggitiva età

è proprio come questo giorno

chiara, serena

che prepara la festa della tua vita.

Ragazzo mio divertiti!

non mi sento di dirti altro!

Ma ti prego non rammaricarti

se la tua festa tarda a venire.

 

 

 

“AMORE E MORTE”

 

Amore e morte,

fratelli,

furono creati insieme

e insieme vanno uniti per il mondo,

l’uno elargendo il piacere

l’altra annullando il dolore.

Quando l’amore nasce nel petto

lo accompagna sempre un languido desiderio di morte.

Non so perchè…

forse l’uomo,

presentendo i mali futuri che ne deriveranno,

brama di giungere al porto della sua vita

e di annullarsi.

Financo nel furore della passione,

quante volte gli amanti ti invocano o morte!

E che sentimento di invidia

al rintocco della campana funebre

per chi se n’è già andato!

Perfino il contadino e la timida fanciulla

non temono più,

comprendono l’ineffabile dolcezza della morte.

Talvolta l’amore

mina un fisico già prostrato,

talvolta invece

induce al suicidio giovani e fanciulle.

E tu morte

da me tanto invocata e celebrata

fin dai miei primi anni,

chiudi pietosamente gli occhi miei.

Ho sempre disprezzato le consolazioni della religione.

Non ho mai lodato e benedetto i patimenti.

Ho rifiutato i fanciulleschi conforti degli uomini.

Te sola ho sempre invocato!

Aspetto serenamente

di addormentarmi sul tuo seno.

 

 

MEMENTO

(Dalla lirica omonima di I.U. Tarchetti)

 

Quando bacio le tue labbra profumate,

cara e dolce fanciulla,

non posso dimenticare

che un bianco teschio vi è nascosto sotto.

Quando stringo a me il tuo corpo sensuale,

cara e dolce fanciulla,

non posso proprio dimenticare

che uno scheletro nascosto vi è celato all’interno.

Quando faccio l’amore con te, cara e dolce fanciulla,

mi è impossibile dimenticare che sotto la tua pelle

vi è un ammasso di sangue, vene e organi schifosi.

E assorto in questa orrenda visione,

dovunque ti tocchi, ti baci o posi le mie mani

sento sporgere le ossa fredde d’un morto.

 

 

 

IL CANTICO DI FRATE SOLE

(Dall’opera omonima di S. Francesco d’Assisi)

 

Benedetto tu sia, mio Signore!

con tutte le tue creature

specialmente per fratello sole

che fa diventare giorno

e illumina ogni cosa intorno

ovunque ci sia vita

con grande splendore,

ed è bello, radiante.

Benedetto tu sia, mio Signore!

per sorella luna

che bianchissima non dorme mai

per vegliare la notte,

e per le sorelle stelle

che hai creato in cielo

chiare, preziose e belle.

Benedetto tu sia, mio Signore!

per la sorella acqua

che è molto utile

è preziosa, è casta.

Benedetto tu sia, mio Signore!

per fratello fuoco

che rischiara la notte

e trasmette il suo calore,

ed è forte, è vivo.

E per fratello vento

che muove l’aria, le nuvole

rigenerando con la pioggia tutte le creature.

Benedetto tu sia, mio Signore!

per la nostra madre terra

che ci sostenta stringendoci al suo seno

e ci offre frutti, fiori colorati, erbe.

Benedetto tu sia, mio Signore!

per i miei fratelli che sanno perdonare

aiutali nelle loro tribolazioni terrene,

hanno bisogno della tua presenza

nella loro vita.

Beati quei fratelli che difenderanno la pace!

saranno da te premiati.

Benedetto tu sia, mio Signore!

per la nostra morte fisica

dalla quale nessuno di noi può scappare

e guai a coloro che morranno nel peccato,

beati invece quelli che su questa terra

avranno fatto la tua volontà.

Laudate e benedite tutti il mio Signore!

e ringraziatelo

e servitelo con grande umiltà.

 

 

 

 

OSSESSIONE PER UNA NINFETTA

(liberamente ispirata al libro LOLITA di V. Nabokov)

 

 

Spiccava col suo giovane corpo e l’aria da bambina

 

tra la gente ignara,

 

quel piccolo micidiale demonietto,

 

inconsapevole anche lei del proprio fantastico potere.

 

Mi guardò col suo visino indecifrabile di ragazzina tredicenne

 

come se mi avesse letto il desiderio negli occhi

 

fino ad intuirne la profondità,

 

e nel preciso momento in cui i nostri occhi s’incrociarono,

 

tra di noi si stabilì subito un’intesa

 

capace di annullare in quell’attimo qualunque barriera

 

ed io non avrei potuto abbassare gli occhi

 

neanche se fosse stata in gioco la mia vita.

 

La sfiorai ma senza osare toccarla,

 

respirai intensamente quella sua delicata fragranza

 

che sapeva di borotalco,

 

e da quel punto così vicino eppure disperatamente lontano,

 

ebbi per la prima volta la consapevolezza,

 

chiara come quella di dover morire,

 

di amarla più di qualsiasi cosa avessi mai visto

 

o potuto immaginare,

 

e di voler essere il primo ad assaporare quel piacere proibito

 

che soltanto la mia giovanissima dea dell’amore

 

avrebbe saputo offrirmi

 

in un paradiso illuminato dai bagliori dell’inferno.

 

Un uomo normale,

 

forse per vergogna o sensi di colpa,

 

scaccerebbe via dalla propria mente simili pensieri.

 

Bisogna essere artisti,

 

eterni bambini sempre in volo senza logica né equilibrio,

 

folli di malinconia e di disperazione,

 

di solitudine e di tenerezza

 

per lasciarsi totalmente trasportare e tormentare

 

dalla magica ossessione per quella ninfetta.

 

 

ASSENZA

(liberamente ispirata al libro LOLITA di V. Nabokov)

 

Bastava un tuo sorriso

 

per mostrarti bella dentro e fuori

 

come un inno alla grazia,

 

malgrado le tue smorfie ed i tuoi capricci,

 

desiderabile, né donna e né bambina, favolosa e splendida

 

con la tua travolgente sensualità acerba

 

mista di malizia e d’innocenza.

 

Eri un cucciolo indifeso tra le mie braccia,

 

non riuscivi a tirare fuori la donna che stava nascendo in te.

 

Di quella mia incantevole lolita

 

che mi aveva stregato persino l’anima

 

fino a possedermi del tutto,

 

e del suo sconvolgente modo di essere,

 

non mi rimane ora che l’eco di un coro di fanciullesche voci

 

udite in lontananza e perdute per sempre

 

come foglie morte sparse lungo il sentiero

 

in una stordita calma irreale.

 

È la mia fine come uomo,

 

l’apice della mia ispirazione come artista.

 

La mia vita è ormai alla deriva nelle tue mani di bambina,

 

legata a te da un cordone ombelicale

 

obbedisce al tuo volere senza più orgoglio, senza dignità.

 

Mi tormenta l’immagine dei tuoi coetanei

 

che posano i loro sguardi carichi di desiderio

 

sul tuo giovane corpo.

 

È folle il pensiero che la tua verginale bellezza

 

appartenga esclusivamente ad un uomo della mia età

 

ma più ti sento irraggiungibile

 

e più cresce in me il desiderio di averti.

 

Come un vecchio mendicante ormai solo ed esausto,

 

chiedo ancora ad una ragazzina che non ha colpa,

 

l’elemosina d’un amore che mai potrà darmi.

 

Un amore impossibile, assurdo, folle

 

incomprensibile, a senso unico, non corrisposto

 

ma pur sempre un amore!

 

Forse sono posseduto dal diavolo

 

o forse ho solo qualche rotella fuori posto

 

è tutto così assurdo e illogico

 

ma io credo di amarla.

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in foto: Claudio Ciscommmm

EROS E MORTE (Claudio Cisco)ultima modifica: 2018-04-20T21:42:23+02:00da ciscoscrittore
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