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Apr 20, 2018 - letteratura sul web    Commenti disabilitati su LAILA (Claudio Cisco)

LAILA (Claudio Cisco)

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L A I L A

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Un breve racconto

appassionato ed intenso

a tratti tenero e struggente.

Un ragazzino solitario ed introverso

una giovane donna disinibita e spigliata

mossi dallo stesso desiderio:

conoscersi a fondo e sperimentare nuove emozioni.

L’autore,

con umana comprensione

e senza mai scadere nella volgarità,

scruta, indaga, penetra l’animo umano

mette in luce sentimenti e debolezze

coglie e svela ogni pensiero

con finissima introspezione.

 

 

 

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Dicono che le storie d’amore tra persone di età differente, siano destinate a fallire in breve tempo e si presume non abbiano prospettive future di alcun tipo ma io, della mia Laila molto più grande di me, conservo ancora il ricordo, ed è il ricordo più bello di tutta la mia vita.

Tutte le ragazze o donne che ho immaginato di possedere o che ho avuto realmente nel corso della mia esistenza, messe insieme, perderebbero nettamente il confronto con lei, Laila, il mio sogno proibito, il mio desiderio peccaminoso, il diavolo vestito d’innocenza, la malizia più sfrontata che si sposa con la tenerezza

più disarmante; colei che detiene il potere ancestrale di unire in simbiosi inferno e paradiso, angeli e demoni, fiamme e virtù.

Dicono inoltre che i rapporti intimi consumati o vissuti in età troppo immature, possano segnare negativamente e per sempre un essere umano; ma io, solo grazie alla vicinanza del corpo di Laila, son diventato poi un artista creativo, una specie di “alieno”, un sensitivo, profondissimo nella sensibilità e nello spirito. La sua carica erotica, la sua potenza ammaliatrice meravigliosamente devastante, mi hanno reso vivo nel corpo e ancor più nella mente. Dietro l’apparenza d’una opprimente angoscia e della mia inguaribile solitudine, emerge prepotente un flusso inarrestabile di energia vitale, indomabile e che non conosce limite.

Avevo compiuto da poco quattordici anni quando lei senza preavviso prese possesso della mia vita come una spada affilata conficcata dentro la mia tenera carne, fragile rivestimento d’un corpo ancora impubere.

In quel tempo lontano, ricordo adesso che ero sempre triste, a dispetto della mia giovanissima età. Tremendamente malinconico ed introverso, solo e senza amici, possedevo però già da allora in me, l’embrione di quello che sarei diventato dopo, crescendo, e quel che è accaduto con Laila, non ha fatto altro che rendermi consapevole della mia vera natura, quasi come se il destino me l’avesse mandata apposta per affrettare i tempi di questa mia consapevolezza e per incitarmi a non reprimerla facendomi del male, annullando me stesso.

Non avevo avuto una ragazza fino a quel momento, non conoscevo ancora l’intensa emozione del primo bacio, gli elettrizzanti brividi che scaturiscono dal contatto con un corpo diverso dal mio che già avevo imparato a conoscere bene attraverso le mie continue ed intime carezze solitarie.

Uno strano ragazzo ero io, e forse in parte lo sono ancora, e chissà se è stato esclusivamente per questo motivo che il destino, beffardo, a volte crudele, altre ironico, si è premurato di far accadere gli eventi al momento giusto ed usando la persona adatta affinchè i suoi disegni trovassero realizzazione, ennesimo copione di uno strano ed incomprensibile teatro che è la vita, con i suoi attori mascherati che si muovono come marionette appese a fili ingarbugliati, senza identità e senz’anima, nel crudele gioco della vita e della morte, tra cause ed effetti, credendo di operare secondo il proprio libero arbitrio ma in realtà resi intelligentemente schiavi da qualcosa o qualcuno che nessuno conosce ed è in grado di definire. La mia deliziosa ed accattivante Laila non era altro che la figlia di questo destino e come tale doveva obbedirgli.

Ero seduto su una panchina di “villa Dante”, uno spazio di verde molto grande situato nei pressi del centro di Messina, la mia città. Potevano essere circa le 2 o forse le 3 del pomeriggio, non ricordo bene con esattezza ma era un orario nel quale a me piaceva e piace ancora molto, uscire per camminare un pò per le strade. Ricordo anche che era un giorno di primavera inoltrata con una temperatura abbastanza mite ed un’aria fresca, gradevole da essere respirata. Vi era il sole, il cielo si mostrava azzurro ed anche il verde del parco, l’ombra degli alberi col sottofondo del cinguettio degli uccellini sul nido, in armonia con la serenità della natura, sembravano richiamare alla vita e forse all’amore.

Mi trovavo in uno stato di assoluta calma, quasi irreale, assorto in enigmatici pensieri, con la testa tenuta fra le mani e lo sguardo assente rivolto fisso in giù verso il terreno, cosparso di foglie. A prima vista, a chiunque fosse passato per caso di lì in quel momento, potevo benissimo dare l’impressione di un ragazzino perdutamente solo con i suoi pensieri ed in preda alla disperazione e allo sconforto più cupo ed oscuro senza nessuna possibilità di salvezza, privo di qualunque via d’uscita. Quell’atteggiamento però, paradossalmente, significava interiormente per me, un modo di sentirmi che era esattamente l’opposto di quel che appariva; era per la mia psiche, sinonimo di rilassatezza mentale e fisica, serviva a tranquillizzarmi dentro, mi induceva alla meditazione, alla libertà creativa dei pensieri.

Fu esattamente in quello stato e proprio in quella posizione che mi vide Laila per la prima volta.

Non so spiegarmi ancora adesso il perchè si sia avvicinata a me non conoscendomi affatto e quali vere intenzioni o motivazioni l’avessero spinta a farlo nè se oscuri e complicati pensieri guidassero la sua mente. So però con certezza che lo fece, purtroppo o per fortuna, e che da quel momento, tutta la mia vita cambiò radicalmente e niente fu come prima: ero segnato ormai! L’uomo bambino che era già in me, è stato partorito proprio in quell’attimo ed ha visto per la prima volta la luce, per poi diventare , nel corso degli anni, quell’uomo “strano” e “misterioso” che è adesso e che sono certo, rimarrà tale fino alla fine dei suoi giorni.

Sentii, mentre continuavo ad essere immobile e pensieroso a testa in giù, una mano dolce, carezzevole, vellutata, quasi serica accarezzarmi i capelli, avvertii la tenera ed infantile rimembranza di quando, piccolissimo, mi trovavo impaurito fra le braccia amorevoli di mia madre. Quella mano leggera e direi magica che giocava spettinando e ricomponendo con cura la frangetta dei miei capelli, quasi come fosse il tocco di un angelo, si accompagnava poi ad una voce suadente e persino fiabesca, a tratti misteriosa, che contribuiva alla creazione di quell’insolito incantesimo. Rimasi con gli occhi socchiusi per imprimere nella mia mente e nel mio cuore quelle vibranti e intense sensazioni, del tutto inaspettate e mai provate prima, senza la volontà di alzare minimamente lo sguardo nel tentativo di scoprire la fonte di quel benessere, era come se avessi paura di svegliarmi rovinando quel bellissimo sogno, un sogno che però poteva anche cominciare nell’esatto momento in cui mi sarei risvegliato e forse si sarebbe rivelato ancora più bello.

Fu lei e soltanto lei però che interruppe quella magia sussurrandomi all’orecchio:

“Cosa c’è che non va?”—”Perchè sei così triste?”—”Hai l’aria di chi ce l’ha col mondo intero, vuoi parlarne con me?”

A quel punto, d’istinto, alzai immediatamente gli occhi indirizzandoli su lei, cambiando repentinamente posizione ed atteggiamento: mi trasformai infatti in un ragazzino curioso ed attento assolutamente determinato a risolvere il suo complicatissimo rebus mentre il mio sguardo, prima timido ed impaurito, ora, incrociando il suo, si mostrava forte e penetrante come se fossi io l’adulto e non lei.

Siamo rimasti entrambi così: occhi negli occhi, sguardi che si scrutavano in silenzio, menti che cercavano in tutti i modi di capirsi non conoscendosi ancora. E fu proprio nell’incertezza e nell’incomprensione di quegli attimi, che io capii dentro di me chiaramente che, più o meno consapevolmente, mi sarei consegnato completamente a lei, alla sua forza seduttrice, al suo malizioso ed intrigante gioco; avrei dato a quella misteriosa e sconosciuta ragazza, il mio corpo e la mia anima, accettando tutte le possibili conseguenze di una simile ed incondizionata resa, pronto a raccogliere poi tutto ciò che di bello o di tenebroso sarebbe potuto accadermi.

Come un sesto senso chiaro ed inconfondibile, capii che quella ragazza, molto più grande della mia età, mi avrebbe trasportato con se’ in posti inesplorati, sconosciuti, indefiniti, non compatibili con la ragione o con la morale ma, proprio per questo, attraenti e ricchi di fascino dove la libertà dell’istinto e delle sensazioni più intime dell’animo umano, non conoscono limiti, non sanno e non vogliono fermarsi davanti a niente.

Quello che ricordo ancora con meraviglia e tenerezza, è l’amore che io sentii subito per lei sin dal primo sguardo, proprio come un ragazzino alla sua prima “cotta”, mi innamorai perdutamente di Laila, nonostante l’enorme differenza d’età, nonostante non sapessi nulla di lei; ma la magia, e insieme la purezza genuina ed originaria di quel sentimento, non possono essere razionalizzati e giudicati per nessun motivo al mondo, perchè in tutto ciò che sa di magia, non può entrarvi il reale o la logica.

Ero fermamente convinto che quella ragazza già donna potesse essere e diventare il mio primo amore e quindi, conseguentemente, avrei avuto la possibilità di sperimentare e gustare le emozioni uniche del primo bacio, delle prime intimità, dei primi piaceri fino ad allora solo immaginati. Tutte queste meravigliose ed avvincenti scoperte per un ragazzino ancora totalmente inesperto in quel campo quale ero io allora, sentivo dovevano essere interamente affidate e subordinate alla sua persona, adattissima e meritevole ai miei occhi del ruolo che avrebbe dovuto adempiere; era quella sua straordinaria ed esplosiva figura di giovane donna a darmi questa certezza, e ancora, il suo essere così splendidamente ambigua, un pò angelo e un pò diavolo, dolce e glaciale, comprensiva e sfuggente, vicina eppur mille anni luce lontana: amica, sorella maggiore, amante.

Non fui in grado di rispondere con la voce a quelle sue prime domande che la facevano assomigliare più a una poliziotta che a una fidanzata, la mia volontà nel farlo era annientata dalla sua folgorante bellezza, rapita e vittima del suo misterioso fascino. I suoi occhi, intriganti, indagatori, riuscivano ad emanare ugualmente luce. Il suo corpo mi dava l’impressione di una potentissima calamita capace di attirarmi col suo campo magnetico fortemente a sè a tal punto da dover resistere con tutte le mie forze per non venire risucchiato da lei.

Mi chiedevo con una certa insistenza senza per altro trovare risposte adeguate, il motivo per il quale una ragazza così bella si potesse interessare ad un moccioso come me che in fondo puzzava ancora di latte considerando il fatto che dimostravo circa dodici anni e non ero affatto sviluppato da uomo; ero infatti molto più simile ad un bambino, esile e con i caratteri sessuali non ancora delineati, e per di più un ragazzino fino ad allora sempre solo e dimenticato da tutti che poteva passare tranquillamente sotto le gambe degli adulti senza essere notato. Per tutti questi motivi, per un attimo mi balenò nella mente confusa e disorientata, predisposta sin da allora ad essere preda della fantasia, l’ipotesi che lei non appartenesse al mondo reale e che fosse addirittura un fantasma o facesse parte di un sogno, come una creatura immortale e senza tempo, figlia di pura immaginazione. Ma era troppo vera, troppo seducente, troppo carnale per essere stata inventata da me. Continuavo quindi ad osservarla con una certa insistenza e notavo che lei non ne provava affatto imbarazzo ma anzi, al contrario, si sentiva fiera di se’, si divertiva ad essere scrutata in quel modo da un ragazzino, era esibizionista assai più di un pavone che mostra le sue grazie. Guardavo con attenzione e curiosità tutto di lei: i capelli lunghi fino alle spalle, ben pettinati, di colore nero intenso come se fossero stati appena tinti ad arte dal parrucchiere per spiccare ancora di più con quegli occhi celesti dentro i quali ci si poteva perdere tra cielo e mare senza mai più ritrovarsi, in un contrasto di bellezza e fascino da lasciar chiunque la osservasse, senza fiato e senza parole. Anche il suo fisico era perfetto, tale da far invidia alla più sexy delle modelle, era alta, parecchio più di me, con le forme giuste in ogni parte del corpo come se fossero state scolpite appositamente per essere adattate a lei, dal più grande scultore di tutti i tempi. E poi il suo profumo o il suo odore naturale, non saprei, sembravano un tutt’uno: era così irresistibile che anche il più pudico e puro dei maschi esistenti sulla terra, non avrebbe potuto resisterle, credo che nessun uomo vivo potesse rinunciare a lei.

Indossava una camicetta bianchissima come la sua carnagione, una gonna di jeans non troppo corta ed un paio di scarpe da ginnastica anch’esse bianche.

Un look tipicamente da teenager che ai miei occhi e non solo, aumentava di molto il suo potere seduttivo che possedeva comunque anche nei gesti e nel modo di fare. Ma sarebbe stata attraente ugualmente in qualunque modo si fosse vestita, anche da zingara o da barbona

e specialmente nuda.

Vedendo che io non parlavo affatto e che non avevo ancora risposto alle sue domande iniziali, mi chiese educatamente il permesso di sedersi sulla panchina al mio fianco, ed osservando il mio segno di assenso manifestato mimicamente col semplice abbassamento del capo, lo fece immediatamente, in fondo era quel che voleva pur di entrare in un rapporto di confidenza e di dialogo con me. Mi si sedette accanto tirandosi i lunghi capelli indietro con le mani, portando il petto in avanti, accavallando le gambe ed infine emettendo un breve ma intenso sospiro.

Non so cosa mi prese nella mente e nel corpo in quell’attimo ma di certo fu qualcosa di veramente incontrollabile e insieme sconvolgente: mi ritrovai col cuore che batteva fortissimo all’impazzata, peggio di un tamburo, sembrava volesse scoppiarmi in petto da un momento all’altro, ricordo che pensai subito ad un possibile infarto. Ma era solo uno sconvolgimento naturale, generale però che coinvolgeva, propagandosi a vista d’occhio, ogni parte del mio corpo. Un’eccitazione di gran lunga superiore alla masturbazione o alla visione di giornaletti pornografici o films a luce rossa, tutte sensazioni che avevo già sperimentato in passato. Questa volta si trattava di molto più di una semplice eccitazione, l’adrenalina era a mille, devastante, inebriante, il sangue correva veloce e pareva bollire nelle vene, il respiro diveniva sempre più affannoso, sembrava mi mancasse l’aria, un malessere totale e diffuso ovunque che paradossalmente, aveva i connotati del piacere, non capivo più la differenza fra lo stesso piacere e la sofferenza perchè in fondo si trattava anche di sofferenza, non fosse altro perchè tutto il mio corpo nella sua totalità stava reclamando ad altissima voce uno sbocco immediato, come se si trattasse di una questione di vita o di morte, uno sbocco che io non potevo e non sapevo dargli. In quegli attimi così unici e particolari, ho compreso il dramma dei cosiddetti “maniaci sessuali” o delle donne “ninfomani” e che in fondo, maniaci a causa del sesso, lo siamo un pò tutti se analizzassimo più obiettivamente e senza falsi pudori la nostra situazione di esseri carnali. La cosa tragica e comica al tempo stesso di quel periodo, consisteva nel fatto che dovevo cercare di nascondere tutto il mio sconvolgimento interiore a Laila pur avendola vicinissima. Ho messo una gamba sull’altra illudendomi ingenuamente di coprire la mia erezione ma nulla potei fare per celare il rossore che appariva nitidamente dipinto sulla mia faccia. In quel momento, la differenza d’età fra me e lei non contava più nulla, era disintegrata, regnava soltanto il mio giovanissimo corpo d’adolescente, esplosivo nei sensi per l’età ma soprattutto per natura, specie la mia natura già così predisposta a simili sollecitazioni e a picchi di altissimo livello.

Cercai di girarmi dall’altro lato guardando in tutte le direzioni possibili ed immaginabili pur di non incontrare il suo sguardo, ero ridicolo, commovente, tenero, con la assurda presunzione di nascondere ad una donna che stava proprio al mio fianco e molto più esperta di me, quello che nel corpo e nei miei pensieri provavo. Non avevo l’esperienza e la maturità di comprendere che ad una donna se sei furbo e sai recitare, puoi nasconderle tutto, tranne la reazione fisica che hai nel desiderarla.

Non so cosa passasse nella testa di Laila in quei momenti di evidente imbarazzo ed eccitazione per me, non mi posi neanche il problema perchè ero troppo preso da quel veleno dolce e logorante che mi scorreva nel sangue. Sicuramente però, nemmeno lei doveva essere tranquilla, non poteva affatto esserlo a meno che quella situazione riusciva ad analizzarla con occhi comici e non di disperazione, quest’ottica le avrebbe assicurato una relativa calma e un certo controllo anche su lei stessa. Forse, può anche darsi, che l’idea di avere accanto a lei fisicamente, fin quasi a sfiorarla, un ragazzino alle prime esperienze e forse del tutto vergine, la stimolasse emotivamente e sessualmente, scuotendola, ed io capii per la prima volta in vita mia che l’incontro tra due persone mentalmente libere e oserei dire “perverse”, riesce sempre a provocare una miscela di adrenalina esplosiva, condannata senza appello dalla morale e dalla chiesa ma incoraggiata senza limite dall’istinto.

Ho compreso anche il micidiale potere che ha su di me “il fascino del proibito”, una scoperta che è diventata “legge” per il resto della mia vita e che ha creato una dipendenza da esso che non sono riuscito ancora a vincere nonostante abbia fatto ogni sforzo possibile e ogni sorta di preghiera, continui disperati tentativi sempre inutili ed incapaci di debellare questo mio invisibile amico-nemico, evidentemente è talmente radicato nella mia psiche da essere più forte persino della mia stessa volontà: è un dramma tutto umano e carnale quando il male, individuato come tale, ha ancora presa su di te perchè reso immune dalla tua inclinazione naturale, è come un nemico che per una vita intera ha convissuto con te ingannandoti mentre tu con fiducia lo reputavi amico e che poi improvvisamente e quando meno te lo aspetti, scopri essere il più cattivo dei mali e tu, pur allontanandolo, non sei in grado di odiarlo come dovresti proprio perchè senti che una parte di te, più o meno consistente, morirebbe con lui se provassi a bruciarlo, purificandoti.

Ma se dovessi analizzare oggettivamente e basandomi soltanto su come mi apparisse all’esterno Laila, forse un pò superficialmente, a prima vista, l’impressione che mi darebbe sarebbe quella che lei avesse dentro, una assoluta tranquillità. Ero io, al contrario suo, ad essere un vulcano di idee confuse che si accavallavano nella mente l’una sull’altra, miriadi di domande puntualmente senza risposte, un’infinità di iniziative che morivano sul nascere senza alcuna realizzazione pratica; qualunque psicanalista avrebbe trovato terreno fertile e materiale in abbondanza per favorire i suoi studi, Laila ma soprattutto io, eravamo cavie da laboratorio davvero perfette.

Restammo quindi entrambi in silenzio, ciascuno aspettava che fosse l’altro a parlare ma nessuno di noi due si decise a farlo. Non riesco a quantificare col tempo la durata di quel silenzio, so solo che per me è sembrato non aver mai fine, un’eternità ma il tempo è relativo quando ti trovi in uno stato di tensione emotiva o di stress mentale quale era il mio.

Fu lei, la mia Laila, che riprese in mano la situazione e a condurre quello strano gioco, e forse è stato giusto così perchè era la più grande.

“Posso presentarmi, vuoi?— Io mi chiamo Laila ed ho ventisei anni!— E tu, tu come ti chiami?— Quanti anni hai?— Che classe frequenti a scuola?”

Io, del tutto rassicurato da quei suoi gesti sempre dolci, convincenti, garbati che denotavano educazione, rispetto, una grande attitudine in genere verso la socializzazione, la sentii subito amica e complice, ricominciai a trovarmi a mio agio, avevo fiducia in lei ed anche l’eccitazione sembrava essersi placata come per miracolo, tanto che mi venne naturale risponderle:

“Piacere! Il mio nome è Claudio ed ho quattordici anni compiuti da poco.— Sono in primo superiore”.

Ricordo che fui colpito da quel suo nome che sembrava più adatto ad un personaggio dei cartoni animati che a una ragazza, lo trovai alquanto buffo e strano ma non le dissi nulla per delicatezza.

Così anche lei potè sentire per la prima volta la mia voce.

“Sembri più piccolo”— mi disse ancora lei sorridendo e facendomi intuire che la cosa non le dispiacesse affatto.

“Sì, lo so!— Me lo dicono tutti!— Ma ho tempo per crescere” —fu la mia risposta, semplice e simpatica.

Quindi restammo nuovamente in silenzio per un altro pò di tempo, a volte stare zitti ha più valore di mille parole, accresce il mistero, crea poesia, serve a riflettere per non commettere errori o passi falsi che potrebbero pregiudicare tutto quello che di buono è stato costruito fino a quel punto.

Fu di nuovo lei a riprendere l’iniziativa formulando altre intriganti domande:

“Hai la ragazza?”

“No!”— le risposi deciso io.

“Come mai ?”— mi chiese di nuovo lei ancora più incuriosita.

“Non lo so neanch’io, non ho mai avuto una ragazza in tutta la mia vita, spero di trovarne qualcuna che mi voglia prima di diventare vecchio!”— le dissi un pò sfiduciato ma con sincerità.

Il fatto di scoprire che non ero mai stato con una coetanea e conseguentemente neppure con una donna e che quindi ero assolutamente vergine come terra di conquista da esplorare, la colpì profondamente.

Lo avvertii dal suo sguardo che si accese di colpo, una luce attraverso la quale captavo una morbosa curiosità di approfondire questa nostra amicizia che già sul nascere non era normale. Riuscivo altresì a comprendere che lei provava pure un intenso desiderio di conoscermi meglio, desiderio che sarebbe stato sicuramente legittimo e giustificabile se io ero un ragazzo di un’età simile alla sua ma che risulterebbe apparentemente incomprensibile per chiunque l’avesse analizzato in quel contesto.

Non capivo ancora bene quale fosse il suo folle proposito nei miei riguardi oppure lo sapevo perfettamente perchè ero un ragazzino molto sveglio ed intelligente malgrado l’età, forse inconsciamente mi piaceva rimanere nel dubbio, lasciarmi del tutto rapire da quell’alone di mistero che copriva ormai entrambi, per essere vittima ed insieme attore principale di questo strano ed insolito film. Desideravo poter scoprire la verità un poco alla volta per gustare meglio gli eventi, soprattutto quando si trattava di situazioni così stuzzicanti e coinvolgenti, capaci di avere presa su persone di qualsiasi età e quindi anche su un ragazzino di quattordici anni che ne dimostrava a malapena dodici.

Laila continuò poi a farmi altre domande semplici e scontate sulla mia famiglia, sui miei amici, sui miei passatempi, i miei gusti musicali, sulla scuola ma senza mai entrare in argomenti inerenti alla mia sfera intima specie nel campo sessuale, io rispondevo a tutte le domande, sempre e con la massima sincerità.

Dopo essersi assicurata che potevo tranquillamente rimanere fuori da casa almeno fino alle otto di sera, come un fulmine a ciel sereno, mi chiese improvvisamente senza indugi, frantumando quell’atmosfera di normale, sereno dialogo e servendosi di una voce divenuta di colpo adulta, determinata, risoluta :

“Vuoi venire a casa mia?”— Mi fai compagnia?— Non abito lontano da qui—Ho la macchina posteggiata vicino alla villa, una panda rossa.— Abito da sola in un appartamentino piccolo con due stanze, col mio fidanzato ci siamo lasciati per sempre, ora sono libera, libera come l’aria, anzi come l’aquila, hai mai visto le aquile volare, libere?”.

Mentre mi diceva questo, avvertivo in lei una certa eccitazione che similmente era presente anche in me, cercava di mostrare il più possibile sicurezza, mi dava invece l’impressione di essere alquanto spaventata come se temesse di essersi spinta oltre il limite fino a sconfinare là dove sarebbe stato difficile poi controllarsi, faccia a faccia con il volto inquietante del rischio.

Ma il desiderio crescente di ricevere al più presto una mia risposta, positiva o negativa che fosse, le riede di nuovo forza e coraggio annullando quel germe di pentimento che si stava affacciando in lei per riportarla alla ragione, quella della logica, non della carne.

Io mi sentii venir meno e il mio cuore riprese nuovamente ad accelerare il suo ritmo senza sosta, anche a quattordici anni si può desiderare una donna e la passione che si accende non si può indirizzare verso un’età specifica, la legge dei sensi va dove vuole e tu hai solo da scegliere: o la reprimi o la segui! Ed io, in bilico, posto esattamente al centro o per meglio dire sospeso tra queste due soluzioni, in un primo tempo non sapevo proprio che fare, come comportarmi.

Cercai in quel brevissimo tempo che Laila mi concedeva per rispondere, per quanto mi era possibile in quella situazione di totale confusione e smarrimento mentale, di riordinare in qualche modo le idee per poterle dare una risposta il più possibile coerente con la mia volontà, ma non può esistere una scelta libera dove vi è il richiamo dei sensi e per di più a soli quattordici anni. Di certo riuscivo a comprendere che la desideravo o più semplicemente ne ero fortemente attratto come forse anche lei inspiegabilmente lo era verso di me. Mi piaceva tutto di lei, la differenza d’età, per me, non era affatto un problema. Pensavo che se si fosse trattato di una mia coetanea, sarebbe stato sicuramente tutto più facile, naturale e meno complicato ma mi rendevo conto al tempo stesso che il desiderio non sarebbe stato così forte ed intenso, il solito e sempre presente “fascino del proibito” si diverte ogni volta ad uscire alla scoperto nei miei pensieri rivendicando il suo incontrastato potere su di me sin dall’età di quattordici anni e ancor prima. Il desiderio di voler andare fino in fondo a quella storia, la curiosità in parte fanciullesca di conoscere il finale, di aprire quel cassetto che tutti ti dicono sin da piccolo di tenere chiuso senza spiegarti il perchè, il timore di avere poi rimpianti per aver perso un’occasione mai più ripetibile e altri motivi simili messi insieme, mi spinsero in maniera decisa ad accettare il suo invito, del resto a quell’età gli ormoni sono in tempesta, non li puoi controllare e dominare, basta un nonnulla per farli esplodere, reprimerli ti fa stare peggio; è un pò come avere una Ferrari e non sapere come guidarla e a chi ti offre la possibilità di farti da istruttore di guida, chiunque esso sia, tu non puoi dire di no. E questo è esattamente che quello che ho fatto io, prendendo in esame il dato che avevo trovato una istruttrice di guida che era una vera “bomba” e conosceva bene il suo mestiere. Certo ci poteva essere il rischio di correre troppo e di essere vittima di un incidente stradale più o meno grave ma è sempre meglio correre che star fermi, e poi non è affatto detto che si investa, basta usare prudenza ed avere fortuna, quella è necessaria sempre in ogni campo della vita. Così la mia voglia di sentirmi già grande ha trionfato contro l’idea di restare chiuso nella bambagia e dissi un sì convinto a Laila.

Scaricare comunque tutta la responsabilità di quella mia scelta soltanto a lei in quanto adulta, sarebbe troppo semplicistico e sbagliato. Io ero assolutamente consapevole di voler andarci, nessuna forma di costrizione se non la sola forza della seduzione da parte sua ma ero totalmente libero di rifiutare. Ho detto sì perchè era bella e mi piaceva, questa è la verità e basta, non esistevano altre verità nascoste o pressioni subdole. Avevo già ben piantato nel mio DNA quel germe che oggi, in età adulta, mi fa continuare ad essere quello che sono, reclamando la totale libertà dei sensi, sbagliata o giusta che sia, diabolica o naturale non saprei.

Laila si rivelò entusiasta nell’udire la mia risposta positiva, neanche lei si aspettava una determinazione così radicata in un ragazzino di quattordici anni ma, evidentemente, il destino scopre le carte e ha il potere di far incontrare fra loro persone giuste al momento giusto.

Spruzzava felicità da tutti i pori ed ero felice anch’io per aver contribuito nel mio piccolo a renderla gioiosa, ma eravamo più belli entrambi, merito della forza misteriosa, pericolosa, dissacrante dell’eros ma pur sempre una forza, diamo a Cesare quel che è di Cesare.

La mia Laila non perse un solo attimo di tempo, si alzò di scatto dalla panchina con una strana luce negli occhi che a me pareva persino fosforescente e mi afferrò la mano con la sua invitandomi ad alzarmi, stringendomela così forte da incutermi un improvviso brivido di paura, ma fu solo un lampo, un brevissimo lampo, come il flash d’una macchina fotografica.

Lei camminava in fretta avanti, io la seguivo un paio di metri distante da dietro, come quel padre geloso che segue la propria figlia di nascosto e senza farsene accorgere, mimetizzato sotto il cappello e coperto dall’impermeabile, magari persino col giornale in mano, facendo finta di leggerlo e guardandola da dietro gli occhiali scuri.

Vidi la sua panda color rosso fuoco tipo le fiamme dell’inferno, era posteggiata poco distante da quella villa proprio come mi aveva detto lei in precedenza. Era un’auto pulita, ben tenuta tanto da sembrarmi appena uscita da un’officina per il lavaggio. Per un attimo credetti che se le era fatta lavare in vista del nostro incontro ma poi pensai subito che non era affatto possibile, a meno che non aveva il dono di predire il futuro, ormai dopo quello che di strano mi stava accadendo quel giorno, non escludevo più nessuna ipotesi, anche la più inverosimile.

Laila aprì lo sportello, quello situato accanto al posto di guida e con estrema gentilezza mi fece segno di entrare e di sedermi, io lo feci subito senza lasciarmi minimamente pregare, chiuse in fretta lo sportello, aprì l’altro e si sedette al volante e via più veloci della luce, si fa per dire perchè a Messina c’è sempre traffico in ogni ora del giorno. L’odore suo inebriante, due gambe splendide che non potevo fare a meno di notare con la coda dell’occhio mentre guidava, e poi ancora il seno perfetto che s’intravedeva dalla camicetta e che sembrava sollecitare la mia attenzione ad ogni suo movimento, i capelli che ondeggiavano al vento man mano che l’auto prendeva velocità quasi come una puledra in libertà nei campi, insomma tutto di lei stava cominciando a procurarmi un’altra violenta ed incontrollabile eccitazione, nessuna ragazzina della mia età mi aveva mai stimolato così tanto. No! Non si trattava di un sogno o di una semplice fantasia erotica dove sarebbe bastato svegliarsi dandosi un pizzicotto per ritornare alla normalità, no! Lei era vera, straordinariamente vera, in carne e ossa, molta più carne che ossa. Ricordo che per un attimo, pur di liberarmi col pensiero da quel dolce tormento, provai persino con l’immaginazione a trasformarla in una vecchia racchia piena di lentiggini, brufoli e cellulite ma fu uno sforzo vano perchè appena aprivo nuovamente gli occhi e vedevo lei, lei e soltanto lei, nessun’altra immagine o figura creata da me per contrastarla, riusciva a prendere il sopravvento su lei, la mia Laila eclissava tutto e regnava sovrana, fuori e dentro di me.

Per un attimo credetti persino di raggiungere l’orgasmo, lì sulla macchina, senza nessun contatto fisico con lei ma semplicemente avendola vicino; per non sporcarmi e rovinare tutto ancor prima di cominciare, cercai di distrarmi in tutti i modi possibili ma tutti i miei pensieri ormai si affollavano su lei.

D’un tratto, mentre guidava, mise la mano nella sua borsetta, tirò fuori un pacchetto di sigarette e mi pregò di prenderne una e metterla nella sua bocca visto che lei era impegnata nella guida. Cercai nella borsa l’accendino che doveva pur esserci da qualche parte, lo trovai finalmente, e appoggiai la sigaretta in quelle sue sue labbra morbide da baciare ma senza l’ombra di un rossetto, quel giorno era completamente senza trucco, acqua e sapone e forse fu meglio per me perche non avrei potuto resisterle se fosse stata truccata magari come una vamp o una prostituta o un’attrice di film porno. Immaginai per un attimo come potesse essere bella ed attraente se fosse stata truccata e fui colto da un altro ennesimo brivido di eccitazione, fortunatamente, questa volta di breve durata. Con le mani tremanti portai l’accendino vicino alle sue labbra e lei accese la sigaretta spostando leggermente la faccia in avanti e sorridendomi con un sorriso complice, come chi prometteva al più presto una ricompensa, riprese quindi a guardare la strada. Avrei voluto chiederle il motivo per il quale in quel giorno non fosse truccata e se amava farlo di solito ma poi un altro pensiero mi convinse a stare zitto, non capivo neanch’io il perchè.

Arrivammo finalmente a destinazione, avevamo impiegato circa una ventina di minuti. Abitava nella parte sud della città, nella zona di San Filippo dove vi sono gli impianti sportivi e lo stadio da poco costruito del Messina calcio.

Era un complesso con una serie di case poste a schiera con un ampio posteggio numerato per lasciare le auto ciascuna nel posto assegnato. Entrò con la macchina nello spazio a lei consentito e scese per prima dalla vettura, prese la borsa e chiuse a chiave lo sportello di guida. Io rimasi come paralizzato ad osservare il complesso di case, i posti auto, l’ambiente circostante, una strana sensazione di confusione mi si stava affacciando nella mente, troppo provata dai rapidi cambiamenti di quel giorno e quindi non più tanto lucida.

“Sveglia “—mi disse scuotendomi da quell’inaspettato torpore e mi fece cenno di scendere dall’auto, chiuse a chiave anche l’altro sportello e si incamminò senza troppa fretta verso casa, io come un automa o meglio ancora come un barboncino fedele, la seguivo poco distante da lei. Laila appariva calma, serena, per nulla turbata da quel che poteva avvenire tra di noi nell’intimità di casa sua e a tutte le possibili incontrollabili conseguenze che sarebbero potute derivarne, vista soprattutto la mia giovanissima età. Era come se ormai avesse la certezza di tenere tutto sotto controllo e mi avesse tranquillamente in pugno, del resto era la verità, qualunque cosa avesse voluto da me, l’avrebbe ottenuta con estrema facilità, io gliel’avrei concessa, docilmente e senza condizione alcuna; era un divertimento anche per me, non solo per lei, non v’era l’ombra del sacrificio, eravamo responsabili e complici allo stesso livello malgrado una fosse maggiorenne e l’altro minorenne, ero ragazzino lo so, ma non ero affatto stupido nè handicappato ed anche se non l’avevo mai fatto e probabilmente non sapevo neanche come si facesse, sapevo benissimo quello che sarebbe potuto accadere e a cosa sarei eventualmente andato incontro. Fino ad allora l’avevo visto fare solo nei film hard ma una cosa è vederlo, un’altra è essere tu il protagonista assoluto, provare direttamente sulla tua pelle e con una donna a fianco quelle emozioni. Non solo, ma non avevo mai visto fino a quel giorno una donna vera nuda, neanche col binocolo.

In quel momento sentivo che era giusto quello che stavo per fare perchè nel mio cuore credevo d’amarla davvero e quindi mi sembrava un rapporto vero d’amore e non solo una relazione di sesso occasionale. Questa convinzione non mi faceva vedere nulla di sporco in tutto ciò ma anzi mi sembrava del tutto legittimo e naturale farlo con la persona che amavo. Oggi sono fermamente convinto che anche quando tra due individui ci sia apparentemente un rapporto di solo sesso, credo che esista sempre all’interno di esso, in profondità, un meccanismo, un’affinità, una sintonia mentale, un’attrazione reciproca che a mio giudizio non può prescindere dall’amore vero e proprio e che è necessariamente riconducibile ad esso, varia soltanto la forma d’espressione e l’intensità di questo sentimento. Spesso non si ha il coraggio di ammetterlo neanche a se stessi perchè è molto più comodo reprimerlo in nome di una libertà che in realtà non esiste affatto ma è solo illusoria.

Erano, quelle case che stavo osservando, tutte dello stesso colore, di uguale forma e della stessa altezza, tre piani, fra l’altro Messina è un città ad alto rischio sismico per cui la legge impone categoricamente di non superare i sei piani d’altezza. Penso comunque che all’interno di esse, quelle abitazioni si diversificassero fra loro per il numero di stanze. Laila, mi informò che abitava al secondo piano e che avremmo risparmiato le scale prendendo l’ascensore che trovammo già pronto per noi, come fosse nostro complice e non volesse farci perdere del tempo prezioso.

Entrammo in esso e in quei secondi che passammo lì dentro, io mi convincevo sempre di più di amarla. L’amore che credevo di sentire per Laila in quel momento e dentro quell’ascensore, era per me molto più importante di un possibile rapporto sessuale fine a se stesso, io quella ragazza ero desideroso di sposarla quando sarei diventato maggiorenne.

Arrivammo al secondo piano, mi spiegò che la casa era in affitto e che il cognome che vedevo nella targhetta della porta non era il suo ma della padrona di casa. Sapevo che si era lasciata da poco col suo fidanzato e che non l’amava più, l’averlo sentito direttamente dalla sua bocca quando eravamo seduti in quella villa, mi ha reso felice, non avevo più nessun rivale in amore, niente sofferenze per gelosia, lei poteva essere mia e soltanto mia. Avrei voluto chiederle informazioni circa la sua famiglia, se avesse ancora un padre o una madre o li avesse persi entrambi, se avesse fratelli o sorelle o fosse figlia unica, se lavorasse ed eventualmente dove ed altre notizie di questo genere ma preferii tacere per non sembrare invadente, comportandomi nell’identico modo di come avevo agito in macchina e cioè non chiedendole se amasse truccarsi. Mi bastava sapere che era una donna libera, senza figli e senza essere sposata e per di più con una casa tutta sua, sia pure in affitto, tutto l’opposto rispetto a me che vivevo ancora alle dipendenze dei miei genitori, sotto il loro tetto e che dovevo rientrare a casa ad un certa ora pena severe punizioni fatte a fin di bene, si fa per dire.

A prima vista, aprendo la porta, la casa appariva piccola ma ben tenuta, pulita, curata, ordinata, persino profumata, sembrava un vero gioiellino, si notava subito la mano esperta di una donna, l’ideale alcova d’amore per due piccioncini, io e lei in questo caso.

Si recò in cucina, io dietro come la sua ombra, il suo fantasma assecondandola in tutto ciò che faceva, la fiducia verso lei aveva raggiunto punte altissime, mi fidavo ormai ciecamente, la conoscevo solo da qualche ora ma mi sembrava di conoscerla da sempre. La consideravo ormai un’amica vera, una ragazza assolutamente normale, non scorgevo più nessun mistero nella sua personalità, nessuna forma di timore verso di lei, soltanto quel suo nome Laila, lo reputavo ancora alquanto curioso e particolare come quando me lo disse nella villa; ma di nomi strani, specie stranieri, ve ne erano in giro a dosi elevate quindi il suo non mi sorprendeva poi così tanto, e poi una persona originale come lei era giusto che portasse un nome non comune, mi convinsi di questo.

Laila aprì il frigo, prese una bottiglia d’acqua gelata, la versò in un bicchiere e la bevve tutta d’un fiato, evidentemente doveva avere un gran sete malgrado non ci fosse un caldo insopportabile ma forse era un altro tipo di sete la sua, chissà! Avrei voluto sconsigliarle di bere acqua gelata perchè avrebbe potuto farle male allo stomaco, io stesso non bevevo mai acqua dal frigo, ma ancora una volta preferii rimanere con la bocca chiusa per non contrariarla. Mi chiese se anch’io avessi sete e al mio “no grazie” non insistette più di tanto.

Poi tornò indietro e chiuse a chiave la porta d’ingresso che aveva lasciato aperta prima, forse perchè vinta dalla troppa sete. Fu quello il segnale della mia completa arresa a lei e alle sue voglie, accettai senza esitazioni e senza proferire parola alcuna, la sua ormai imminente seduzione.

Andò quindi decisa nella camera da letto spalancando la relativa porta che prima appariva socchiusa. Ricordo ancora adesso con un’emozione fortissima e con un brivido sulla pelle, quello che provai nel vedere per la prima volta quella stanza. Mi sembra di riviverlo oggi allo stesso modo di allora, con la stessa identica intensità! Certe sensazioni, nella vita, non si potranno mai dimenticare. Se avessi deciso di non seguire quella ragazza e di rimanere seduto da solo su quella panchina in quella villa, non avrei potuto rivivere quelle splendide emozioni e soprattutto non mi sarebbe stato possibile scrivere questa storia, che, ci crediate o no, è assolutamente reale.

Bellissima, appariva agli occhi miei, quella camera con quel lettino tenero e grazioso, il cuscino morbido che sembrava quello di una principessa, alcuni pupazzetti come fosse rimasta nel suo io ancora bambina. Tutto lì dentro sapeva di favola, di magia, suggestivi i colori, particolare l’arredamento, ogni cosa denotava fantasia e buon gusto, l’atmosfera era accomodante, idonea per qualsiasi rapporto intimo d’affetto o altro. Ma la parte più importante di ciò che mi ruotava intorno, era lei e soltanto lei, l’attrice principale, la mia sirenetta e forse regina, la donna del grande amore, per la quale vivere e morire, il concentrato di tutti i miei sogni e desideri, quelli più veri ed autentici ma anche anche i più segreti ed inconfessabili. Quella sua camera da letto, piccola e tutta raccolta in se’ stessa, era il palcoscenico ideale affinchè un ragazzino di quattordici anni potesse finalmente giocare a fare l’eroe. Forse qualunque altro uomo, indipendentemente dal condizionamento sociale o dalla propria morale, avrebbe pagato qualsiasi prezzo pur di trovarsi lì al posto mio, da solo con quella bellissima ragazza ma l’assurdo ed incomprensibile destino, forse per un colpo di fortuna o chissà per quale altro arcano mistero, ha voluto che ci fossi io, la persona forse meno indicata per coglierne il fascino, la poesia e l’intensità di quell’attimo. Può darsi invece che la tenerezza disarmante dei miei giovani anni, fosse l’ideale per conferire a quella particolare situazione una carica emozionale incommensurabile ed irripetibile.

La mia Laila, contrariamente ad ogni mia previsione, non si spogliò subito ma rimase completamente vestità ne’ tentò in alcun modo di denudare me. Ai miei occhi ragazzini però, appariva seducente e bellissima ugualmente, forse anche di più di come avrebbe potuto sembrarmi se fosse stata nuda, ricordo bene che non rimasi affatto deluso da quella sua decisione, io mi ero innamorato di lei nella sua interezza, nuda o vestita per me avrebbe avuto lo stesso significato. Il solo fatto di trovarmi lì nella sua camera da letto solo con lei, era per il mio cuore motivo di gioia ed insieme di latente e prematuro orgoglio di maschio.

Poi, improvvisamente, si sdraiò di colpo e a pancia in su, a peso morto sul letto, tenendo le braccia allargate e protese da ambedue i lati come in atto di chi è stata appena crocifissa, con la sola bocca leggermente aperta, lasciando intravedere una lingua bellissima e pulsante di vita come fosse un piccolo serpentello e lei stessa la mia Eva nell’Eden.

Mi fece cenno dolcemente di sdraiarmi sopra di lei, lo chiese con grazia, attraverso un gesto di totale rassicurazione ed insieme di conturbante complicità.

Dopo un attimo iniziale di smarrimento da parte mia, sentendomi gratificato dall’interessamento di una così bella donna verso di me che in fondo ero solo un ragazzino insignificante e privo di esperienza, capii che era mio dovere non deluderla e non darle un dispiacere e agii seguendo quello che mi aveva invitato a fare, lo feci con estrema naturalezza e senza per nulla sforzarmi.

Mi distesi quindi su lei e provai subito una situazione d’imbarazzo ed insieme di eccitazione, mai infatti nel corso della mia breve vita, neanche con la sola immaginazione, avevo preso in considerazione l’ipotesi di trovarmi realmente in una posizione simile, col mio corpo schiacciato sopra quello di una donna. Fu un’emozione intensissima per coinvolgimento emotivo e sconvolgimento dei sensi, intuii la capacità della potenza erotica che è in grado di sprigionarsi nel momento in cui si ha sotto il proprio corpo di maschio, quello di una donna. Anche se ci si sforza di cogliere principalmente il lato spirituale e sentimentale del rapporto che indubbiamente esiste anche, è la carnalità selvaggia ed animalesca che prepotente esce fuori e ne prende inevitabilmente il sopravvento e questo accade a qualunque età anche e in special modo a quattordici anni. Si dirà, forse per luogo comune, che in quel contesto una donna stava soggiogando e persino violentando un ragazzino incapace di comprendere e di difendersi ma io giuro che non mi sentivo affatto violentato o indifeso anzi, al contrario, la violenza l’avrei subita realmente se avessero tentato con forza di allontanarmi da lei e da quel posto, sarebbe come se provassero a svegliarmi di colpo interrompendo bruscamente un bellissimo sogno, facendomi ritornare tristemente nella mia solita, monotona e senza senso, realtà di ragazzino. Allora sì che sarei potuto rimanere segnato in negativo per tutto il resto della mia vita.

Ci guardammo per un bel pò di tempo fissi negli occhi sempre restando fermi in quella posizione e senza parlare. Mi sorpresi per la naturalezza mediante la quale riuscivo tranquillamente a sostenere il suo sguardo pur essendo così vicino a lei con i miei occhi che quasi toccavano i suoi. Lo trovai alquanto strano perchè la mia innata timidezza mi impediva spesso di fissare a lungo negli occhi qualunque interlocutore, specie una ragazza ma evidentemente con lei tutto era diverso, Laila era la donna della mia vita e con la sua presenza crollava ogni mia timidezza, era abbattuto l’incrollabile muro del tabù e delle inibizioni, mi sentivo perfettamente a mio agio. Non posso far altro che riconoscere con la mente adulta e più matura, si fa per dire, di adesso che il merito di quel mio stare bene è sicuramente da attribuire a lei. Quella ragazza era riuscita, secondo me senza trappole o schemi preordinati, ad acquistare la mia fiducia, e lo ha fatto con estrema naturalezza e spontaneità, semplicemente mostrandosi per quello che era, esprimendo liberamente ciò che voleva senza maschere di ipocrisia o doppi fini di convenienza. Lei mi ha dato una grande lezione di vita con stile e garbo, in questa società di oggi dove tutto è affare, convenienza od opportunismo e nessuno fa niente per niente.

Poi Laila mi sussurrò all’orecchio continuando a guardarmi dentro gli occhi:

“Fa’ di me quello che vuoi! Tutto quello che ti senti di fare, liberamente, lasciati andare ma non fare nulla di ciò che non vuoi, se preferisci puoi spogliarmi, accarezzarmi dove e come vuoi tu!”

E fu così che io, timido ed introverso ragazzino, da una condizione di schiavo di quella situazione come lo ero fino a pochi istanti prima, mi trasformai improvvisamente in assoluto padrone ed arbitro della situazione medesima.

Io che non avevo mai avuto nessun contatto fisico con l’altro sesso sino ad allora, ecco che mi ritrovavo tra le mani e tutto in una volta, il massimo che un ragazzino potesse avere e desiderare, scherzi del destino? Non lo sapevo neanch’io nè mi ponevo il problema, impegnato e preso com’ero da quei momenti indimenticabili che capitano una sola volta nella vita e mai più.

Come un bambino che trova in regalo dinanzi a se’ un’infinità di giocattoli uno più bello dell’altro e felice ed emozionato non sa quale usare per primo nei suoi giochi, così mi sentivo io che volevo ma non sapevo come fare per iniziare e con quale mossa cominciare.

Lei, sicuramente molto più esperta di me, sorprendentemente non prese la benchè minima iniziativa, restando del tutto passiva, attendendo ma non osando, pur desiderandomi almeno quanto io desideravo lei, se non di più.

Forse la mia età troppo giovane la induceva ad avere prudenza e a comportarsi in quel modo o forse era solo questione di rispetto, di educazione, di altruismo, tutte doti che possedeva innati in lei, a farla reagire in quel modo.

Finalmente il mio istinto si lasciò guidare dal cuore e decise di compiere il gesto più dolce, tenero e commovente che esista al mondo, meraviglioso preludio di ogni rapporto d’amore: il bacio. L’amore autentico che credevo di sentire nei suoi confronti, la voglia di vincere a tutti i costi la paura di non sapere come baciare, il desiderio e la curiosità di provare a farlo per la prima volta e con la persona giusta che comprenda e non giudichi possibili miei immaturi sbagli nel compierlo, mi spinsero ad avvicinare le mie labbra alle sue.

Capii in quel momento che dovevo tirare fuori la lingua e strofinarla alla sua, proprio come avevo visto fare tante volte nei films d’amore e non solo, era indispensabile per sentire più vicina la persona che ami. Anche in questo caso trovo straordinario il fatto che Laila continuò a recitare il ruolo passivo di chi cercava solo di assecondare i miei desideri senza mai avere la pretesa di essere e fare la mia insegnante nonostante avesse tutte le qualità e le capacità per farlo, evidentemente il rispetto verso di me era incredibilmente illimitato.

Anche nel contatto delle lingue notavo che lei si limitava, anche se con moltissima passione e trasporto, a seguire i movimenti della mia lingua contro la sua, senza metterci nulla della sua arte amatoria che doveva avere, eccome! Sembrava una ragazzina, come se stesse provando anche lei la magia del primo bacio.

Oggi, ripensando a tutto questo, non posso che confermare la grande ammirazione che conservo sempre nel cuore per lei, una ragazza bella, libera, disinibita, educata, pulita, intelligente e con mille e mille altre qualità che avrebbero bisogno di parecchi fogli di carta per poterle elencare. Mi son chiesto spesso se con un uomo della sua età, si sarebbe comportata allo stesso modo, una domanda assillante alla quale non potrò mai dare una esatta risposta.

Quel mio primo bacio si rivelò lungo e appassionato come non mai, regalandomi sensazioni troppo intense per poterle anche solo descrivere a parole, non le si darebbe infatti giustizia, certe emozioni vanno vissute realmente in prima persona e basta, solo allora ci si può rendere conto della loro straordinaria intensità. Quello che più mi sorprese di quell’atto fu la capacità che esso possedeva nel coinvolgere in maniera totale ed elettrizzante ogni minuscola parte del mio corpo senza escluderne nessuna, ogni particella, ogni molecola, ogni atomo di me vibrava, partecipava a quell’iniziazione, a quel rito d’amore come il coro di un orchestra che cantava note di armonico piacere. E pensare che qualcuno chiama ancora “fornicazione” quell’attimo di intenso piacere che il nostro corpo attraverso la creazione della natura madre, ci vuol offrire; c’è tanto, troppo odio e sofferenza nel mondo, mi chiedo perchè condannare anche un atto d’amore o di sesso, è pur sempre un’emozione, dove sta il male? Perchè lo si deve trovare per forza e ovunque anche nell’unico posto dove non c’è.

La cosa curiosa e comica, consisteva nel fatto che il semplice baciarsi sia pur appassionato, alla “francese” come si definisce di solito, per me equivaleva ad un rapporto sessuale vero e proprio, era talmente intensa e dolcemente violenta l’emozione che provavo in tutto il mio essere che non potevo assolutamente concepire un’emozione ancora più forte tipo quella che scaturirebbe inevitabilmente da un rapporto sessuale completo. La mia mente infatti non era in grado di formulare, accettare o concepire anche la sola idea, il solo pensiero che potesse esistere un piacere più intenso di quello che stavo provando nel baciare Laila.

Sentivo il cuore esplodermi in petto, tutto il mio sangue rimescolarsi nelle vene, una tempesta erotica di gran lunga superiore al piacere provato in tutte le mie masturbazioni solitarie fatte in precedenza e messe tutte insieme. Dovevo esplodere, proprio come una bottiglia di spumante smossa furiosamente, non feci più alcuna resistenza nel tentativo di oppormi, non ero nelle capacità di poterlo fare pur volendolo, e raggiunsi, sempre baciandola, un orgasmo intensissimo e lunghissimo che sembrava non finire mai malgrado la mia giovane età, ma era davvero troppa la tensione accumulata in quel giorno. Lo raggiunsi accompagnandolo con un dolce lamento a metà tra un urlo e un sospiro e mi sentii subito bagnato nelle mie parti intime ma senza viverlo come un dramma o con sensi di colpa ma come una conseguensa del tutto naturale ed indispensabile.

Lei ovviamente si rese conto di tutto quel che mi stava capitando da subito e contribuiva con l’intensità del bacio ad indirizzare il mio dolce e vibrante cammino verso l’orgasmo, ruotando la sua lingua più velocemente in prossimità di esso, in perfetta sintonia con i movimenti della mia, staccando la sua bocca dalla mia bocca solo dopo che io, dopo aver raggiunto l’orgasmo e volontariamente, avevo smesso di baciarla.

Venni in questo modo, del tutto originale e prematuro ma non per questo meno bello e coinvolgente. Godetti senza nemmeno averla spogliata, senza neanche aver sfiorato il suo corpo con un solo dito e senza che mi facesse la benchè minima carezza, sembra tutto così finto ed incredibile analizzato con gli occhi di adesso!

Dopo aver raggiunto quell’estasi, istintivamente sentii forte il bisogno di restare sdraiato su di lei, con il capo chinato da un lato appoggiato tra i suoi seni e gli occhi chiusi, sentivo il bisogno di dormire, di rimanere più a lungo possibile in quel modo assaporando la quiete di quegli istanti successivi all’eccitazione. Anche questa volta, e non poteva essere altrimenti, lei pazientemente e con amore assecondò in pieno questo mio desiderio, facendo prevalere la mia volontà rispetto alla sua voglia erotica che era rimasta inappagata. Fino all’ultimo istante Laila mi dimostrò la sua grandezza interiore, la sua comprensione, la sua dolcezza.

Prima di chiudere gli occhi e di addormentarmi sul suo corpo inerme, trovai la forza per dirle soltanto queste semplici parole ma dettate dal profondo del mio cuore:

“Ti amo Laila! Vuoi sposarmi?”

Lei sorrise e dopo mi rispose:

“Sì, quando sarai più grande”.

Chiusi gli occhi felice e mi addormentai con la sua mano fra i capelli.uid_123a2b65bc5_580_0


in foto: Claudio Cisco da adolescente30713623_10214220962710457_431815053678763451_n

Apr 20, 2018 - letteratura sul web    Commenti disabilitati su COLEI CHE BREVEMENTE FU E CHE MAI IN VITA CONOBBI (Claudio Cisco)

COLEI CHE BREVEMENTE FU E CHE MAI IN VITA CONOBBI (Claudio Cisco)

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“Colei che brevemente fu

   e che mai in vita conobbi”

 

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QUANDO L’IMMAGINAZIONE ECLISSA LA REALTA’.

L’INCREDIBILE E MISTERIOSA AVVENTURA

VISSUTA DA UN RAGAZZO

OLTRE I CONFINI DELLA VITA

 

 

LA TRAMA DELLA STORIA

 

La narrazione è ambientata a Messina, nella parte più alta ed antica del cimitero, dove è tuttora sepolta la protagonista del racconto.

Manuel, un ragazzo diciannovenne messinese strano e solitario, rincorre ossessionatamene l’ombra di una ragazza vissuta nella stessa città per quasi diciassette anni nel secolo dell’Ottocento, figlia di nobili dell’epoca, Marietta Cianciolo.

Si lascia talmente coinvolgere da quest’incantesimo, da effettuare minuziose ricerche sull’identità e sulla vita passata di lei. Arriverà a rasentare la follia non riuscendo più a distinguere il confine che divide il reale dall’immaginario. Farà rinascere dalla morte la ragazza grazie alla forza dell’immaginazione e alla sua fervida fantasia, fino a instaurare con lei un rapporto di profonda amicizia fatta di confidenziali dialoghi di alto spessore umano e spirituale, colmi di semplicità e tenerezza.

Il romanzo racchiude citazioni sulla storia di Messina antica con   particolare riferimento alle origini del Cimitero Monumentale e alla genealogia di qualche famiglia nobile messinese dell’Ottocento.

 

 

 

INTRODUZIONE

 

Vi giuro che non so neanch’io il perché abbia scritto questa storia inverosimile, chissà perché l’ho fatto! chissà chi mi ha ispirato! certo non io stesso, di questo almeno ne sono sicuro. Quando si è troppo soli o ci si sente del tutto incompresi, si può arrivare a inventare un’amica immaginaria alla quale poter confidare i propri sogni, le proprie emozioni, le paure e le speranze di chi sa di poter dare molto agli altri ma di non essere messo in condizione di poterlo fare. È un po’ come quando uno parla da solo, e magari arriva al punto perfino di confondersi, oppure si guarda allo specchio invecchiato di fuori e, riflesso, si vede bambino di dentro, come se il tempo della giovinezza non fosse mai trascorso e restasse eterno in sintonia e simbiosi con la propria anima. Alla cosiddetta “maturità” d’un uomo che è già vecchio senza rendersene conto, che nel suo cuore ha già sostituito il mondo delle favole con quello dei soldi e della posizione sociale, io oppongo la meraviglia e lo stupore dei miei occhi rimasti ancora di bambino, capaci di vedere il mondo come un nuovo gioco, un magico Natale pieno di luci e palline colorate, di ricreare con la fantasia l’innocenza e la tenerezza di chi bacia per la prima volta. Se solo potessi, attraverso le mie poesie o i miei libri, far capire a tutti che è nella semplicità, nella purezza incontaminata dei sogni, nel far rivivere il bambino presente in ognuno di noi, che si può trovare la vera felicità, la serenità, quella luce che ci fa sentire più vicino a Dio in una vita piena di significato e d’amore. Se solo riuscissi a farmi ascoltare tramite questo libro arrivando dritto al cuore del lettore, prestandogli i miei occhi, gli farei ammirare quanta poesia vi è in un fiore che sboccia, in un bimbo che ride, in un raggio di sole, nel volo di un airone e in mille e mille altre piccole cose quotidiane della vita che sono state create per noi, affinché ogni uomo possa rinascere ogni volta, sentendosi in armonia con l’universo, parte di esso, ritrovando la propria dimensione. Se solo l’uomo riuscisse a guardarsi dentro e ad aprirsi all’infinito che lo circonda, scoprirebbe quanto sia bello il mondo, quanto sia favolosa la natura.

La bellezza, la felicità è tutta intorno a noi, nei nostri sensi, nell’aria che respiriamo, in ogni minuscola particella vivente che pullula di vita e d’amore. Ogni essere umano, anche il più povero che possa esistere sulla faccia della terra, è ricco e non sa di esserlo.

Per tutto questo, ho deciso di scrivere questo libro. Nella figura di una creatura immaginaria, io proietto tutto me stesso, i miei sogni e le mie speranze, vedo riflesso Dio, l’azzurro del cielo, il bacio della ragazza che amo, un bambino che non è mai cresciuto. Questo racconto è per tutti voi che credete ancora alla magia dei sogni ma soprattutto per chi non crede affinché possa provare a farlo. È anche per tutti coloro che amano quella meravigliosa e fiabesca avventura che è la vita che, anche se apparentemente può sembrare triste e difficile, in realtà è splendida e degna di essere vissuta sempre e in ogni caso.

In Marietta, la protagonista del mio romanzo, io proietto ancora tutto il mio sincero amore verso una vita traboccante di emozioni e di speranze.

Forse è solo un sogno, lo so, ma non posseggo null’altro, è tutto quello che ho.

Il romanzo è narrato quasi per intero in prima persona e mi vede protagonista.

Tuttavia ho preferito usare lo pseudonimo di Manuel. Tutti i nomi e i fatti citati nel racconto corrispondono a persone realmente vissute e a fatti realmente accaduti.

 

L’Autore

 

 

 

 

 

 


COM’ERO. IL MIO STATO D’ANIMO

Avevo 19 anni, sì, solo 19 anni, l’età più bella, sentivo dire dagli altri; l’età che tutti desidererebbero avere e magari mantenerla per sempre, a dispetto del tempo. Ma io, io non ero felice. Era come se quella bellissima età non mi appartenesse, o meglio non fosse stata mai mia. Se dovessi giudicarmi per com’ero allora, con gli occhi obiettivi e più maturi di adesso, probabilmente mi verrebbe facile dedurre che ero completamente immaturo, vittimista, strano e aggiungerei anche un po’ folle, anzi del tutto folle, ma d’una follia che rasenta la creatività, una follia sinonimo di stranezza, tipica di quelle anime elette, fragili, eternamente insoddisfatte che identificano nei sogni la loro voglia d’evasione, il desiderio, anzi il bisogno, di protendersi verso l’agognata libertà assoluta, unica àncora di salvezza contro gli abissi del dolore. Continuando a guardarmi con gli occhi di adesso, devo ammettere che oltre ad essere o voler sembrare folle, avevo radicata in me sin dalla nascita, una sorta di tristezza senza guarigione, desolata e abbandonata, senza una motivazione plausibile che la giustificasse. Una strana tristezza che io, un po’ ingenuamente, ritenevo potesse essere prerogativa dei geni incompresi e che contribuiva negativamente a farmi isolare sempre più dai miei coetanei, dai miei genitori, dal mondo che mi circondava e che appariva ai miei occhi tutto sbagliato. Era una tristezza che non trovava assolutamente sbocchi perché alimentata sempre e solo dal mio io, chiusa in un lacerante e ingiustificato pessimismo. Già, devo chiamarlo proprio così “ingiustificato pessimismo” perché in verità non vi era stato proprio nulla di così rilevante da poter giustificare un simile stato d’animo. Nulla la vita mi aveva riservato di così triste e crudele, ad altri, sicuramente, molto di più. Penso, ad esempio, agli handicappati, ai tanti malati che scoprono il dolore giorno dopo giorno nelle corsie degli ospedali, agli emarginati di ogni genere, agli orfani, ai poveri, ai vecchi soli al mondo abbandonati al loro destino, a chiunque insomma possa aver sperimentato realmente tutto il male che io pensavo fosse destinato solo a me e a nessun altro. La cosa che oggi mi sembra più assurda, consisteva nel fatto che io mi ero proprio crogiolato nella mia stessa tristezza, mi ero quasi chiuso in una specie di urna di cristallo dove proteggermi dalle insidie del mondo e da tutto ciò che rappresentava la vita all’esterno e che mi ruotava intorno. Fuggivo dal mondo e, quel che era peggio, da me stesso. La tristezza era per me diventata quasi un alibi, un approdo sicuro, un modo di essere nel quale trovare la mia dimensione più congeniale. Tristezza uguale incomprensione degli altri verso di me, questo era il mio assurdo binomio che serviva solo per alimentare maggiormente la mia solitudine. A dire il vero, ho sempre cercato in quel periodo e in special modo adesso che ho una capacità di analisi migliore, di scavare nella mia infanzia con la speranza di trovare una risposta a quel mio inusuale modo di essere e di rapportarmi agli altri, modo che, sia pure in minuscola parte, mi porto ancora adesso, nonostante i miei 40 anni superati. Ma, nonostante mi sforzi minuziosamente a trovare qualche indizio utile alla causa, qualunque giusta e valida prova, non riesco a riscontrare nulla di realmente importante. Sento dire che ogni essere umano sia il prodotto di un insieme di fattori ereditari che s’intersecano tra loro, di una infinità di condizionamenti ambientali, probabilmente questo è anche vero, ma io non riesco a scorgere proprio nessuno dal quale possa aver ereditato un carattere così particolare. Forse l’esser venuto al mondo dopo ben 16 anni dalla nascita di mia sorella e da una madre non più giovanissima particolarmente attaccata a me e troppo apprensiva nei miei confronti, può forse aver generato nella mia psiche, una certa insicurezza scaturita proprio dal troppo affetto materno. Una iperprotettività che mi ha impedito di crescere, di spiccare il volo verso nuovi orizzonti che apparivano ai miei occhi, sconosciuti e temuti.

Siamo sempre però nel campo delle ipotesi perché io, in realtà, testardo e un po’ narcisista oltre che esibizionista, facevo sempre di testa mia, non prendendo troppo in considerazione i consigli e gli insegnamenti di mia madre, come quelli, del resto, di chiunque altro. Tutto questo però non lo facevo per ribellione o per il semplice e banale gusto di trasgredire, ma perché ritenevo, e ne sono convinto anche adesso, che sia giusto fare ognuno le proprie esperienze, magari sbagliando per poi correggersi da soli senza commettere mai più, possibilmente, gli stessi errori. Solo così si può crescere e maturare, imparando sulla propria pelle, a proprie spese. Ho sempre pensato che nella vita bisogna appoggiarsi soprattutto a se stessi e alle proprie forze perché non esiste nessuno al mondo all’infuori di noi stessi, capace di capirci e volerci bene più di quanto possiamo volercene noi. Non bisogna ovviamente cadere nell’eccesso, ossia cedere all’egoismo, ma dosare il tutto con intelligenza ed equilibrio. Solo chi ama veramente se stesso, può poi trasferire parte di questo amore al prossimo. Questa è un po’ una mia legge, un mio modo di pensare che non pretende assolutamente di essere condiviso o di valere per tutti.

Anche il mio rapporto con la religione e con la fede, era un po’ vacillante in quel periodo, non solido come avrebbe dovuto essere. Sì, credevo in linea teorica all’esistenza di un Dio, anche perché cresciuto in una famiglia di forte ispirazione cattolica.

Conoscevo per averli sentiti nell’aria, anche inconsapevolmente, gli insegnamenti del Vangelo, i dogmi ai quali prestare solenne fedeltà. Ma, al momento estremo del bisogno, più che alla provvidenza divina, mi rivolgevo alle mie stesse forze, alla mia volontà, alla voglia di reagire, di non lasciarmi andare. Tuttavia possedevo dentro, una innata bontà che mi impediva persino di uccidere uno scarafaggio, per non provare poi il rimorso di aver distrutto una vita che, anche se apparentemente insignificante, rappresentava lo stesso una vita e come tale esigeva il massimo rispetto. Incapace di fare del male a chiunque anche verso chi ne faceva a me, non porgevo l’altra guancia, ma non reagivo, allontanandomi da lui senza meditare vendette o provare rancore di nessun tipo. Avevo pochi amici a causa del mio carattere schivo e solitario ma non ho mai avuto nemici. Mi facevo voler bene ed ero sempre pronto ad ascoltare chiunque senza pregiudizi di nessun tipo. Non riuscivo proprio a dar dispiaceri a nessuno se non a me stesso. Non trovavo giusto fare agli altri quello che non avrei voluto fosse fatto a me. Il mio era un ragionamento logico, elementare, non scaturito o influenzato dall’insegnamento cristiano, anche se poi, in pratica, coincideva perfettamente. La cosa più curiosa di allora, consisteva nel fatto di essere arrivato addirittura a mitizzare la sofferenza e, di conseguenza, anche la mia tristezza.

Pensavo fosse quasi un dono divino che sarebbe servito all’uomo, ma non per redimerlo scontando i peccati terreni in prospettiva d’una redenzione futura, ma bensì per esternare la propria sensibilità artistica. Già, avevo creato un altro assurdo binomio che consideravo allora inscindibile e che tuttora sono convinto che possa esistere, sofferenza uguale arte. Soltanto soffrendo, pensavo, è possibile diventare sensibili e di conseguenza artisti. Più si soffre e maggiormente si matura, si alimenta l’ispirazione artistica.

Non è un caso che le mie poesie più belle, o almeno quelle alle quali sono più legato, le più vere, le più sincere siano nate da una sorgente che esprimeva la tristezza d’un momento. Non so perché, ma ancor oggi, non riesco a scrivere nulla nell’istante in cui sento di essere felice o sereno per meglio dire, perché “felicità” è una parola troppo grande. Un artista, in genere, compone quando sente dentro il bisogno di comunicare qualcosa agli altri, una propria intima emozione, che è tanto più forte ed intensa, quanto più ombra ha nel cuore. Un uomo cerca l’acqua solo quando ha tanta sete. Non so perché ma è così.

Confesso però che mi sarebbe piaciuto e che mi piacerebbe ancora, poter scrivere in un momento di gioia, proprio per sentirmi altruista e aiutare così il mio prossimo, trasferendogli tramite l’arte, un po’ della mia letizia. Purché lo voglia chiunque, non solo artista, nella vita di tutti i giorni, può regalare un sorriso a chi ne ha veramente bisogno che, per quanto piccolo possa sembrare agli occhi di chi lo offre, è sempre meravigliosamente grande e importante per chi lo riceve.

Ritornando a guardarmi all’età di 19 anni, continuo a non capire ancora il motivo per il quale preferissi la solitudine dei cimiteri, alle compagnie e ai divertimenti giovani.

Non mi rendo conto del perché di tutte le fobie d’allora, delle mie ansie implacabili, delle mie paure ossessive, della mia in un certo senso depressione, tutti problemi che, fortunatamente, ho risolto in età adulta tranne qualche minuscolo residuo facilmente domabile, ma che allora, sembravano per me inguaribili, autentici drammi. È strano però il fatto che io, cantore follemente innamorato della bellezza dell’adolescenza e più in generale della giovinezza, debba trovare un po’ di equilibrio e di serenità, soltanto oggi che ho 40 anni, trovo tutto questo così paradossale e non mi oriento più. Se solo avessi avuto, in quel periodo, lo stesso coraggio che ho adesso di prendere di petto tutti i miei problemi, di affrontarli con coraggio, faccia a faccia, senza partire battuto ma con la consapevolezza di poterli vincere, di poter dire loro: “Non mi fate più paura, io sono più forte di voi!”

Se solo avessi avuto allora l’intelligenza, la maturità, la saggezza che mi ritrovo oggi e soprattutto la forza di credere nella mia volontà, tutto sarebbe stato diverso e forse non avrei avuto nemmeno l’ispirazione per scrivere la storia che sto per raccontarvi. Ma, nella vita, nulla accade per caso, anche se in apparenza può sembrare senza spiegazione. Sarei stato un ragazzo praticamente normale come tanti altri, anche se, in ogni caso, la normalità è sempre relativa e riduttiva se per normalità si vuole intendere massificazione, fare cioè quello che tutti fanno, che gli altri vorrebbero che tu facessi. Bisognerebbe sempre, in tutti i modi possibili, battersi per difendere il proprio modo di esprimersi e di essere, senza assurde e incomprensibili maschere imposte da una società troppo   spesso stereotipata e insensibile alle esigenze del singolo. E pensare che ogni essere umano è un esperimento di vita, unico e irripetibile e che ha quindi tutto il diritto di essere uno spirito libero, al di fuori di schemi preconfezionati, tradizioni o condizionamenti di nessun tipo, felice di manifestare la propria identità che si diversifica da quella degli altri ma, allo stesso tempo, si integra con l’altrui libertà, rendendo la vita ancora più bella perché varia, tollerante, colorata. Uno strano ragazzo, sicuramente, molto particolare, fuori dal comune, ero io. Magro, con i capelli lunghi, vestito in maniera trasandata, senza seguire nessuna moda in voga in quel periodo. Un look schizofrenico, nel senso di liberissimo, contraddittorio, fuori da ogni regola o criterio di abbigliamento, senza il minimo abbinamento di colori che potesse dare un certo gusto estetico all’occhio. Alternavo assurdi pantaloni a quadretti tipici da clown, a strane e lunghe giacche rosa. A volte vestivo completamente di nero con dei spettrali occhiali scuri, accentuando così la mia magrezza che era per me una specie di complesso, a tal punto da impedirmi di mettermi in costume da bagno pur adorando il mare. Portavo sempre dei fazzoletti intorno al collo, di vario colore che mi procuravano, e ne ero molto orgoglioso, un’aria misteriosa e un po’ tenebrosa ma, al tempo stesso, potevo dare l’impressione di un bambino diventato adolescente troppo in fretta che suscitava immediata tenerezza e un istinto quasi materno di protezione. Non ero certamente brutto, anzi tutt’altro. Ero forse simpatico e persino carino ma non facevo nulla per evidenziare queste mie qualità, anzi, facevo del tutto per tenerle nascoste. Il colore chiaro dei miei occhi, ad esempio, che spiccava con la mia carnagione abbronzata e col castano dei miei capelli, veniva quasi sempre nascosto da occhiali scuri, come già detto, e il vestiario poteva sembrare più da zingaro anziché quello di un ragazzo che vuol farsi ammirare in armonia con la propria giovane età. Facevo insomma, forse in parte anche involontariamente, di tutto per sembrare più inguardabile di quanto in realtà non lo fossi, presentandomi agli altri come mai e poi mai avrei dovuto apparire. La dolcezza quasi infantile del mio viso, i miei lineamenti oserei dire quasi efebici, erano continuamente mortificati e messi in discussione da un’espressione che io, ad arte, facevo diventare da duro oppure di chi sembrava perso nel vuoto che contrastava nettamente con la mia disarmante sensibilità e soprattutto con l’età che dimostravo. Avevo infatti la grande fortuna che ho anche adesso, di sembrare un paio d’anni più piccolo rispetto alla mia vera età. Potevo dimostrare sì e no 14 o al massimo 15 anni. Guardandomi per ore allo specchio, a volte mi piacevo, altre invece mi detestavo trovandomi tutti i difetti possibili, fino al punto di rompere gli specchi. Era innata in me una certa timidezza che ancora un po’ conservo e che si manifestava nella mia quasi impossibilità di fissare a lungo negli occhi qualunque interlocutore, specie se si trattasse di una ragazza. I miei occhi un po’ impauriti, spesso si abbassavano di colpo, come per cercare un nascondiglio nel quale potersi rifugiare. Già, le ragazze. Con loro il mio è stato sempre un rapporto particolare. Anche in questo campo, il mio grande amore per il sogno veniva a galla. trasformando la realtà in immaginazione. Vivevo infatti amori immaginari e platonici. Le ragazze che solo io sapevo di amare, esistevano davvero, se non altro, e non come la protagonista defunta di questo libro, ma non sapevano mai nulla del mio segreto amore nei loro confronti. Io, fra l’altro, sia per timidezza, sia per la paura di guastare il sogno, non avrei mai avuto il coraggio di confessarlo. Questo mio infantile e patologico modo di concepire l’amore, in piccola parte mi è rimasto ancora oggi nella mia personalità di adulto. Infatti forse ora non cerco una ragazza o una donna specifica in quanto tale, ma amo l’idea dell’amore, della compagna che non si trova, che non esiste, quasi sublimata in angelo, segno d’una chiara mancanza di predisposizione e di adattamento alla vita reale. Sensibilissimo com’ero, lo sono ancora adesso, consapevole di essere diverso dai miei coetanei ma mai reputandomi superiore a loro, cercavo di attirare la mia attenzione presso le ragazze, adottando un comportamento inusuale, a dir poco strano se non folle, ma ottenevo sempre inevitabilmente l’effetto contrario e diventavo ridicolo ai loro occhi. Non avevo la maturità e la furbizia necessarie per capire che, per avere successo con l’altro sesso, per essere apprezzati, bisogna semplicemente essere se stessi. Andava a finire così che mi sentissi sempre più solo, giudicando tutte le ragazze, nessuna esclusa, vuote, superficiali e materialiste, prede di facili ideologie alla moda e incapaci di comprendere la mia interiorità. Non capivo che l’unico che non funzionava in quel contesto, ero proprio io, io e soltanto io. Ricordo che spesso dedicavo loro poesie, già le poesie. La mia passione per lo scrivere   ha radici lontanissime nel tempo, risale agli albori della mia vita, fa parte di me. A volte mi viene il dubbio che scrivessi già dalla pancia di mia madre. Ero e sono comunque veramente contento di questa mia inclinazione, guai se non ci fosse. Mi ha aiutato moltissimo in quel periodo e mi è molto utile anche adesso. È l’unica cosa che so fare, una valvola di sfogo, un modo per canalizzare le mie energie, quasi una confessione, un aprirmi con me stesso e verso gli altri. È un bene quando le mie frustrazioni, le mie nevrosi, anziché uscire sotto forma di malattie, vengon fuori tradotte in espressioni artistiche. Guai se non scrivessi più, sarebbe come ammettere di essere morto. Credo di avere delle qualità, del talento. È un vero peccato che non se ne sia accorto proprio nessuno, che non mi abbiano mai dato fiducia credendo in me. Continuando a viaggiare sulla mia ipotetica macchina del tempo e tornando a ritroso con la memoria, mi vedo davvero stupido all’età di 19 anni, troppo immaturo e troppo bambino. 19 anni che potevano benissimo essere 30, 40, 50, 80 in base alla mia sensibilità artistica ma che, allo stesso tempo, potevano sembrare 12, 10, 8 per il mio modo di porgermi verso me stesso e verso gli altri. Non capivo la cosa più importante ed elementare di tutte le conoscenze in genere e cioè che la vera felicità, la si può trovare nelle piccole cose quotidiane della vita e che sgorga spontanea dentro di noi. Ma non ero l’unico a non aver capito questa semplice verità. Quanta gente importante nel corso della storia non l’ha compresa! Dottori, scienziati, filosofi, poeti, insegnanti sono magari in grado di recitare la Divina Commedia a memoria o tutti i classici della letteratura, ma poi non sono capaci di distinguere il ramo da una foglia. Quando si è troppo impegnati a pensare in grande, ci si dimentica completamente delle piccole cose della vita che sono le più importanti, le più vere, che fanno parte di noi, che vivono con noi e intorno a noi come piccole sorelle non viste dalla nostra cecità assoluta, non percepite dalla nostra attenzione e dal nostro cuore tutto assorbito dal marasma d’una vita materiale. A volte, confesso che vorrei che ogni uomo facesse un piccolo salto nell’aldilà per scoprire la bellezza della propria spiritualità, per poi ridiscendere in carne e ossa su questa terra. Solo allora si renderebbe conto di aver vissuto male, anteponendo la legge della materia a quella dell’anima, smarrendo del tutto la propria identità, la vera essenza della vita. Ho ritenuto giusto, cari lettori, fare questa abbondante premessa su com’ero all’età di 19 anni, non con l’intenzione di annoiarvi anzi qualora questo fosse avvenuto me ne scuso sentitamente, ma poiché credo sia necessaria per inquadrare meglio la mia personalità al tempo in cui si svolsero i fatti che sto per narrarvi, proprio in virtù dell’originalità e della stranezza di tali fatti.

La verità sta proprio nella considerazione che solo uno strano ragazzo quale io ero all’età di 19 anni, poteva trovare l’ispirazione per scrivere una storia così assurda ma anche così coinvolgente.

 

 

 

 

safe_imageMESSINA, INVERNO 1984

Non ricordo con esattezza il giorno preciso del mese in cui cominciò questa strana storia.

So che tutto ebbe inizio così, semplicemente, come quelle storie che nascono senza un perché, con quel famoso detto “C’era una volta” così caro a bambini che lo ascoltavano in dormiveglia, dalle care voci delle nonne o delle mamme, all’inizio di qualsiasi fiaba. Com’è lontano quel magico tempo! Le fate sono diventate giochi elettronici. Oggi tutto è maledettamente cambiato e appare glaciale, freddamente scontato, terribilmente calcolato. Siamo entrati in un tunnel senza uscita e senza ritorno, proiettati dal falso progresso verso un mondo futurista, dove persino il nostro destino risulta scritto in fondo alla memoria d’un computer.

Mass media che dilatano e condizionano le nostre coscienze, satelliti artificiali sulle nostre teste che ci spiano minacciando la nostra privacy e ancora pubblicità senza fine che ci rende tutti visionari martellando il nostro cervello. Nonostante tutto questo, io sono ancora qui a scrivere seguendo con costanza e coerenza le mie idee di sempre, annullando, fin quando mi sarà possibile e ne avrò la forza, il nulla che mi circonda con la forza della mia fantasia, con la bellezza della mia immaginazione, con la gioia di vedere i miei sogni realizzarsi spontaneamente, come una magia, senza falsità ed inganni.

Dicevo, quindi, di non ricordare il giorno esatto, ma posso dirvi con assoluta certezza, che da pochi giorni era entrato l’anno 1984 e ci trovavamo ovviamente nel mese di gennaio. Ricordo anche che era una fredda e malinconica mattinata dal clima autunnale. E tornando a guidare la famosa e già citata macchina del tempo, posso ancora vedermi così com’ero realmente, mentre camminavo per strada per recarmi, come tutte le mattine, a scuola.

Potevano essere circa le 8, considerando che alle 8,30 sarebbe suonata la campanella per entrare in classe. Non ero vestito troppo male vista la maniera con la quale uscivo in quel periodo, anche perché, a scuola, dovevo necessariamente presentarmi con un look adeguato, forse troppo, tale da creare così l’eccesso contrario, cioè quello di essere perfettamente intonati col vestiario, al luogo nel quale si opera. Nonostante ciò, avevo sempre nel mio sguardo, quel solito alone di mistero, quel non so che di velata ed indefinibile malinconia. Avevo piuttosto da portare, oltre al mio sempre presente fardello di tristezza, un peso materiale altrettanto consistente, quello dei miei libri che dovevo necessariamente caricarmi sulle spalle e che servivano più a farmi diventare curvo (alla Leopardi per intenderci) che per impartirmi una sottocultura nozionistica, una specie di ignoranza colta. Ho sempre pensato che la vera scuola, te la dà la vita, la strada dove le cose, giorno per giorno, ti insegnano da sole il loro nome.

Si usava nella mia classe ma penso anche in molte altre, per ragioni di convenienza tra compagni di banco, dividere il numero dei libri esattamente a metà per distribuire in parti uguali gli immani sforzi. Il mio compagno di banco, Piero, veniva però da un piccolo paese del messinese, a metà tra la collina e la montagna, Massa San Giorgio, e quindi, per un atto di dovuta cortesia nei suoi riguardi, è andata a finire che i libri praticamente li portavo quasi tutti io, abitando peraltro in centro, non molto lontano dalla scuola. Già, la scuola. Una scuola per ragionieri, l’Istituto Tecnico Commerciale “Antonio Maria Jaci”. Mi trovavo ormai a frequentare l’ultimo anno ma mi chiedevo ancora cosa ci facessi io, quasi un genio dell’italiano, fortemente appassionato alla letteratura e alla filosofia che sognava ancora ad occhi aperti di diventare professore di Lettere, in una scuola di ragionieri. Uno dei miei tanti errori nella vita. Mai, mai una volta in tempo ci si accorge di aver sbagliato, sempre troppo tardi. E così, alternando voti altissimi nelle materie letterarie, a quelli altrettanto bassi nelle materie tecniche, senza essere mai stato rimandato o peggio ancora bocciato, continuavo ad andare avanti lo stesso, tanto ormai si trattava soltanto dell’ultimo anno, dell’ultimo sacrificio.

In fondo a me piaceva studiare ma solo quelle materie che più mi prendevano e affascinavano e non certamente quelle di tecnica o di ragioneria. Del resto, se ognuno sceglie liberamente nello studio di seguire la strada per la quale si sente più portato, ci sarà sicuramente un motivo. Io non ho avuto fortuna neanche in questo, o forse non sono stato abbastanza lungimirante, non ho saputo scegliere. Tutto si svolgeva a Messina, la mia cara città, una città alla quale ho sempre voluto bene, non perché mi abbia dato qualcosa di particolare ma perché vi ero nato, era un po’ come se fosse casa mia, se rappresentasse la mia infanzia, alla quale ciascuno di noi resta sempre, nel corso della vita, particolarmente legato. Forse sentivo di volerla bene, anche perché, paranoicamente, in solitudine, la percorrevo sempre in lungo e largo, camminando senza meta, solo con i miei pensieri e di conseguenza scattava verso di essa, quasi un affetto particolare che definirei, in un certo senso, familiare, quasi come se stessi girando o parlando da solo nella mia stanzetta. La sentivo, insomma, appartenermi, essere mia, trovare posto tra le mie cose più care e intime del cuore, come quei ricordi più belli a cui si è particolarmente legati e che si custodiscono gelosamente. Eppure quel giorno Messina, la mia Messina, aveva un aspetto spettrale, malinconico, quasi come un inspiegabile presagio di quanto sarebbe poi accaduto. Un’atmosfera che si conciliava perfettamente col mese invernale di gennaio ma non certamente con la solarità della città che, il più delle volte, splendeva al sole. Non so dire con esattezza cosa sia accaduto in me quella mattina, anche perché mai prima d’allora mi era balenata in mente l’idea di marinare la scuola, per non avere poi rimorsi nei confronti dei miei genitori e soprattutto di me stesso. Ma quella mattina tutto sembrava diverso, strano, insolito, incredibilmente nuovo. Dentro di me, qualcosa o qualcuno che non sapevo chi o cosa fosse, mi stava incitando, fino a proibirmelo categoricamente, di non recarmi a scuola. Era come se avessi un appuntamento sconosciuto ma importante, al quale non potevo assolutamente mancare o rinunciare.

Non avevo più nessun tipo di rimorso, dubbio o ripensamento nel prendere quella decisione, dovevo non entrare e basta. Così, cambiai subito direzione e anziché andare verso la scuola, mi indirizzai alla zona opposta, verso sud. Era come se fossi guidato a distanza da un comando che non potevo vedere ma che sentivo mi stesse catturando, muovendo i pulsanti, orientandomi verso di esso. Ero praticamente un automa che camminava spinto da una forza misteriosa e invisibile, come si trattasse di una calamita. Persino i miei libri non mi pesavano, erano diventati, di colpo, leggeri, sembrava non ci fossero più. Camminai così, come un’ombra senza identità, per circa mezz’ora, con un passo svelto ma che nulla aveva a che fare con la corsa. Quel mio strano camminare, s’interruppe esattamente davanti alla porta centrale del Gran Camposanto della mia città. Proprio lì, una voce intima che neanch’io riuscivo a decifrare e a capire da dove provenisse e cosa volesse da me, mi obbligò a fermarmi di colpo e, introducendosi nei labirinti della mia mente, prendendo il totale controllo sulla mia volontà, mi fece varcare la soglia, spingendomi ad entrarvi dentro.

 

 

 

DENTRO IL GRAN CAMPOSANTO

Mai prima d’allora avevo avvertito il bisogno di esplorare la bellezza, se di bellezza si può parlare trattandosi di un luogo di preghiera che richiama pur sempre alla morte, di un cimitero che risulta essere il secondo d’Italia come grandezza, e classificabile tra i più belli in assoluto per la ricchezza di statue, monumenti, sculture e opere d’arte funeraria che contiene, alcune delle quali antichissime. Soltanto il giorno dell’anniversario della commemorazione dei defunti, avevo l’abitudine di visitarlo, come tutti del resto.

Pur essendo, per natura, fortemente attratto da tutto ciò che è sepolcrale, sempre catturato dalle epigrafi e dalle foto dei defunti, non avevo mai sentito il bisogno o la necessità di andarci in altre occasioni. Ma quella mattina, tutto cambiava, ciò che mai sarebbe potuto succedere, ora accadeva con naturalezza come fosse già scritto, stabilito. Ciò che prima d’allora poteva considerarsi impossibile, diventava assolutamente lecito, tangibile.

Fortunatamente non v’era nessun accompagnamento funebre all’entrata, ma solo una carrozza con un cavallo e un ragazzo handicappato di circa 30 anni che si divertiva a prendere le ghirlande dalla stanza dove vigilava il custode del cimitero e a portarle su quel carro. Poi le riprendeva dal carro e le riportava nuovamente nella stanza del custode, con un ritmo ripetitivo e monotono, minimale, come un uomo disperatamente solo che, vittima delle proprie paranoie, non riesce a liberarsene mai, neppure quando dorme la notte. Il viso dell’handicappato era allegro, spensierato, assolutamente privo di ogni espressione logica. Eppure io, in quel momento, ero arrivato al punto di invidiarlo per quella sua strana e inconsapevole contentezza che aveva dipinta sul viso, completamente all’opposto del mio che non rideva quasi mai. Mi sembrava quasi un bambino, inconsapevole dei pericoli della vita, ignaro di cosa lo attende.

Alla guida del carro, vi era un uomo sulla cinquantina d’anni. Aveva un paio di baffi folti e pittoreschi che si notavano immediatamente, tipici di certi personaggi siciliani adatti ad essere ritratti in quei quadretti venduti ai turisti come ricordo. I baffi erano bianchi, lo stesso colore argento dei capelli, in realtà pochissimi, vi traspariva infatti un capo quasi calvo. Era intento a fumare una sigaretta più per noia che per piacere. Di tanto in tanto, con ritmi monotoni e lenti, alzava la bocca verso il cielo creando anelli di fumo. Non aveva un’espressione triste, sembrava abituato a quel luogo, piuttosto dava l’impressione di annoiarsi come colui che aspetta che succeda qualcosa da un momento all’altro, che possa spezzare di colpo l’opprimente monotonia, anche l’arrivo della morte, sarebbe già qualcosa di nuovo, di diverso. Il cavallo, invece, al contrario dell’uomo, mostrava un’espressione profondamente triste, sommessa, rassegnata. Quasi come capisse e partecipasse all’atmosfera del luogo, muoveva uno zoccolo, poi l’altro, quindi rimaneva immobile come in attesa e poi riprendeva nuovamente a muoversi con ritmi lenti ma perfettamente intonati, come il direttore d’orchestra d’una litania funebre. Gli occhi dell’animale, coperti e bassi, sembravano impenetrabili, persi nel vuoto. Il guidatore del carro, ogni tanto volgeva lo sguardo sul quel povero ragazzo handicappato e in quei momenti pareva più umano, meno assente. Ci fu un attimo, ma fu solo un momento, in cui i nostri occhi s’incontrarono. Tuttavia fu un tempo sufficiente per farci apparire strani l’uno agli occhi dell’altro. Lui si stava chiedendo sicuramente cosa ci facesse un ragazzo con i libri di scuola al cimitero di mattina ed io, a mia volta, mi domandavo come facesse un uomo maturo a rimanere così calmo, così tranquillo in un luogo che infondeva tristezza. In quei momenti, pur nella banalità di quelle considerazioni, paradossalmente, la vita mi sembrò più bella, proprio perché piena di situazioni strane ed imprevedibili, degna di essere vissuta fino in fondo. Era avvenuto l’incontro occasionale di due età così diverse l’una dall’altra, di due modi di essere e di pensare così difformi, almeno in apparenza, era la vita stessa che ai miei occhi si faceva apprezzare con la sua varietà, capace di apparire triste e ironica nello stesso frangente. Il guidatore del carro, il ragazzo handicappato, io stesso che mi trovavo lì anziché a scuola, il cavallo più umano dell’uomo, tutto pareva diventare di colpo favola e noi eravamo trasformati in attori, inconsapevoli protagonisti di una recita strana, ma affascinante, piccoli pezzi di un immenso e bellissimo mosaico che è l’umanità intera con le sue sofferenze, le sue eterne contraddizioni, le sue stranezze, ricca del suo scibile umano, fotografia di un mondo grigio ma che per magia può diventare a colori. Furono tutte considerazioni che contribuirono a regalarmi un pizzico di gioia in quel luogo triste, ma fu solo effimera e di breve durata, come una goccia d’acqua tiepida che, cadendo per sbaglio dentro un bicchiere d’acqua gelida, dà solo l’illusione di riscaldarla, non riuscendo a mitigare il ghiaccio che v’è dentro. Ben presto, infatti, ritornai in sintonia con l’atmosfera di quel luogo e, d’indole malinconica e facilmente orientato alla tristezza quale io sono, mi venne subito in mente l’idea di fare un confronto, quasi un parallelismo, tra l’angoscia del mio animo e l’aria di morte che si respirava lì dentro, aria che avvolgeva ogni cosa di quel luogo anche quell’esile farfalla che sperduta v’entra dentro, così per caso, perde i suoi colori rubati all’arcobaleno e in breve muore, riposandosi, non uscendone più.

Dovevo però riconoscere e ammettere che quel posto era anche particolarmente adatto a suscitarmi pensieri profondi, a sviluppare in me una introspettiva meditazione, specie sulla caducità della vita terrena, era capace persino a ispirarmi su tematiche consone al mio stato d’animo. In particolare, la mia attenzione fu richiamata come un flash da una scritta posta subito dopo l’entrata, quasi di fronte alla stanza del custode. Erano parole di color nero vistoso incise su un marmo bianco, virgolettate che dicevano: “Fummo come voi, sarete come noi”. Anche questa lettura contribuì a farmi meditare ulteriormente. La reputai subito significativa, perfettamente corrispondente al destino dell’uomo, rivelava una cruda e amara verità per chi non avesse il dono della fede. Se l’uomo ponesse al centro dei propri pensieri l’idea della morte così come ho sempre fatto io sin da bambino, non riuscirebbe più a vivere tranquillo conoscerebbe la paura, ma sarebbe sicuramente meno materialista e meno egoista. Se poi dovesse non credere in Dio, allora sarebbe proprio un dramma senza consolazione e vana risulterebbe la parola alla catastrofe dell’anima. Sarebbe la morte, il nulla eterno, l’annientamento totale, definitivo. L’uomo messo completamente a nudo, spogliato da ogni sciocca vanità, si troverebbe con le spalle al muro e la parola fine davanti, sull’orlo del baratro e si estinguerebbe così, nel riposante approdo d’un obitorio. Era quella mattina una giornata non festiva ed io notavo che al cimitero vi era pochissima gente. Questo fatto però non toglieva la mestizia a quel luogo, ma anzi lo rendeva ancora più solitario e abbandonato.

Questo scenario di morte che lì dentro si ripeteva ogni giorno, ogni ora, forse anche ogni minuto, era qualcosa che infondeva nell’animo un non so che di profondamente sommesso che riconduceva inequivocabilmente alla pace, al silenzio. Quella paura iniziale che avevo avvertito non appena entrato al cimitero, più per il fatto insolito di trovarmi lì che per un vero e proprio timore, di colpo, svanì ed io, come se fossi ormai preparato al peggio, mi sentivo come quel bambino che, osservando l’acqua gelida del mare, decide di tuffarsi improvvisamente, per non sentire più freddo poi, quando l’onda lo può travolgere e lui meno se lo aspetta.

 

 

 

 

LUNGO LE VIE DEL CIMITERO

Con questi pensieri, completamente assorto nel silenzio e nella meditazione, percorrevo le vie del cimitero. D’un tratto, uno scossone intimo, simile a quello che mi aveva spinto a recarmi fin lì, mi elettrizzò nuovamente e più forte di prima, salendo sin dal profondo del mio io.

Quella solita voce vaga ed indefinita, tornò a farsi sentire in me e a dirigere i miei passi che poco prima erano incerti e senza una direzione ben precisa. Camminai parecchio, senza mai fermarmi e sempre salendo, attraverso curve, strade larghe e strette che si alternavano tra loro, che giravano e poi salivano ancora, sembrava un labirinto, una salita senza fine. Man mano che la strada procedeva verso l’alto, il tempo si mostrava sempre più brutto, minacciava la pioggia. Il vento che nella mia città non manca quasi mai, ora sibilava tra le tombe, sembrava il flebile lamento delle anime dei defunti. Soffiava spingendo le foglie cadute per terra dagli alberi che ondeggiavano qua e là, leggere come piume, era la danza della malinconia, la poesia delle solitudini, dell’inane, del nulla. S’insinuava prepotente fra i cipressi, alberi silenziosi più dei morti. Il vento lo sentivo dappertutto, echeggiava fin dentro le mie ossa, regnava nelle mie vene mischiandosi con il mio sangue, unendosi col mio respiro. Lo percepivo in ogni alito di vita, in ogni particella d’aria, perfino sulle mie labbra, fredde e gelide come se baciassi la bocca d’un cadavere. Ogni tanto si udiva dall’alto il canto di qualche uccello sparuto, il rumore d’un paio d’ali, ma si interrompevano di colpo in un silenzio tombale, assoluto, come per una forma di insolito rispetto a quel clima che non era rivolto al canto ma all’elegia più sommessa, più cheta. Le nuvole dalle forme più bizzarre ed inquietanti, giravano sopra la mia testa, il cielo diventava sempre più scuro, pauroso ma non sembrava avesse la forza né la voglia di piangere le sue lacrime di pioggia. Ma anche se l’avesse fatto, io avrei continuato imperterrito il mio cammino, avrei portato a termine la mia missione. La pioggia non mi avrebbe bagnato, non mi avrebbe fermato. Com’era lontana la mia Messina solare! Le giornate estive, le spiagge, i primi raggi del mattino. Tutto riconduceva al nero, alla malinconia, al mistero. Non avevo più neanche la possibilità di riflettere sul motivo per il quale un ragazzo di 19 anni si trovasse lì, e non davanti alla cattedra, in mezzo ai suoi compagni di classe, per fare quello che era giusto e logico fare. Ero intento, quasi in trance, a seguire la voce che mi esortava a proseguire il mio strano viaggio, spingendomi oltre il limite, oltre quella barriera che divide quello che noi esseri terreni poveri fantocci di creta chiamiamo reale, dall’irrazionale, dal soprannaturale, da ciò che vive da sempre intorno a noi, nei nostri sensi, ma che non percepiamo. Un mondo totalmente sconosciuto che per adesso, rinchiusi in questa limitata e circoscritta dimensione, noi non possiamo vedere ma che esiste, è soltanto invisibile ai nostri occhi, come qualcosa che non si fa mai toccare ma che c’è e ci sarà sempre. Man mano che salivo, la città appariva sempre più lontana e irraggiungibile, mentre chi mi stava aspettando da tempo, sembrava sempre più vicina. Mi staccavo dal mondo dei vivi per avvicinarmi a quello dei morti, conseguenza assolutamente indispensabile, abbandonare l’umano per essere tutt’uno col soprannaturale. Il mare e la costa calabra che prima s’intravedevano di rado, ora sparivano del tutto, eclissati interamente dai cipressi che parevano fantasmi danzanti, mostri giganteschi. Mi trovavo in una dimensione senza età, il mio orologio con le sue lancette ferme, statiche, pareva disegnato, per niente reale. Non conoscevo più lo scorrere del tempo.

La giovinezza era vecchiaia e la vecchiaia tornava ad essere giovinezza. Regnava l’armonia del silenzio come un Dio della quiete, disturbato solo dai battiti del mio cuore che acceleravano via via che mi avvicinavo alla meta ma era bello ed emozionante anche in quel modo, era magico, era folle. E pensare che laggiù, coperta dagli alberi, doveva pur esserci ancora Messina, caotica e frenetica come tutte le mattine, con i suoi mercati, i suoi negozi, la sua gente che si riversava per le strade, ma tutto questo a me sembrava inconsistente, insignificante, totalmente estraneo, superfluo. Era mattina ma poteva essere benissimo sera, notte. Era inverno ma poteva essere primavera per la speranzosa attesa d’un’avventura indimenticabile che stavo per vivere in prima persona e da solo. In fondo ero solo un ragazzo strano e solitario, ma in quel momento ero immortale, senza età, quasi prescelto da una forza misteriosa e sconosciuta ad essere l’attore principale d’un film senza finale, d’un gioco senza spiegazione, d’un incontro senza precedenti, di una storia alla quale, anche se avessi provato a raccontare, nessuno avrebbe mai creduto. Ma ecco che ora, cominciavano a crollare dal cielo le prime goccioline d’acqua che restavano tali senza mai divenire temporale. Avevano il solo compito di rendere l’atmosfera ancora più coinvolgente,magica, inquietante, celestiale. Erano sorelline gemelle, piccoli angioletti che cadevano dal cielo giù verso la terra come finissime particelle di polvere di stelle. Piccoli angeli sotto forma di acqua che cantavano con le loro voci di bambine la loro sinfonia, per me e soltanto per me,mandate apposta da chi mi stava aspettando in segno di festa, per creare una dolce accoglienza. Mi accarezzavano i capelli, il viso, le mani, dappertutto. Continuavano a cadere dal cielo senza pausa, danzavano, sperimentavano la terra. Ma fra la terra e il cielo, era più bello il cielo, e così preferivano tornare indietro, lassù, da dove erano partite pochi istanti prima, proprio come quei bambini piccolissimi che nascono su questa terra e muoiono subito dopo, magari anche perché una madre non li vuol far nascere qui e a loro non resta che tornare in cielo, ritornando ad essere angeli, sostituendo il bacio non dato dalla mamma con un altro paradiso, molto più bello, vero, eterno. Tutto questo accadeva solo a me e non so spiegarmi tuttora il perché. Proprio a me che non avevo nulla di speciale rispetto agli altri ragazzi della mia età. Anzi, a pensarci bene, qualcosa in più l’avevo da sempre. Come ho fatto a non pensarci prima?

Avevo qualcosa di grande, di estremamente importante e vitale, di immenso. Qualcosa capace di far volare anche chi non ha mai avuto ali, capace di rendere ricchi pur avendo solo una capanna. Qualcosa che Dio ha creato per gli uomini ma che nessuno di loro prende più in considerazione, schiavo della materia e dei problemi pratici quotidiani della vita. Quel qualcosa che avevo in più e che ancor oggi sento di possedere, è la grande voglia di sognare che invade la realtà e la fa scoppiare da tutte le parti. Ma soprattutto la volontà e il desiderio di credere ai miei sogni. Soltanto io, infatti, potevo credere alla storia che vi sto raccontando. Ma sono sicuro che esistono ancora su questa terra, esseri simili a me. E chi sono? Sono loro: gli artisti, gli ubriachi, i bambini,gli acrobati, i saltimbanchi, i protagonisti delle fiabe principesse ed animali parlanti, tutti angeli incompresi caduti su questa terra per sbaglio o per fortuna, capaci di cogliere il vero senso della vita, l’essenza dell’anima. È l’umanità a colori, la vita che ridiventa sogno, l’uomo che dà la mano a Dio, è la luce che non si spegne più.

 

 

 

VERSO IL CONVENTINOuid_11e16b6af6f.580.02

Non so per quanto camminai avendo perso completamente la cognizione del tempo né dove arrivai non avendo neanche quella dello spazio, era come se fossi in zona zero, in terra di nessuno. La mia attenzione però divenne improvvisamente vigile non appena mi trovai a percorrere una strada totalmente diversa da quelle che avevo attraversato in precedenza. L’asfalto, infatti, cessò di colpo e la strada si restrinse notevolmente sino a divenire una stradina dal fondo di roccia e fatta di sassi ma continuava ad essere percorribile lo stesso, capace di far entrare sì e no 4 o 5 persone disposte a fianco l’una dell’altra. Contemporaneamente anche le tombe apparivano del tutto diverse, tutte di un altro stile. Le fotografie diventano via via volti e statue intere di marmo. Erano autentici capolavori di scultura raffiguranti gente lontanissima dai giorni attuali, chiaramente di un’altra epoca, di inequivocabile fisionomia ottocentesca. Anche l’atmosfera che si respirava era totalmente nuova, anche se paradossalmente antica, inevitabilmente trasformata da ciò che oggettivamente si vedeva. Era come se di colpo il tempo avesse deciso di fermarsi e tornare indietro di oltre cento anni. Non vi era più nulla ormai del tempo attuale, tutto parlava del passato, dell’Ottocento.

Io non avvertivo più niente intorno a me né il vento né la pioggia né il freddo. Vivevo immerso in una condizione più spirituale che fisica, magica più che mai, completamente estraniato, corpo ed anima, dal mondo reale, ormai del tutto rapito da quello circostante. Mi trovavo in un luogo sconosciuto, quasi mistico, che sembrava creato per i poeti e per la contemplazione. Il mondo moderno, quello che era stato fino a poco tempo fa il mio mondo, era ormai lontanissimo, sparito del tutto ed io non lo percepivo e ricordavo più. L’effetto che quel luogo aveva su di me, valeva assai di più di quella che era stata la mia vita di sempre, ormai lunghe distanze mi separavano da essa. Sognavo ad occhi aperti mille avventure, mi arrivava l’eco di mille sirene, ero l’eroe di mille favole. Il cuore non mi chiedeva di tornare alla mia base ma mi esortava a restare lì.

Ero ormai altissimo, quasi in cima, nella parte più alta ed antica del cimitero di Messina. La salita era quasi terminata. Ai lati della stradina, altissime, maestose e sublimi per bellezza e suggestione, si protendevan fiere le tombe dell’Ottocento. Erano statue di uomini, donne, vecchi, bambini. Tombe del mio tempo, ormai non ve ne erano più. Ero completamente circondato da antiche lapidi. La prima immagine che rapisce la vista di chi si trova a salire lassù, è quella della statua di un bambino di quell’epoca, di circa otto anni, seduto su una roccia, vestito come un piccolo marinaretto che par ti guardi e ti dica: “Salve, benvenuti nel regno dell’Ottocento”. Fa quasi da prologo ad una serie infinita di monumenti, uno più bello dell’altro, che da quel punto in poi, inondano quella zona del cimitero, in ogni direzione e da qualunque parte. Immagini di uomini nobili e donne vestite all’antica si vedono ovunque.

Colpiscono i loro baffi folti e pittoreschi, la loro strana pettinatura, l’abbigliamento così diverso da quello del mio tempo. Tutto riportava ad un’altra epoca. Le sensazioni che provavo erano a dir poco indescrivibili, mi sentivo proiettato indietro nel tempo pur avendo la mentalità moderna. Di statua in statua, di emozione in emozione, arrivai in un punto in cui, finalmente, la salita era finita. La salita ma non certamente il viaggio.

Dovevo ancora conoscere l’entità più importante e misteriosa, colei che mi aveva trascinato in quel posto contro la mia volontà, forse avevo visto fin ora solo una minima parte di quanto avrei dovuto vedere o addirittura non avevo veduto ancora nulla. La salita finiva proprio davanti all’entrata di una chiesa bellissima e altissima, tutta stile ottocentesco che io prima di allora non avevo mai vista pur trovandosi nella mia città. Non mi rimase altro che restare a bocca aperta e quasi senza fiato la contemplai. Ero arrivato ormai dove sarei dovuto arrivare. Mi trovavo in quella parte altissima del Cimitero di Messina che oggi si chiama “Cimitero degli Inglesi” ma che in quel periodo si chiamava semplicemente “Conventino” dove erano e sono tuttora sepolti, i nobili messinesi vissuti nel secolo dell’Ottocento. E’ un luogo calmo, silenzioso che ispira timore ma contemporaneamente pace e meditazione: c’è d’averne paura ma lo si va a cercare.

 

 

 

STORIA DELLA PARTE PIÙ ALTA ED ANTICA DEL CIMITERO DI MESSINA

Nella seconda metà del secolo dell’Ottocento, numerose epidemie contagiosissime, infestavano la città di Messina come tutto il meridione. Tisi, colera, germi di tutti i tipi erano a quel tempo tutte malattie incurabili. Il contagio si diffondeva vertiginosamente, specie nei bambini la mortalità era elevatissima. Il tasso di vita era spaventosamente basso, infatti oscillava tra i 40 e i 45 anni di età.

A questo si aggiungano la miseria, la guerra, le scarse condizioni igieniche. Quindi per giustificate esigenze sanitarie, si sentiva il bisogno e subentrava anche la necessità di appartare in luoghi, i più solitari possibili, gli infelici malati. Così gli ospedali si riempirono ma non bastavano e si dovettero creare posti isolati, tra i quali il Lazzaretto costruito nella zona del porto, là dove attualmente vi è la Difesa, che raccoglieva tanti bambini colpiti soprattutto da tisi. Lo spettacolo era pietoso. Grida, urla, pianti, sputi, dolori. Lì morì, colpita da quella che a quel tempo era una terribile e incurabile malattia cioè la tisi, la protagonista del mio romanzo. Il posto più isolato però fu costruito nella parte più alta ed antica del cimitero, l’attuale Conventino. Lì venne fatta una chiesetta stile ottocentesco, particolarmente alta. Venivano portati i malati contagiosi come fosse un mini ospedale. Il posto era alto e difficilmente accessibile, quindi dava una discreta garanzia contro il contagio. Ma i morti crescevano e quelli che erano ancora vivi, a contatto con essi, decedevano anche.

Così quella chiesetta si trasformò da sfortunato ricovero, in luogo dove venivano sepolti i morenti. Poi col tempo e col cessare delle epidemie, il posto fu abbellito grazie all’impegno e alla bravura di alcuni scultori messinesi e in particolare di Antonio Saccà che costruì numerose tombe fra le quali anche quella della protagonista del romanzo, dando così al luogo un aspetto profondamente artistico. Vi erano sepolti i nobili messinesi per lasciare ai posteri un glorioso ricordo delle loro memorabili gesta contro l’oppressione borbonica. Difficilmente, anzi direi assolutamente, è possibile trovare sepolta gente comune essendo troppo oneroso poter pagare lapidi davvero imponenti.

Nonostante la terribile catastrofe del 1908, il cosiddetto Conventino resistette, poi il resto del cimitero si dovette rifare. Quindi oggi il Conventino si presenta come la parte più antica del cimitero, la più alta e bella che il tempo non è riuscito a falciare con la sua potentissima forza distruttiva ed è per noi messinesi, fonte di orgoglio e di tradizioni veramente superbe e meritevoli, oltre che un saggio di arte e scultura non indifferenti come vanto per la città. Infatti è bene ricordare che il Cimitero di Messina risulta essere il secondo d’Italia per grandezza e trova posto tra i più belli in assoluto, non solo in Italia. Ed è proprio da quella parte, cioè dal Conventino, che nacque il Cimitero di Messina. E il Conventino oggi vive imperterrito ma totalmente nell’abbandono e senza anima viva.

È un luogo altissimo, calmo, silenzioso che ispira timore ma contemporaneamente pace e meditazione. C’è d’averne paura ma lo si va a cercare. Molti sono i nomi illustri che vi sono sepolti ma, per ragioni di tempo, mi limito a non enunciarli per motivi di non particolarità, essendo tutti degni d’essere menzionati.

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DINANZI E DIETRO LA CHIESA

Dinanzi la chiesa l’atmosfera è magica, celestiale, mistica, rapisce e trasporta. È difficile descrivere così tanta bellezza. Ma è mio dovere provare almeno a farlo. Proprio all’entrata, la prima impressione che si ha, è quella di essere aspettati da tempo con un’attesa quasi bramosa. Sembra esserci una festa pronta ad esplodere quando vi si entra dentro. La chiesa è stupenda, pittoresca, neanch’io so spiegarmi come abbia fatto a resistere al forte terremoto del 1908 pur essendo così alta, un sisma devastante che ha raso al suolo l’intera città dello stretto. Tutta in stile ottocentesco, la chiesa ha una porta color rosso porpora, poi s’erge maestosa ed invincibile con due colonne laterali imbattibili che sembrano sfiorare il cielo. Al centro, la chiesa sale sempre più su progressivamente, restringendosi via via che s’avvicina alla cima. A circa metà della sua altezza, vi è una finestra senza più vetri e un balcone arrugginito sempre attorniati da colombi ed altri uccelli melodici.

Il vento apre e chiude dolcemente la finestra, il sole riflette su di essa e agli occhi di qualunque osservatore, sembra di vedere affacciata una dolce ragazza ottocentesca vestita di bianco che guarda, saluta, ride, scompare e riappare e poi scende giù di corsa per le scale, apre la porta della chiesa e gli corre incontro con i capelli al vento.

 

Dietro la chiesa si avverte un fascino tutto particolare e suggestivo. Vista di spalle sembra quasi magica, finta, appartenere a un mondo irreale, fiabesco ed è ancora più bella. S’affaccian piccole finestrelle come tanti oblò che a un certo punto spariscono, finché s’erge una cupola che inizia grossa e s’invola fine, fino a confondersi con l’azzurro del cielo.

 

 

 

 

ALL’INTERNO DELLA CHIESA

Ed io mi trovavo lì per la prima volta davanti alla chiesa e stavo per varcare la soglia.

Quella porta color rosso porpora sempre chiusa, l’unico giorno che desideravo ardentemente entrarvi, stranamente la trovai socchiusa in atto di chi invita a farlo. Cautamente, portando avanti il piede sinistro, poi il destro, tastando con la mano, aiutandomi con un pezzo di legno trovato lì per difendermi da possibili spiacevoli incontri, un po’ come quel cieco che cammina aiutandosi col tatto sconoscendo ciò a cui va incontro, io pian piano, in questo modo entrai. La prima vista varcando la soglia, fu quella di una stanza polverosa, vuota, abbandonata da tanti anni ormai. Il silenzio veniva interrotto a squarci da strani rumori che ora vi entravano, ora vi uscivano dalla finestra, perché quella stanza aveva una finestra sbarrata, arrugginita che sporgeva dietro la chiesa verso altre tombe. Ai lati del tetto v’erano appesi due quadri che portavano foto raffiguranti due Madonne quasi sbiadite. I due quadri erano piccoli e le due Madonne però erano diverse l’una dall’altra. Una aveva l’espressione triste, compianta, l’altra sembrava un po’ più rassegnata certa di trovare ristoro nella carità cristiana, nell’aiuto di Dio. Nel guardare quei quadretti che spiccavano in mezzo al muro bianco, in parte smangiato, mi vennero in mente tutti coloro che dovevano essere ricoverati lassù in tempi passati, confortati dall’aiuto della Madonna ed io immaginavo i dolori, i pianti, le preghiere, le invocazioni che ora tornavano come un’eco nella stanza che sembrava pacata, addormentata, serena, straordinariamente elevata al cielo. In cima al tetto, v’era appeso un lampadario a forma di cerchio che teneva strette delle lampadine spente, alcune delle quali consumate dal tempo, come quelle candele che vengon meno affievolendosi dinanzi all’altare. Da quella stanza, vi si entrava in un’altra tramite un’apertura uguale alla prima però senza più porta. Entrando, per terra, vi erano pezzi, schegge di legno penso della porta stessa. In quell’altra stanza di dimensioni e di atmosfera simili alla prima, io vedevo la cosa più bella: un crocifisso intatto, vivente, a grandezza d’uomo, con uno sguardo fisso che sembrava dire: “Venite a me voi tutti che siete afflitti ed io vi consolerò”, e chissà quanti moribondi del passato così han fatto. Intorno alla stanza, v’erano delle sedie, almeno una ventina, alcune delle quali rotte. Penso servissero per ascoltare la messa, lo capivo infatti osservando un vecchio incensiere abbandonato per terra come un barbone addormentato, e lì vicino, boccette di vetro, calici e roba simile che riconducevano facilmente alla comunione e all’estrema unzione, sacramenti che accompagnavano e insieme infondevano speranza in quel luogo di sofferenza e disperazione. Sopra quel crocifisso carismatico che io continuavo ad ammirare del tutto rapito, v’era una chiesetta in miniatura uguale a quella dove io mi trovavo. Credo che sia stata posta sopra l’immagine del Cristo, per simboleggiare l’elevazione divina dei perseguitati dalle malattie verso Dio stesso, tramite suo figlio Gesù. La terza ed ultima stanza nel bassopiano della chiesa, era anch’essa come le altre, anch’essa conteneva delle sedie, una decina circa, sparse sparpagliatamente. Per terra, v’era un escremento umano che mi fece intuire che qualcuno prima di me, doveva essere salito fin lassù, mi domandavo chi, visto che la porta la trovavo sempre chiusa.

Nell’angolo più nascosto della stanza, come un cane orfano del padrone singhiozza e s’accovaccia per terra, silenziosamente, così v’era posto un organo con una tastiera unica e scordata, da tempo mai più suonato.

Io, d’istinto, mi avvicinai e provai a schiacciare quei tasti polverosi e molli ma non vi usciva suono, solo silenzio, eppure io avvertivo, nel tastare quell’organo, una celestiale melodia che sembrava trascinarmi in paradiso.

E pensavo che tutti coloro ch’eran morti lì, e furono davvero tantissimi, ora dovevano essere felici per l’eternità. E così la mia pietosa compassione divenne certezza, come il chiarore d’una luce lontana che si scorge alla fine di un tunnel, in mezzo a tanto buio. Non so dirvi cari lettori, se quelle strane sensazioni che avvertivo lì dentro, erano dovute a fenomeni paranormali o a suggestioni naturali, certo è che sia l’una, sia l’altra ipotesi eran perfettamente valide visto la misteriosità di quel posto.

Poi, di colpo, restai senza fiato ed immobile e cominciai subito dopo con passi certi e misurati, a dirigermi verso un sottoscala dove saliva una scala pericolante a chiocciola. Lentamente provai a salire cercando di arrivare in quella finestra misteriosa per affacciarmi anch’io da dove sembrava ci fosse il fantasma d’una dolce ragazza vestita di bianco con i capelli al vento, ma più salivo e più mi accorgevo che il rischio aumentava. La scala infatti cominciava a cigolare, era fatta di uno strano tipo di legno.

Io, ormai del tutto rapito da quell’incantesimo, ero lì deciso a salire sino in cima come se quella scala simboleggiasse il mistero ma, ad un certo punto, la vidi spezzata, non ho mai saputo il perché né se poi più su sarebbe ritornata sana, ma l’impressione che ebbi in quel momento, fu quella che qualcuno o qualcosa inspiegabile, non volesse farmi arrivare nemmeno ad un quarto dell’altezza di quella chiesa. Così, deluso, ritornai indietro, chiusi la porta, e ormai coraggioso e forte, mi avviai al di fuori per scoprire fra le antiche tombe, quella che ormai sembrava fortemente vicina, sembrava fortemente chiamarmi.

 

 

 

 

TRA LE ANTICHE TOMBE

Non appena uscii dalla chiesa, mi trovai perso tra le tombe antiche dell’Ottocento, ma nello stesso tempo ero felice perché sentivo che quell’entità che mi stava chiamando, era vicina anche se molto probabilmente perduta fra tutte quelle che mi circondavano. Mi trovavo in un vialetto, una specie di villa tutta stile ottocentesco. Al centro, come una passerella, vi era una strada lunga e stretta che finiva proprio davanti alla porta della chiesa. Ai lati di questa specie di passerella, tra l’erba altissima, si protendean fiere le tombe dell’Ottocento.

Erano tantissime, una accanto all’altra, una più insigne dell’altra. Da lontano mille statue, mille volti, sembravano uno solo che mi guardasse, che mi spiasse, sì mi spiasse, perché l’impressione che chiunque salisse lassù proverebbe, sarebbe quella di essere attentamente spiato, osservato con un occhio meticoloso e scrupoloso, come se tanta gente sconosciuta ed invisibile, vivesse con lui e intorno a lui, in altre dimensioni. Tutto ciò a me non suscitava paura. Io mi sentivo come uno straniero che dopo un lungo e faticosissimo viaggio, scampato fortunatamente ad un grave pericolo, superstite e sopravvissuto insieme, si trovasse involontariamente in un luogo prima d’allora sconosciuto, in mezzo a gente strana ma ospitale e cordiale che gli fa tanta festa, proprio perché mai nessuno da tempo veniva a trovarli. Così, con questa impressione, sentendomi ben accetto e perfettamente a mio agio, io camminavo scrutando le tombe una per una, leggendo e rivivendo la storia gloriosa d’ognuno di loro, osservando i loro volti, le loro espressioni, i loro baffi lunghissimi, i loro vestiti così strani per i giorni nostri, ma così nobili, così perfettamente intonati. Vi erano anche i bambini di quel secolo, vestiti come tanti marinaretti, in particolare mi colpì uno di loro di circa nove anni che io volli chiamare col nome di Beniamino. Cari lettori, non posso descrivervi come vorrei, una per una, quelle numerosissime tombe, sarebbero davvero troppe e non sarebbe giusto nominarne alcune e altre no, quindi essendo tutte interessanti, mi limito a dirvi che vorrei prestarvi per un attimo i miei occhi che le han viste già, per farvi capire quanto in realtà erano belle e pittoresche.

Completamente assorto in un mistico silenzio, ad un certo punto, sentii dentro di me, una voce fortissima che mi chiamava da una direzione ben specifica e mi trovai, inconsciamente sospinto, di fronte ad una strana tomba antica, anch’essa dell’Ottocento. Restai ancora più silenzioso e assorto. Vedevo questa tomba. Provavo a darle un’immagine, una sagoma, una figura visto che non v’era un volto. Cercavo di immergermi nella sua lontana vita. Mi domandavo chi fosse, perché mi stesse chiamando, che cosa volesse da me, dove si trovasse la sua anima adesso, se mi vedesse, se mi sentisse, se fosse magari vicino a me. Come il contrapposto del mare che in profondità è pieno di vita, di alghe che nascono e muoiono, di pesci che mangiano altri pesci, di continue lotte per sopravvivere, e in superficie appare immobile e tranquillo, così erano i miei mille interrogativi che all’esterno non trasparivano perché io ero apparentemente calmo. Quella pietra era per me come una dolce ninnananna che cullava e portava a riposare tutti i miei incessanti pensieri. Il suo silenzio profondissimo era la sola ed unica risposta. In quella tomba senza un volto, v’era scritto semplicemente: “A Marietta Cianciolo, di Domenico Cianciolo e di Enrichetta Stagno d’Alcontres” e poi sotto: “D’animo e di modi soavissima, ebbe celestiali virtù, serena bellezza, e non compié 17 anni. O amore nostro, come faremo infelici senza di te?”. Chi era questa strana ragazza protagonista del racconto? Com’era la famiglia dalla quale proveniva?

 

 

NOTIZIE STORICO-BIOGRAFICHE SULLA FAMIGLIA CIANCIOLO

 

I Cianciolo vissero agli inizi dell’Ottocento un po’ a Termini Imerese, un po’ a Santo Stefano di Camastra, allo stato di nobili in decadenza, di origine nobiliare antichissima.

Nella metà dello stesso secolo, le guerre e le continue epidemie che colpirono la Sicilia specie la zona di Palermo, dovettero farli emigrare a Messina, più relativamente tranquilla. In poco tempo i Cianciolo presero in mano la città a causa di numerose cariche politiche che erano state a loro attribuite. Dalla conoscenza di altre famiglie altolocate messinesi, crebbe in particolare l’amicizia che poi si tramutò in parentela grazie a parecchi matrimoni, con la famiglia dei Principi Stagno d’Alcontres che ancora oggi fa sentire la propria autorità sulla città, sia pure in forma minore essendo ormai in via d’estinzione il ceppo di famiglie nobili. Per ragioni di non esclusivo rapporto col racconto, ricordo ancora una volta, di non voler dare accurate informazioni sui Principi d’Alcontres, e di volermi invece soffermare sulla stirpe nobiliare, ormai estinta, dei Cianciolo, prendendo ora in esame le caratteristiche nobiliari di suddetta famiglia.

 

 

 

CARATTERISTICHE NOBILIARI DEI CIANCIOLO

L’arma cioè lo stendardo dei Cianciolo, era di colore azzurro, al braccio destro di carnagione alias armato al naturale impugnante una mazza di nero circondata da tre stelle d’argento.

Il nonno di Marietta, barone Vincenzo Cianciolo, patrizio messinese, tenente colonnello di fanteria, cavaliere mauriziano e della Corona d’Italia, decorato della medaglia d’argento al valor militare, figlio del barone Giuseppe e del fu barone Vincenzo e della prima moglie Girolama Aidone degli antichi Principi d’Alcontres e della fu Lucrezia Giano.

Il fratello di Marietta, Ernesto, assessore municipale, cavaliere della Corona d’Italia, due volte sindaco di Messina.

Il padre di Marietta, Domenico, già senatore di Messina, figlio del fu barone Vincenzo e della seconda moglie Maria Balsamo dei Principi dei Castellacci, marito di Enrichetta Stagno d’Alcontres dei Principi d’Alcontres.

Mentre la famiglia Stagno d’Alcontres continua ad esercitare un certo potere anche oggi sulla città, in forma minore, così non lo è per la famiglia Cianciolo che è decaduta a livello di nobiltà. Infatti, dopo accurate ed approfondite indagini, sono venuto a conoscenza che i pochi ceppi della famiglia suddetta esistenti attualmente, non sono neppure a conoscenza della loro antica nobiltà, neanche per sentito dire. Comunque oggi nella città di Messina, è rimasta solo una via che richiama a questa gloriosa famiglia ed è stata intitolata a Vincenzo Cianciolo, che era il nonno di Marietta, come precedentemente accennato.

 

 

 

 

DESCRIZIONE DELLA TOMBA DI MARIETTA

Situata proprio alle spalle della chiesa a una decina di metri circa, era visibile anche da molto più lontano. Portava in alto un marmo di circa 3 metri, rettangolare, firmato dallo scultore Antonio Saccà che era uno dei più illustri scultori messinesi dell’Ottocento. In cima al marmo completamente bianco con qualche disegno artistico dello stesso colore ma un po’ più ricalcato, vi era un cerchio dove sicuramente doveva esservi stato il volto di Marietta che stranamente, era sparito, forse solo da quella tomba, poiché i volti delle altre statue erano ancora tutti al loro posto. La mancanza di esso, la deducevo dai segni che erano ancora visibili all’interno di quella specie di cerchio creato apposta per inserirvi il volto stesso. Alla base, la tomba era completamente nuda senza l’ombra d’un fiore, come del resto ogni tomba di lassù, era davvero troppo il tempo passato dalla sua morte. Circondata da erba alta non curata e da trifogli, aveva intorno una catena arrugginita che avvolgeva completamente la sua lapide e quella del padre che era sepolto, accanto alla figlia, dentro la stessa catena. La tomba di lui però, anche se uguale per struttura e dimensione a quella di Marietta, aveva il volto infisso sul marmo. Era un uomo anziano, Domenico Cianciolo, un volto pallido, sereno, occhi incavati ma dolcissimi che mostravano una bontà delicata, velata, un’educazione composta, si vedeva dallo sguardo che era un nobile. La tomba più vicina a quella di lui e della figlia, era posta alla immediata destra, un paio di metri distante. Apparteneva ad una neonata vissuta appena 10 giorni dal 7 al 17 aprile del 1872. La bimba, dal nome non italiano, si chiamava Aline Wolf. Era una tomba a forma di bara di dimensioni uguali alla piccolissima bambina morta.

Il coperchio era addirittura mezzo scoperto, e lì sopra mi sedetti io a contemplare la pietra di Marietta, fra due tombe, una di una bambina di 10 giorni, l’altra di una ragazza di 16 anni che mi ricordarono ciò che io da sempre sapevo, che la morte non ha età. Ad esser sincero, non è che la tomba di Marietta avesse qualcosa, dal punto di vista estetico, di superiore rispetto alle altre, anzi ve ne erano di molto più belle anche di ragazze della sua stessa età, ma quella tomba era straordinariamente diversa da tutte le altre, sembrava vivere, parlare, gridare, pareva avesse un disperato bisogno di comunicare con me. Cominciarono così le mie illusioni sulla sua tomba mentre mi addentravo sempre più in questa storia che ha veramente dell’insolito, dell’incredibile.

 

 

 

 

ILLUSIONI SULLA TOMBA DI LEI

E così, quasi tutte le mattine, io salivo lì illudendomi di farle compagnia, di parlare con lei e di essere ascoltato. Nonostante fossi arrivato all’ultimo anno delle scuole superiori e quindi prossimo agli esami di maturità, avevo quasi smesso di studiare. La mattina, anziché andare a scuola, mi recavo al cimitero. Il pomeriggio, invece di studiare, frequentavo biblioteche e archivi storici per avere notizie sulla vita passata di lei. Ero diventato proprio un folle o forse lo ero anche prima, ma Marietta mi diede il famoso colpo di grazia. Ero perso, irrecuperabile. Di questa storia non ne parlai mai con nessuno né con amici né con i miei genitori. Volevo restasse un segreto ed ero consapevole che, anche se l’avessi detto a qualcuno, nessuno mi avrebbe capito e creduto, nessuno avrebbe potuto giustificare il mio comportamento. Ma ero felice così, non volevo coinvolgere nessuno, solo io e lei e nessun altro. Non mi importava più di nulla ormai né degli amici né della scuola, avevo trovato il mio vero motivo per vivere. Non esisteva pioggia o temporale capace di fermarmi, io ero lassù, ai piedi della sua pietra, col freddo e col caldo, col sole o con i fulmini. Le portavo rose sempre fresche, le compravo nuovi portafiori, curavo la sua tomba nei minimi particolari, guai se v’era un insetto fuori posto, io la rimettevo subito come doveva essere. In poco tempo, nonostante fosse una tomba antica, era diventata la più bella e curata dell’intero cimitero grazie a me. Vivevo immerso in queste magiche illusioni senza che lei mi avesse dato, in quei giorni, alcun segno di gradire le mie attenzioni. Io, nell’ingenuità della mia giovane età, mi ero quasi convinto che ormai lei fosse la mia ragazza. Ma la cosa più bella che ho fatto in quel periodo è stata quella di scriverle, proprio come un innamorato, tre poesie:

 

 

A TE MARIETTA (1855-1872)

A te Marietta!

che se sei stata la gioia, l’amore di qualcuno.

A te Marietta!

che non ti ho vista mai.

A te che t’immagino come un fiore

che sboccia, fiorisce e muore senza dolore:

chi potrà mai piangere o lodare

la tua cruda e gelida pietra

che forte ed imperterrita

sembra sfidare la collera del tempo?

A te Marietta!

che ti penso sempre

come una dolce ragazza vestita di bianco

che con il bruno dei tuoi capelli

formi un vistoso e sublime color di primavera

a te che guardando la tua tomba

mi s’incenerisce il cuore.

A te Marietta!

che nessuno un volto ti sa dare

e che con insistenza la tua immagine m’immerge

nel lontano passato della tua vita.

Non so chi tu sia stata

né saprò mai il motivo della morte che presto ti colpì

ma so con certezza che questa è la tua pietra

e che in essa il tuo corpo giace.

A te Marietta!

scrivo queste righe

per aggrapparmi all’illusione di un lontano ricordo

che mai ci fu.

 

Dedicata a colei che brevemente fu

e che mai in vita conobbi

 

 

 

 

 

L’IMMAGINE

Un bagliore improvviso

squarcia la mia mente assente

e dall’ignoto all’ignoto

ora fugge ora torna, ora torna ora fugge.

Pallida e soave

di dolcezza inebriata

m’appar dinanzi

ancor e sempre.

Nitida sagoma,

a tratti t’avvicini

di colpo, opaca t’allontani.

Le sciolte tue trecce

dal terreno mondo sembran distaccarmi

trascinandomi in sconosciute dimensioni

dove neanch’io so chi ero, chi sarò.

Fulgidi gli occhi tuoi

m’abbaglian forte

ed io ti sento in me

o sconosciuta immagine

di profondo mistero velata.

Non un volto, non una realtà

solo negletti ed esili fiori

ed un’antica tomba assopita accanto

per trattenere forte

l’enigma della tua sorte.

 

 

 

 

DESCRIZIONE D’UN RITRATTO FUNEBRE

 

Da lassù, in uno strano sogno, Marietta mi narrò del giorno in cui morì.

Quel suo lontano ricordo del 28 settembre 1872.

 

“Ancor limpido era il sole della mia giovinezza

anche se lì fuori con pioggia e vento

battea la morte alla mia porta

e con voce certa ma affannata forte mi gridava:

«Vieni Marietta, presto vieni».

Ricordo lontanamente che in un primo momento

un brivido di paura m’assalia fino a farmi tremar

ma poi aprendo nuovamente gli occhi

il composto sguardo di mio padre il mio coraggio mi ridiede

e mentre un prete mi donava l’estrema unzione,

io sentivo di dover andare fra le secrete cose.

Scendean dalle scale le mie cugine

tristi apparentemente ma contente e fredde nell’animo,

mi facean pena vederle illudersi ancor

di quella lor vana ricerca della terrena bellezza

che come un fiore dal petalo si strappa

e appassendo muore.

Suonava l’organo un bimbo mai in vita conosciuto

ma che allora sembraa d’averlo visto da sempre

e in quella dolce musica

stancamente mi si chiudean gli occhi

mai rinnegando quella serena bellezza

che sempre in vita m’avea contraddistinta.

L’ultimo mio sguardo nel pallore della morte

era rivolto verso mia madre

che addolorata ma mai rassegnata

l’ultimo bacio mi donava.

Ed ora dopo che il tempo tante orme ha cancellato

i miei pensieri son tanti ieri che nell’ignoto fuggon lontano

ed il mio oggi così come domani è armoniosa luce”.

 

E fu così

che dal sogno mi destai

completamente assente.

 

 

 

APPARIZIONE D’UNA FIGURA SOGNANTE

I giorni passavano in fretta, ne erano trascorsi una ventina circa dal giorno in cui vidi per la prima volta la tomba di Marietta, ed eravamo quasi alla fine del mese di gennaio. Io mi addentravo sempre più in questa insolita storia, lasciandomi ormai del tutto rapire dalla forza dei miei sogni, della mia fantasia, della mia immaginazione. Non riuscivo più a distinguere il limite oltre il quale il sogno svanisce per far subentrare la realtà. Sogno e realtà erano diventati per me un tutt’uno. Vivevo la mia illusione con gioia, entusiasmo, voglia di avvicinarmi sempre di più finché, proprio verso la fine di gennaio dell’anno 1984, quello che da sempre sognavo, stava per trasformarsi in realtà e avvenne così quello che più ci penso e più mi accorgo che ha dello straordinario, dell’incredibile. Finalmente ora, io potevo vedere Marietta.

Dolcemente chinata, quasi curva su quella che era la sua tomba, di abiti ottocenteschi vestita, illuminata da un raggio di luce come un tremulo brillio rapito così fugacemente dall’infinita luce divina, la vidi mentre coglieva quei fiori che io stesso le avevo portato sulla sua pietra. Li coglieva uno dopo l’altro fino a formarne un mazzo, poi si slegò una treccia dal bruno dei suoi capelli, e legò insieme quei fiori dai colori misti che profumavano di primavera. Io la osservavo attentamente, meravigliato e confuso, ma senza aver paura, una figura così sublime non poteva infondere timore ma solo tenerezza e profonda commozione. L’unica cosa che riuscivo a connettere nella magia di quell’istante, era che quella ragazza che stavo osservando, aveva un aspetto identico a come io stesso l’avevo immaginata.

Poi lei alzò il capo dolcemente, mi guardò e mi sorrise mostrandomi lo splendore d’un volto angelico pallido e soave, contornato da un alone di mistica bellezza, puntando i suoi occhi scuri penetranti, dritti e fissi sui miei, ed io, non potendo pur volendolo spostare i miei occhi in nessun’altra direzione, sostenni come ipnotizzato il suo sguardo.

E fu così che in quella mattina di gennaio, nobile nel portamento e aggraziata nei gesti, misteriosamente affascinante lei mi apparve.

Ha avuto inizio così il primo dialogo con lei. Abbandono, ma solo per la parte relativa ai dialoghi, la narrazione in prima persona, per darvi una lettura più oggettiva dell’avvenimento.

 

 

 

IL PRIMO INCONTRO

Manuel: Ma tu chi sei?

Marietta: Io sono Marietta, la ragazza che tu stai cercando.

Manuel: Ma non è possibile, è assurdo, non può essere, io sto sognando, ho un’allucinazione. Tu sei morta, non puoi essere viva.

Marietta: Sì Manuel, io sono morta ma posso rinascere grazie ai tuoi sogni, alla tua fantasia, alla tua immaginazione. Tu sei un ragazzo capace di trasformare in sogno e poesia la realtà ed è per questo che io ho voluto premiarti.

Manuel: No, non può essere, tu sei solo il frutto della mia immaginazione, la proiezione dei miei sogni, non puoi essere quella ragazza morta nel 1872.

Marietta: Sì Manuel, sono proprio io invece, la ragazza morta tanto tempo fa. Io ti conosco ormai, so chi sei, ti seguo da sempre, sono molto più vicina di quanto tu possa pensare. Io sono viva, viva, viva.

Manuel: Troppo forte! Ma allora è meraviglioso. Ma tu ci pensi? Ti rendi conto? Tu eri morta per modo di dire ed io sono ancora vivo ma nonostante questo io ti vedo, ti parlo, ti sento come se il tempo non fosse mai passato. Mio Dio, è troppo bello! è meraviglioso.

Marietta: Sì Manuel, e questo è avvenuto grazie alla forza creativa dei tuoi sogni.

 

 

 

 

 

COME LA VEDEVO

La sua voce era dolce e comune a quella di tante altre ragazze della mia città. Aveva infatti quel tipico accento messinese che si percepisce subito, specie per chi viene da fuori, pur parlando in perfetto italiano. Quella sua voce fina, contrastava un po’ con quel suo aspetto angelico, non perché non fosse gradevole all’orecchio, ma perché non possedeva quell’alone di mistero che era invece riscontrabile nella sua figura. La voce insomma sembrava più reale e umana del suo aspetto. Man mano che mi parlava e le nostre conversazioni diventavano più intime, anche la sua immagine si faceva via via sempre più normale, fino ad abbandonare del tutto quel non so che di inquietante e misterioso che aveva in lei quando mi apparve per la prima volta. Ad un certo punto, la sua fisionomia divenne talmente reale da sembrare assolutamente umana, tanto da poter essere scambiata tranquillamente per qualunque altra ragazza. L’unico indizio che mi riconducesse alla sua vera natura, mi era fornito dal suo abbigliamento che era del tutto ottocentesco e quindi la rendeva inevitabilmente diversa. Tutto questo però non sottraeva nulla al suo fascino ma la faceva apparire straordinariamente viva e reale, appartenente appieno alla mia dimensione, facendomi sentire perfettamente a mio agio con lei. Indossava un lungo vestito bianco che le donava molto e che le arrivava fin quasi ai piedi, con dei ricami fantasiosi dello stesso colore ma che si notavano perché d’un bianco più intenso. Era un vestito leggero e primaverile anche se a maniche lunghe in forte contrasto col periodo invernale di allora. Mi appariva vestita sempre allo stesso modo. Le scarpe erano nere, senza tacchi, anch’esse primaverili ma mi sembravano uguali a quelle usate ai giorni nostri.

Sicuramente dovevano essere per forza ottocentesche ma io, forse perché da sempre ignorante in fatto di moda, non lo capivo. A me davano quasi l’impressione di essere le scarpe di Cenerentola ed io mi sentivo il famoso principe azzurro. Il suo fisico era snello, non grasso e non magro, perfettamente giusto, adatto a indossare qualsiasi tipo di vestito. Le sue forme delicate non apparivano troppo evidenziate né particolarmente seducenti. Era alta quasi quanto me, 1,70 circa. La sua carnagione chiara era più da ragazza nordica che da siciliana ma serviva a farle aumentare il fascino perché spiccava col bruno dei suoi capelli e col nero degli occhi, quegli occhi sempre puntati sui miei quando mi parlava, quasi non riuscisse mai a distrarsi tanto da procurarmi un certo imbarazzo, una sottile pudica timidezza.

Il suo volto aveva perso quel pallore angelico, diventando d’un colore normale, persino solare. Le sue ciglia, il suo naso, i denti, la bocca, tutto di lei mi appariva perfetto senza nessun difetto. Era il suo un viso acqua e sapone, senza trucco, dai lineamenti delicati, che dimostrava esattamente la sua età, quasi 17 anni. Era sicuramente carina, direi bella ma non bellissima, non era dotata di un fascino eccelso. Mi sembrava umana, terribilmente umana.

Non faceva smorfie di nessun tipo né cambiava spesso d’umore ma aveva un bel carattere, sempre allegro, disponibile al dialogo, socievole. Dolce nei gesti, aveva però un qualcosa di alterato nel portamento, involontario, forse perché era nobile. I suoi capelli erano bellissimi, lunghi ma non troppo, ondulati, le arrivavano fino alle spalle. Erano bruni, del colore che a me piaceva di più in una ragazza, si era completamente tolta le trecce. Era, in conclusione, una ragazza normalissima, tranne un piccolissimo e irrilevante particolare, era morta più di cento anni fa.

Da questo momento in poi, il racconto assume le vesti del dialogo che io ho voluto chiamare “Dialogo della semplicità”, per mettere in evidenza come nella semplicità, e quindi nella purezza incontaminata dei sogni, si possono vivere esperienze ed emozioni trascinanti, uniche, di altre dimensioni.

 

 

 

DIALOGO DELLA SEMPLICITA’

Marietta: Grazie Manuel per essere venuto a trovarmi.

Manuel: Figurati, lo faccio con piacere. Parliamo un po’ di te, vuoi?

Marietta: Certo.

Manuel: Come passavi il tuo tempo libero?

Marietta: La mattina uscivo con mia madre oppure con mia cugina o qualche amica, questo quando non c’era la scuola, specie nelle vacanze.

Manuel: Ma tu eri brava a scuola?

Marietta: Moltissimo, ero la prima della classe. Pensa che quando sono morta, i miei compagni, le mie compagne, i miei professori erano tutti al mio funerale. Molti di loro piangevano. Alla fine mi hanno fatto un applauso lunghissimo.

Manuel: Fino a che classe sei arrivata?

Marietta: Fino quasi alla fine cioè alla terza media. Ai miei tempi chi aveva la licenza media era come un laureato dei tempi tuoi. Io perché ero nobile ero istruita, ma quasi tutti gli altri ragazzi lavoravano o facevano solo la scuola elementare.

Manuel: Con tuo padre andavi in giro a fare passeggiate?

Marietta: Sì, ma poche volte, era sempre impegnato con la politica, era senatore. Ricordo che mi portava al teatro. Sai, era un padre affettuosissimo e premuroso, nel senso che la politica restava fuori dalla famiglia. Ogni Natale mi portava i regali più belli. Avevo un albero favoloso, ricco di colori e sorprese.

Manuel: E che volevi di più dalla vita?

Marietta: Tutto ancora, ma mi è stata tolta e forse è stato meglio così. Non rimpiango proprio nulla di ciò che avevo sulla terra. Dio mi ha fatto dei doni molto più belli ed eterni. Le sue idee non sono quelle degli uomini.

Manuel: Ma tu eri felice, orgogliosa di essere figlia di nobili o preferivi essere nata normale o magari povera?

Marietta: Per me era indifferente. Sono sempre stata modesta. Non ho mai avuto arie. Poi, del resto, non sarebbe stato merito mio, così come sono nata nobile, potevo benissimo nascere povera. Sono nata nobile ma non sono morta lo stesso? La ricchezza terrena non vale niente, è quella dell’anima che conta.

Manuel: Eravate ricchi?

Marietta: Assolutamente no! Ma che cosa ti sei messo in testa, che avevamo castelli giganteschi come quelli delle favole? Ai miei tempi c’erano un’infinità di problemi, tante malattie incurabili, addirittura il Regno d’Italia era stato proclamato da poco, c’erano tante rivalità tra gli uomini, tanti contrasti.

Manuel: Vedo che sei molto preparata in storia!

Marietta: Ma no, certe cose si sapevano per sentito dire. Noi abitavamo in una casa un po’ più grande delle altre a livello terra. Sai dove? In centro, al Corso Cavour, allora si chiamava così e non so se esiste ancora, le strade erano molto diverse da quelle di oggi. Io ricordo che avevo una stanzetta che sporgeva su un mercato e c’era sempre tanto traffico, tanta confusione con tutta la gente che andava a comprare. In realtà non c’era molta scelta nel mangiare, c’era frutta, pesce, uova, poca carne ma comunque era tutta roba genuina. C’era miseria in quel periodo.

Manuel: Come fai a dirmi che non eravate ricchi? Non ci credo.

Marietta: Ricchi per modo di dire, avevamo più dei poveri, proprietà terriere soprattutto, te l’ho già detto, c’era povertà, non poteva parlarsi di vera e propria ricchezza. E poi io ero piccola per interessarmi a queste cose. I soldi, la politica per me era come se non esistessero. Vivevo semplice con celestiale virtù e serena bellezza, proprio come ha fatto scrivere mio padre sulla mia tomba. A proposito di mio padre, sai, ha sofferto molto quando sono morta! Ero l’unica sua figlia, era particolarmente attaccato a me, mi voleva bene. Avevo anche un fratello, Ernesto, era un anno più piccolo di me. Pensa che è stato per due volte sindaco di Messina. Lui è morto a 49 anni nel 1905. Vedi questo signore sepolto al mio fianco? È mio padre, è morto 12 anni dopo di me, come vedi la morte non ha età. Guardalo bene, trovi che mi somiglia? Dicevano tutti che mi somigliava moltissimo. Lui il volto ce l’ha ancora sulla tomba, il mio si è rotto col terremoto del 1908. Ma cosa importa? Tanto tu mi vedi lo stesso.

Manuel: E tua madre? Tua madre dov’è sepolta? Come mai non è qui con te?

Marietta: Lei è sempre vicino a me. Qui al cimitero non so dove sia sepolta. Forse perché appartiene alla famiglia Stagno d’Alcontres sarà in qualche altro posto. Sai, c’è pure una mia cugina morta a 14 anni sepolta dove ci sono i bambini del mio secolo, il suo cognome era proprio Stagno d’Alcontres.

Manuel: Io ho fatto delle ricerche su di te e ho notato che nello schedario della tua famiglia risultano proprio tutti, tranne te. Come mai?

Marietta: Non lo so, è strano. Forse perché ho vissuto talmente poco e non sono stata né sposata e né in politica.

Manuel: Ai tuoi tempi si sposavano presto?

Marietta: Sì, almeno il più delle volte. C’erano molti matrimoni che venivano stabiliti dai genitori. Comunque mio padre e mia madre si amavano veramente.

Manuel: Che facevi nel tuo tempo libero?

Marietta: Un po’ di tutto. Disegnavo, mi piaceva molto. Dipingevo il sole, il mare, la natura, paesaggi. Mi piaceva andare a cavalcare, avevamo un cavallo piccolino, si chiamava Puffy. Leggevo libri d’avventura, libri d’amore, scrivevo poesie. A proposito. Ho letto quella poesia che mi hai dedicato. È bellissima, mi ha colpita fino a farmi scappare le lacrime. È insolita, irreale, strana proprio come noi due che siamo qui a parlare da tanto tempo. Per noi è tutto così naturale, per gli altri magari è solo follia, fantasia. Eppure noi due siamo reali. Perché non provi a scrivere un libro sulla storia di noi due?

Manuel: Mi prenderebbero per pazzo, non lo leggerebbero neanche. Ma tu eri romantica? Ti piaceva la musica?

Marietta: Sì, Manuel, ero romanticissima come te e amavo la musica che era molto diversa da quella rumorosa di oggi. Mi ha fatto piacere che tu ti sia comprato un disco con la musica dell’Ottocento, così ti ricordi di me. Ma sei ancora convinto di volerti fare una tomba vicino alla mia?

Manuel: Certo che lo sono, vorrei essere sepolto vicino a te, quando sarà.

Marietta: Ma tu sei completamente pazzo, ma come puoi pensare una assurdità simile?

Manuel: Perché? Mi è sempre piaciuta questa zona del cimitero, queste tombe antiche. Ma sicuramente non me lo permetterebbero. Qui possono starci solo le tombe del tuo secolo.

Marietta: E meno male, così almeno cancelli dalla tua mente una idea simile. Ascolta Manuel, anch’io amavo come te la vita terrena, ogni cosa, un fiore, un insetto, un bimbo, una stella, una coccinella. Chi meglio di me ti può capire? Perché ero uguale a te. So che tu ti domandi perché quel bambino ingenuo, tanto bellino, che poi cresce man mano, che tu vedi nelle tue fotografie, debba invecchiare e magari in punto di morte anche soffrire come ho sofferto io. Ma sappi Manuel, che se Dio toglie qualcosa, lo fa solo per dare di più, molto di più. Ti darà doni molto più belli, più grandi, più certi, eterni. Devi credere e avere fiducia in lui. Dinanzi a Dio si è sempre giovani, molto più della giovinezza terrena. Sulla terra prima o poi tutto sbiadisce. In cielo tutto rimane per sempre puro, intatto, incontaminato. Non ha nessuna importanza se metterai la tua tomba vicino alla mia, perché sono solo pietre e null’altro. Noi saremo vicini lo stesso nei giardini dei cieli, se solo tu lo vorrai, dipende solo da te. Sarò io stessa in punto di morte a prenderti dolcemente per mano e a farti contemplare la bellezza di ciò che è Dio e anche tu, così come ho fatto io, piangerai di gioia. Tutto sarà chiarezza, consapevolezza nell’analizzare con occhi di verità il proprio operare terreno. Visionando dall’esterno, in punto di morte, il film della tua vita, ciò che hai vissuto ti sembrerà così lontano, non tanto nel tempo, quanto nello spirito. Si nasce sulla terra per morire, con un grido dentro che solo Dio fatto uomo può sentire e comprendere. L’esistenza terrena fugacemente svanisce nell’inesorabile scorrere del tempo, ma da ogni notte buia rinasce sempre il sole, e tu, tra suoni e colori indefinibili, vivrai la vera vita con amore.

Manuel: Mi sto commuovendo, mi stanno quasi scappando le lacrime, sei più poetica di me. Posso prendere la tua mano?

Marietta: Certo che puoi.

Manuel: Allora tendi la tua mano verso la mia ed io farò la stessa cosa. Così arriverò a intersecare le mie dita con le tue dita in modo che possa stringerti forte la mano e sentirti più vicina.

Marietta: Va bene Manuel, ma non puoi sentire la mia struttura fisica perché i sogni non hanno corpo, stringeresti l’aria.

Manuel: Non m’importa. Afferra la mia mano adesso con la tua, le tue dita nelle mie, e stringiamo forte insieme.

Marietta: Ora che le nostre dita si stringono cosa stai provando Manuel?

Manuel: Forte, Marietta, troppo forte! Sto stringendo l’aria, non te, tu sei trasparente, sei un fantasma allora.

Marietta: Te l’avevo detto che non puoi sentirmi fisicamente.

Manuel: È emozionante lo stesso. È come un leggero brivido, una piccolissima scossa elettrica che non mi procura nessun fastidio, nessun dolore. E tu cosa provi?

Marietta: Le stesse cose che stai provando tu.

Manuel: Posso baciarti sulle labbra?

Marietta: Sì, se vuoi.

Manuel: Troppo forte, fantastico!

Marietta: Cosa hai sentito?

Manuel: Una strana sensazione. Come se sulle mie labbra, fosse caduta una gocciolina d’acqua fredda. Marietta dimmi la verità, mi trovi carino come ragazzo?

Marietta: Certo che lo sei.

Manuel: Se tu fossi viva e appartenessi al mondo reale, ti innamoreresti di me?

Marietta: Credo di sì.

Manuel: E mi sposeresti?

Marietta: Credo di sì.

Manuel: E vorresti figli da me?

Marietta: Non lo so, non ci ho mai pensato. Ma tu hai la ragazza?

Manuel: No!

Marietta: Perché?

Manuel: Non lo so, forse perché cerco una ragazza all’antica come te e non l’ho mai potuta trovare. Forse non esiste neanche. Senti, se portassi mia madre, mio padre, un amico qui, ti potrebbero vedere?

Marietta: No, solo tu puoi vedermi.

Manuel: E se provassi a raccontare a qualcuno l’esperienza che sto vivendo?

Marietta: Non verresti creduto, forse penserebbero che sei pazzo, un visionario.

Manuel: Cos’è la morte?

Marietta: Esiste solo quella fisica.

Manuel: Ma cos’è? Perché si muore?

Marietta: È come la nascita, solo che è al contrario. L’anima non muore mai, si trasforma soltanto cambiando dimensione ma noi restiamo sempre gli stessi, liberi ciascuno nella propria individualità in una dimensione di immortalità e benessere nell’amore eterno.

Manuel: Ma tu quanti anni hai ora?

Marietta: Potrei averne 16 come potrei averne 1000. Non esiste il tempo nel mondo dello spirito. Non ho un’età. Sono viva più dei vivi.

Manuel: Chi è Dio? Com’è?

Marietta: È infinita luce, è infinito amore. Devi adorarlo mettendolo al primo posto nella tua vita e aiuta il tuo prossimo dando forza e coraggio a chi non ce la fa.

Manuel: Ma chi l’ha creato?

Marietta: Quando si ama veramente qualcuno, non ci si chiede mai il perché e da dove nasca l’amore, si ama e basta. Troverai la risposta leggendo la Bibbia e dentro la Chiesa, nel tuo cuore la verità.

Manuel: E il diavolo esiste o è solo un’invenzione per metterci paura?

Marietta: Non è un mostro con le corna. È l’opposto di Dio, il contrario del bene. Con astuzia sfrutta il tuo punto debole e ti domina se credi che non esista, presentandoti il male come bene. Non può nulla contro la volontà del tuo cuore.

Manuel: Potrei parlare con mia nonna che è morta quando io ero ancora piccolo?

Marietta: Tua nonna non è mai morta e ha lo stesso desiderio di parlare con te anche perché sa molte cose più di te.

Manuel: Ma allora perché non possiamo parlarci?

Marietta: Per lo stesso motivo per il quale un pesce non può stare fuori dell’acqua e un uomo non può vivere sott’acqua.

Manuel: Ma perché dovrei credere a ciò che non vedo?

Marietta: Molte cose nella vita esistono ma non si vedono. Pensa alle onde elettromagnetiche, alla forza del pensiero. Il mondo dello spirito è vasto e complesso, innamoratene! Impara a guardare lontano, Dio ha un progetto d’amore anche per te. Mantieni con lui un rapporto vivo, gioioso e costante e nulla potrà insidiarti.

Manuel: Esiste il paradiso?

Marietta: È la luce di Dio.

Manuel: E l’inferno?

Marietta: È la mancanza di questa luce.

Manuel: Chi sono i santi?

Marietta: Anime più vicine alla luce. Cercali e ti aiuteranno.

Manuel: E i cattivi?

Marietta: Anime che non vedono la luce ma possono rivederla se si redimono vagando prima nella nebbia del purgatorio. Dio mette alla prova. Servono fede, perseveranza e pazienza affinchè Egli operi nella nostra vita.

Manuel: Puoi dirmi quando morirò?

Marietta: Non lo so ma anche se lo sapessi non te lo direi mai, sarebbe la fine, un conto alla rovescia. Non un secondo in più, non un secondo in meno di quando Dio ha già stabilito.

Manuel: Cosa ti piace di più di me?

Marietta: La tua sensibilità disarmante.

Manuel: Quando ci sarà la fine del mondo?

Marietta: Non lo so ma anche se lo sapessi, non te lo direi.

Manuel: È peccato suicidarsi?

Marietta: Perché questa domanda? Mi fai paura. È uguale a uccidere. Non puoi fuggire dai tuoi tormenti con la morte, li ritroveresti nell’altra vita.

Manuel: Qual’è il più grave peccato?

Marietta: Ce ne sono tanti, forse l’odio. Con la preghiera e portando la croce si annullano. Serve la conversione del cuore per la redenzione.

Manuel: Dove sono adesso i grandi poeti del passato che magari avevano le mie stesse inquietudini, le mie stesse paure?

Marietta: Sono tutti vivi, stanno sperimentando la luce, hanno un’ispirazione molto più profonda e superiore a quella che possedevano sulla terra.

 

Ho narrato solo una minima parte delle conversazioni avute con Marietta. Il tempo in cui mi incontravo con lei è durato assiduamente per una quindicina di giorni, dagli ultimi di gennaio sino a metà del mese successivo nell’anno 1984. Il posto era sempre lo stesso, la parte più alta del cimitero. L’ora era sempre quella, dalle 9 del mattino sino a mezzogiorno.

Sostituivo praticamente la scuola col cimitero. Tutto questo ebbe fine, o stava per finire, quando Marietta, improvvisamente, decise di non apparirmi più lasciandomi per sempre ed io, in preda alla disperazione, cercavo di sapere da lei il motivo.

 

 

 

 

 

DIALOGO TRA MANUEL (IL VERO ME STESSO)

E MARIETTA

Manuel: Perché vuoi scomparire Marietta? Tu eri viva, esistevi davvero. Pure i fantasmi si allontanano da me.

Marietta: No Manuel, io non esisto più, non posso esistere, non posso vivere per colpa degli altri che non vogliono più farti sognare. Tu devi restare con i piedi per terra altrimenti verresti deriso da tutti, preso per pazzo. Devi convincerti che io sono il frutto della tua grande immaginazione, la proiezione del vero te stesso. Tu mi hai fatto rinascere dalla morte perché hai creduto con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore, alla forza di sognare che hai dentro di te. Io prima ti ero vicina, ti parlavo, ti capivo, ero reale perché tu ascoltavi la voce dei tuoi desideri, dei tuoi sogni. Ma adesso tu stai dubitando della tua immaginazione, non ascolti più il vero te stesso e mi stai facendo morire per sempre. Manuel perché non ascolti più la voce del bambino che è in te? Non senti questo caldo agli occhi che vorrebbe essere pianto? Tu mi avevi creato, adesso perché vuoi distruggermi? Con me morirai anche tu, non ti ritroverai più, resterai solo, almeno io ti capivo perché ero lo specchio del vero te stesso, ero la tua libertà, la tua energia vitale, perché vuoi annientare tutto? Manuel non sono io che sto fuggendo da te ma sei tu che per sempre stai fuggendo da me. Ti prego resta te stesso, ascolta i tuoi sogni, non morire anche tu diventando uguale agli altri, tu sei diverso da loro. Quando si crede veramente ai sogni, niente diventa impossibile. Io ero morta e grazie a te sono rinata.

Manuel: Marietta, ma se per gli uomini è così importante sognare come mi stai dicendo tu, perché allora non ascoltano i loro sogni? perché se io provo a sognare mi emarginano?

Marietta: Tutto questo Manuel accade perché sognare è come essere liberi. Gli uomini sono nati liberi perché sono spiriti liberi, hanno avuto da Dio il dono della libertà e quindi hanno diritto di sognare ma, chissà perché, hanno paura della loro stessa libertà, non riescono ad essere se stessi e preferiscono chiudere le loro menti e così non sognano più. È per questo che nel mondo c’è odio, invidia, materialismo, c’è l’arroganza del potere, ci sono le guerre, perché è molto più facile comandare sulle menti chiuse che non credono più a niente e così si arriverà alla fine.

Manuel: Marietta, io sento che tu hai ragione. Io non voglio soffocare la mia mente, la mia libertà, la voglia di sognare, voglio restare me stesso ma come posso fare? Ormai vivo in un mondo chiuso che non sogna più. Se resterò me stesso, non mi capirà e non mi crederà nessuno. Cosa posso fare Marietta? Ti prego aiutami, cosa posso fare?

Marietta: Devi restare sempre te stesso Manuel. Vivi la tua libertà, dai ascolto ai tuoi sogni e non sarai mai solo. Saranno i tuoi stessi sogni a portarti lontano, a farti compagnia e poi ci sarò io con te perché sento che stai ricominciando a credere ed io non sto morendo più. Scrivi una storia, la storia di noi due, leggila a chiunque, bussa ad ogni porta. Non aver paura se ti prenderanno in giro perché ci sarò io a darti forza. Racconta di noi due al mondo intero, ai bambini, ai vecchi, non ha età la forza dell’immaginazione. Vedrai che qualcuno, in questo momento, sentendo la nostra storia, sta cominciando ad aprire la sua mente e a provare a volare finalmente, perché ci ha capiti, perché dentro è uguale a noi ed è bello poter essere capiti da qualcuno per quello che siamo realmente, è bello poter aiutare il nostro prossimo. Coraggio Manuel, dammi la mano e camminiamo insieme.

Manuel: Sì Marietta, camminiamo insieme.

 

                                             VENT’ANNI DOPO

 

 

Dopo vent’anni, l’altro giorno, sono tornato in quel posto. Ho rivisto le tombe abbandonate dell’Ottocento ma non mi hanno suscitato nessuna emozione. Sono stato anche sulla tomba di Marietta ma mi è sembrata anch’essa come tutte le altre, fredda e muta, non aveva più nulla da comunicarmi. Era come se la storia di questo libro fosse stata vissuta da un’altra persona e non da me.

Sono tornato a casa con la morte nel cuore e più solo di prima. Mi rendevo conto che mai più avrei potuto rivedere Marietta perché una ragazza di 16 anni non avrebbe più nulla da dire ad un uomo di 40 ma soprattutto perché con l’età adulta, assieme alla giovinezza, avevo perduto anche la mia ingenuità.

 

 

 

 

“Colei che brevemente fu

e che mai in vita conobbi”

 

è dedicato a Marietta Cianciolo

anche se non saprò mai se le piacerà.

 


in fotofrdr: Claudio Cisco da bambino

Apr 20, 2018 - Senza categoria    Commenti disabilitati su PROSE (Claudio Cisco)

PROSE (Claudio Cisco)

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IL MIO CAMMINO SPIRITUALE

L’INCONTRO CON LA MADONNA:

TESTIMONIANZA DI FEDE

 

 

E’ bellissimo per me poter parlare della Madre celeste, scrivere con sincerità di pensiero quello che   Lei rappresenta per me, il modo attraverso il quale trasmette gioia, dona pace, regala serenità; è sicuramente una testimonianza importante che può servire agli altri, anche a chi, per sola curiosità, si sta soffermando in questo momento nella lettura. Il mio cammino spirituale è stato molto tormentato e assai complesso, quasi impossibile da raccontare in poche righe perchè frutto di emozioni intime, uniche ed indimenticabili, invase dal male prima e consolate dal bene dopo, ma, nonostante tutto, vorrei provare ugualmente ad essere il più possibile conciso e sintetico, concentrando in poco spazio ciò che meriterebbe un libro intero per la grandezza dei sentimenti da narrare. Premetto che mi trovavo distante mille anni luce da Dio e dalla sua volontà, sconoscevo l’importanza della   sua parola con i suoi insegnamenti; praticamente lontano dai sacramenti, non seguivo affatto una vita cristiana, collocandomi in una posizione di disinteresse verso la chiesa che per me era come se non esistesse. Ma il Signore è grande e misericordioso, sempre pronto a porgere una mano, a elargire aiuto a chi, disperato cade, specialmente quando l’infinita bontà di Dio percepisce nel cuore triste e malato, una fiammella di speranza alimentata da un sincero proposito di cambiamento. E così la provvidenza mi ha messo sulla strada un’amica quasi coetanea, Giovanna, una donna evangelica che, dopo parecchio tempo a causa della mia esitazione, è riuscita a trascinarmi con lei, per la prima volta, in una chiesa protestante pentecostale, di quelle caratterizzate da preghiere forti, carismatiche, di intensa spiritualità. Lì dentro, i miei occhi hanno osservato   cose mai viste: gente parlare in lingue sconosciute che alcuni interpretavano, preghiere e canti di lode e di adorazione recitate con pianti di gioia ed invocazioni urlate, profezie, imposizioni di mani sul corpo specie sulla fronte, persone cadere per terra svenute e rimanere a lungo in quello stato di riposo spirituale ed ancora preghiere di liberazione, a volte veri e propri esorcismi che avvenivano durante i culti stessi anche in presenza di bambini che sembravano abituati a quell’ambiente. Era insomma una chiesa molto diversa da quelle cattoliche tradizionali, eppure io ricordo di non aver mai pensato, neanche per un solo istante, di essere finito in un manicomio pieno di pazzi, ma anzi, al contrario, cominciavo a percepire dentro e fuori di noi esseri umani, sia pure in forma latente, l’esistenza di un mondo parallelo che mi si apriva davanti alla mia conoscenza, una realtà spirituale importantissima e vitale che mi portava a comprendere che dietro la sofferenza oscura e il male più cattivo, si nascondono demoni di grande intelligenza e diabolica astuzia che difficilmente possiamo vincere senza l’aiuto del Padre: sono loro infatti la causa principale delle rovine dell’animo umano, e sono sempre essi capaci di operare indisturbati nel quotidiano, perché sottovalutati o peggio ancora non creduti dalla maggioranza degli uomini. Lo capivo chiaramente vedendo i tormenti spirituali e fisici di chi combatteva col maligno, spesso il vomito era sintomo di liberazione. Per me erano tutte situazioni sconosciute e mai prese in considerazione prima di allora ma dentro il mio spirito sentivo di non trovarmi in quel posto, così apparentemente strano, per caso e che proprio da lì sarebbe potuta iniziare la mia rinascita spirituale dopo secoli di buio fitto e di solitudine totale. Pian piano e secondo i tempi di Dio, continuando a frequentare quella chiesa e iniziando a pregare anch’io timidamente come potevo e come vedevo fare, ho avuto la grande gioia di sentire e di capire che Gesù mi amava davvero e di un amore grande e sincero, così com’ero, con i miei evidenti limiti umani e le mie debolezze e che potevo fidarmi ciecamente di Lui. Fu per questo che accettai il Signore nella mia vita come personale Salvatore. Ma la gioia di sentirmi finalmente amato non mi ha risparmiato il dispiacere di comprendere che, radicato nella mia mente, vi era un demone d’impurità, forte, del quale io, fino a quel   momento sconoscevo completamente l’esistenza anche perché non si era mai manifestato prima, secondo la furbizia di questi esseri che fanno dell’anonimato la loro forza, e che era riuscito a fare nella mia vita, quello che voleva, facilitato da me che, sia pure inconsapevolmente, lo avevo sempre assecondato. Oggi posso dirvi con assoluta certezza e con molta esperienza sperimentata sulla mia pelle, che i demoni sono i principali artefici dei nostri errori e dei nostri peccati e che senza una vita di preghiera e di relazione costante con Dio, non c’è possibilità di salvezza per noi piccoli esseri mortali e che ogni forma di perversione sessuale e di vizio impuro, hanno come radice, la presenza di questi esseri diabolici che operano secondo le proprie caratteristiche, svolgendo il loro compito specifico, osservando rigide e determinate gerarchie; i diavoli legati alla sfera sessuale, che io ho conosciuto e a lungo combattuto, non spingono ad essere cattivi e non portano avversione al sacro, per questo motivo risultano difficili da identificare e togliere, ma non per questo possono essere considerati meno gravi, in virtù del fatto che con i peccati della carne sporcano il corpo prima e lo spirito dopo, creando inimicizia con Dio e aprendo un varco ampio verso l’inferno. E’ cominciata così, con l’aiuto del pastore e di fratelli e sorelle con doni carismatici di liberazione, la mia lotta contro il maligno che era uscito ormai allo scoperto, suo malgrado, perché Gesù l’aveva ormai smascherato rendendolo assolutamente incompatibile con la presenza stessa di Cristo, il quale stava ormai facendosi strada dentro il mio spirito. Non è stato per niente facile scontrarmi col nemico delle nostre anime e quello che ho passato non lo auguro a nessuno: altro che problemi psicologici o psicanalitici! Altro che camomille o farmaci ansiolitici! Io ho dovuto estirpare con preghiere forti e con la mia volontà di uscirne a tutti i costi, quello che di negativo vi era in me, quel tempio di Satana fatto di lussuria e concupiscenza carnale che il demone stesso con la mia inconsapevole volontà, aveva eretto nei miei pensieri e desideri e perfino nella mia casa: ricordo perfettamente gli attacchi che subivo la notte, specie verso le tre, questo poiché, durante il sonno, avviene che si assottiglia di molto il confine tra il mondo fisico e quello dello spirito e i due mondi paralleli, quello degli spiriti incarnati che siamo noi e quello degli spiriti disincarnati assieme ad altre realtà celesti che vivono in dimensioni superiori, a volte e in situazioni particolari, si sfiorano fin quasi a incrociarsi. La mia condizione, sia pure lentamente, migliorava progressivamente ma quando ero sul punto di convincermi di aver intrapreso la strada giusta, quella che mi avrebbe portato successivamente alla vittoria e mi stavo conseguentemente illudendo di assaporare un po’di pace interiore, ecco, improvvisamente e del tutto inaspettata, spuntare all’orizzonte una nuova nube minacciosa e per la prima volta in vita mia, si spalancarono per me le porte del carcere, per reati di natura sessuale ovviamente compatibili col demone che combattevo. In tutta onestà devo dirvi che non ho mai scaricato tutta la responsabilità dei miei errori sull’entità malvagia perché sono stato esclusivamente io a consentirgli di fare tutto ciò che ha voluto rendendolo forte e padrone della mia vita, e per questo ho invocato pentito il perdono di Dio, il mio più grave sbaglio è stato quello di non aver mai cercato una relazione col Creatore e di non aver mai permesso allo Spirito Santo di agire in me e nella mia vita. Ma ormai il Signore aveva piantato il suo seme in me che cominciava a crescere ogni giorno di più e non mi avrebbe mai più lasciato. Oggi mi rendo conto che il carcere è stato una specie di purgatorio terreno, necessario a farmi crescere scontando i miei peccati perchè le croci, le sofferenze, servono a farci maturare spiritualmente e possono trasformarsi, con la fede e la preghiera, in meravigliose opportunità di rinascita. Ed è stato proprio dentro il carcere che si è realizzato un altro miracolo nella mia tormentata vita terrena; l’incontro con la Madonna, un dono straordinario che mi ha fatto Dio, del quale forse non ne sono degno, ma che ha rappresentato una svolta nel mio cammino spirituale: io che ero chiuso in una cella, sporco nel corpo e nello spirito, ecco che incontro Colei che personifica la purezza e la libertà di essere figli di Dio e che è venuta lo stesso da me facendo ciò che avrebbe fatto Gesù: soccorrere un suo figliuolo che chiedeva aiuto. Non l’ho conosciuta in un luogo di apparizione mariana o durante un pellegrinaggio ma in un posto di espiazione e di emarginazione, segno della grandezza di Dio che sa leggere nel cuore dell’uomo prima ancora della sua condizione esistenziale. Io ho cercato con tutto me stesso, forse anche perché spinto dalla disperazione, la madre di Dio, ma l’ho cercata davvero, questo è stato importante, e l’ho fatto pur essendo protestante e persino contro il volere del pastore che mi aveva seguito fino ad allora e dei fratelli della chiesa alla quale appartenevo, che continuavano a pregare costantemente per me. Ma la presenza amorevole di Maria, la sua vicinanza, la sua premura, la sua infinita dolcezza mi hanno spinto a fidarmi di lei. I frutti si sono rivelati tutti positivi: sono uscito da quel posto l’11 febbraio, nella ricorrenza del giorno della prima apparizione della Madonna a Lourdes, e da quel momento, la Vergine mi ha portato sempre più vicino a Gesù e sempre più lontano dal maligno e forse è anche per questo che Dio l’ha messa sul mio cammino, proprio in virtù del fatto che contro i demoni d’impurità, era necessaria la presenza della infinita purezza di Maria per scacciarli, la vicinanza della madre di Cristo è infatti una potentissima arma dopo il sangue di Gesù. Oggi il mio rapporto con la Madonna è splendido e commovente, sento la sua presenza materna, mi protegge e mi guida, ora finalmente riposo tranquillo la notte con al collo la sua medaglietta miracolosa, comunica con me attraverso locuzioni di pensiero fin quasi a percepire anche la voce, non la vedo ma è come se fosse visibile con gli occhi dello spirito, so che in punto di morte lei ci sarà, come ha promesso a Fatima a tutti coloro che faranno il percorso dei 5 sabati, cammino che io ho già fatto con gioia e dedizione. Mi manda molti segni, soprattutto rose, cuoricini e coroncine di rosario che trovo per terra, sulla mia strada. Ogni anno per l’8 dicembre, ricorrenza dell’Immacolata Concezione, mi chiede di portarle una rosa e di deporla sotto i piedi della statua di Montalto che la raffigura, qui a Messina e che per per me è come una piccola Lourdes o Fatima o Medjugorje. Ho imparato a recitare tutti i giorni, la mattina, prima di alzarmi e dopo aver ringraziato il Signore per avermi donato un altro giorno di vita, il rosario e sempre tutti i giorni, puntualmente alle 3 del pomeriggio, dico la coroncina alla divina misericordia. Oggi sono un uomo completamente cambiato in positivo e vivo una vita di preghiera e di condivisione con i miei fratelli in Cristo e quello che, grazie alla fede è avvenuto in me, Dio è pronto a   farlo con chiunque, anche col più incallito peccatore, non aspetta altro, gli basta perfino un piccolo segno, desidera essere cercato ed è sempre pronto a perdonare e a ridare una vita piena di significato e di amore. Se guardo indietro nel mio passato, mi rendo conto di quanta strada ho fatto grazie al Signore, che va ringraziato sempre. Non riconosco affatto quello che ero ieri prima di aver sperimentato la presenza di Cristo nella mia vita, era un’altra entità negativa che agiva al posto mio, dico sempre che ero io ma non ero io. Ovviamente sono rientrato nella chiesa cattolica perché sono troppo innamorato spiritualmente della Madonna e questa gioia che provo dentro non mi è stato possibile condividerla con i fratelli protestanti ai quali non potevo esternarla ma dico grazie ugualmente alla chiesa evangelica alla quale devo molto perché è lì che ho mosso i miei primi passi del mio cammino spirituale, lì ho trovato la mia prima vera àncora di salvezza, la prima luce tra le tenebre che mi avvolgevano ma col senno di poi penso che doveva andare così secondo il progetto che Dio aveva stabilito per la mia vita. Frequento il Rinnovamento nello Spirito, un movimento di preghiera di ispirazione cattolica che mi ricorda il modo di pregare degli evangelici, ho capito l’importanza della confessione per riconciliarsi con l’abbraccio del Padre e la bellezza dell’incontro con Gesù attraverso la santa messa e l’eucarestia. Ho un solo e unico rimpianto: quello di non aver incontrato prima Gesù, specie quando ero ancora adolescente, la mia vita sarebbe stata tutta diversa con la sua presenza in me. Per questo mi sento in dovere di dire ai giovani con tutto il mio cuore: cercate Cristo e dialogate con lui come con un amico sincero e non rimarrete delusi e con la stessa intensità di sentimento dico ai genitori: educate i vostri figli alla fede facendo da esempio perché Dio ve ne chiederà conto, spalancate le porte delle vostre case a Gesù e pregate ogni tanto riuniti in famiglia, preghiera che ha un valore immenso agli occhi di Dio. Auguro di cuore a tutti voi, specialmente a chi è lontano dalla fede, di cambiare la direzione della propria vita e di dirigere i propri passi verso Cristo, l’unico che può veramente cambiare il corso e lo scopo della nostra esistenza terrena, dando una gioia vera, profonda e duratura che non è di questo mondo, preludio dell’infinito amore che caratterizzerà la nostra vita immortale. Io sono convinto che l’unico vero dramma o lutto nel nostro più o meno breve transito su questa terra, sia l’assoluta mancanza di Dio nella nostra vita e sono certo che fin quando il Signore ci lascerà vivere quaggiù, fino all’ultimo soffio di vita, ci sarà sempre la possibilità di cercarlo e di rimediare alle nostre mancanze ma quando si chiuderanno definitivamente i nostri occhi terreni, non ci sarà più tempo per rimediare e per tornare indietro e sarà troppo tardi.

Dio mi benedica e benedica tutti coloro che leggeranno e faranno tesoro di questa mia testimonianza.

 

CLAUDIO CISCO

 

 

 


 

 

DOVE SENTO LA PRESENZA DELLA MADONNA: (ESPERIENZA DI VITA E DI FEDE)

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Vi è un posto specifico che io avverto di forte impatto emotivo, particolarmente suggestivo e ricco di carisma e misticismo insieme: uno spazio che oserei definirlo magico, di quella magia spirituale, sublime, soprannaturale che avvicina al cielo, fino a sentirsi parte integrante di esso. Questo piccolo lembo di terra così prezioso da sembrare una gemma di valore inestimabile caduta dal cielo o una scintilla d’amore piovuta sulla terra dall’infinita luce divina è proprio il luogo dove sento fortissima,

pur senza vederla fisicamente,la presenza di Maria.

Siamo nella città di Messina dove sono nato e vivo, nel santuario di Montalto, un luogo di culto ubicato in un posto davvero splendido, in virtù del fatto che offre dalla sua altura un panorama talmente affascinante da lasciare qualunque osservatore senza fiato e senza parole.

La chiesa della Madonna di Montalto, bella per scultura ed architettura all’interno ed all’esterno,

si apre infatti su un sacrato abbastanza grande, quasi una enorme veranda che forse sarebbe giusto chiamarla terrazza vista la sua notevole altezza. Da lassù si usufruisce di una vista privilegiata e staordinaria sullo Stretto di Messina col suo bellissimo mare, le sue navi che vanno e vengono, la terra di calabria di fronte, e la Madonnina del porto che benedice la città. Girando per questo grande sacrato si possono ammirare anche numerose fioriere, vasi e piante, delle panchine per sedersi e guardare lontano specie per i turisti che vengono in tanti ,poi ancora un binocolo per osservare da vicino il panorama e due statue: una tutta bianca raffigurante San Giuseppe,il santo della “buona morte”che io stesso spesso invoco per morire senza soffrire, magari in un attimo quando sarà,e l’altra in bronzo con l’immagine del papa Giovanni Paolo secondo appoggiato alla ringhiera che guarda lo Stretto. Quest’ultima, eretta in suo onore, in ricordo della sua visita effettuata in questo santuario nel giugno del 1988, nella quale lo stesso pontefice rimase molto colpito dalla bellezza del panorama.

Il santuario di Montalto fu fondato nel 1294 durante la guerra del Vespro per esplicita volontà della Madonna ch ne delineò il perimetro con il volo di una colomba e   fu costruito col concorso di tutta la città. Esso è un luogo particolarmente sacro in forza di specifica manifestazione di una potenza superiore che vi è riconosciuta e venerata. E’ un luogo di culto straordinario per designazione soprannaturale o perché vi si venerano immagini miracolose.

Lo spazio del santuario è ritenuto sacro ed è centro di speciale attrazione. Vi si va per unirsi più sensibilmente a Dio o alla Vergine, impetrarne grazie e favori, riconciliarsi. Il santuario parla allo spirito e al cuore dei credenti, in particolare quelli mariani dove si fa esperienza di madre.

L’icona dela Madonna di Montalto è rappresentata dall’immagine di Maria col bambino Gesù, in altri dipinti appare anche, secondo precisi riferimenti storici, con indosso una veste bianca (la dama bianca) con la mano destra alzata in segno di benedizione e la sinistra che tiene lo stemma della città di Messina, rosso con la croce gialla, in difesa dei messinesi contro i francesi.

Specificando come premessa il fatto che la presenza mariana si percepisce in tutto il santuario, a tal proposito volevo sottolineare come validi ed esperti esorcisti abbiano potuto verificare la forza del suddetto luogo nella lotta contro il demonio, volevo aggiungere inoltre che la Madonna stessa mi ha fatto comprendere quanto sia importante e   preminente recarsi all’interno della chiesa per celebrare messa e ricevere sacramenti prima di fermarsi nel luogo dove io l’avverto di più.

Il posto dove sento forte la presenza mariana fa parte ovviamente del santuario ma non è situato né all’interno della chiesa e nemmeno dentro il vasto perimetro che delimita il sacrato ma bensì al di fuori di esso, anche se molto vicino.

Vi sono infatti delle scalette abbastanza lunghe che scendono via via dal sacrato verso il basso che servono a collegare il santuario stesso con la strada sottostante; nella parte superiore delle scale, sul lato destro per chi scende, vi è uno spazio di verde a metà tra un giardino e una villetta notevolmente grande e ben curato, recentemente riaperto al pubblico e di proprietà del santuario medesimo.

Scendendo le scalette che iniziano proprio dal sacrato, dopo circa una cinquantina di metri, sulla sinistra in basso e quasi in un angolo, vi è una incavatura sul muro, direi una nicchia di una discreta grandezza con all’interno la statua della Madonna. La Vergine nella scultura, sempre illuminata da una lucettina, porta sul capo una corona di stelle, presenta le mani allargate, aperte verso il basso e tiene schiacciato sotto il piede un serpente. E’ l’immagine della Madonna della medaglia miracolosa apparsa in Francia nel 1830 a Santa Caterina Labourè. La statua è dentro una nicchia vetrata e il vetro stesso è protetto da una grata di ferro a forma di arco e chiusa a da un lucchetto.In alto, incise sul marmo posto nel muro sopra la nicchia, disposte anch’esse a forma di arco, si leggono le seguenti parole: “Venite figli sono io la Madre”. Sotto la nicchia vi si trova un marmo di considerevole spessore che funge da base, incisa sul quale spicca una grande M maiuscola, simbolo di Maria. Situata proprio a fianco, di fronte per chi guarda dal sacrato, vi è un’altra nicchia uguale a quella dove è posta la statua del Madonna, però vuota, come mancasse qualcosa.

Il posto appare veramente suggestivo, sembra proprio un luogo adatto ad apparizioni soprannaturali, vi sono molte fronde che dall’alto calano sulla nicchia creando ombra e molti insetti vi si vedono intorno. Sopra il marmo posto sotto la nicchia vi sono due vasi grandi ma con piante ormai appassite e pianticelle o fiori finti incastrati nella grata assieme a qualche immaginetta sacra. Vi si trova poi tutto ciò che porto io con amore, man mano, specie in ricorrenze e momenti particolari alla Madonna: rose di vari colore, cuoricini di diverse dimensioni alcuni con la scritta “Ti amo”, coroncine di rosario, angioletti. Alcuni di essi restono, altri vengono portati via da ignoti essendo un luogo all’aperto non controllato, altri vanno deteriorandosi col tempo. Sono tutti oggeti legati alle grate con lacci, spaghi o cordicelle improvvisate. Mi son chiesto spesso il motivo per il quale un luogo , almeno per me così importante e vitale tanto da esserci la Madonna, venga trascurato, a differenza del sacrato del santuario che appare sempre splendido e curato. Eppure ci vorrebbe solo un po’ di buona volontà affinchè qualche anima pia del luogo mettesse almeno un po’ d’aqua alle piante o togliesse tutta l’erba e le foglie che giacciono per terra nel più completo abbandono.

Se le persone che frequentano abitualmente il santuario e non solo esse ma anche visitatori occasionali o semplici cittadini di Messina mostrassero più interesse , se insomma sapessero e comprendessero l’importanza di quel luogo dove vi è posta quella Madonna, io credo che avrebbero verso di esso più cura e attenzione. Non si prega quasi mai infatti davanti a quella statua, mai un rosario recitato lì, eppure fa parte del santuario, è un luogo di passaggio specie per molti turisti stranieri e italiani che transitano proprio da lì . Messina è diventata infatti una città turistica grazie al suo porto, sbarcano enormi navi da crociera, continuamente ed anche due alla volta con tantissima gente a bordo, ma quasi nessuno di loro si ferma in quel luogo, continuano a salire le scale interessate esclusivamente a raggiungere il sacrato che sta più in alto e a fotografare e filmare il panorama che offre il santuario. Sì, forse la colpa è anche mia che non sono stato capace di divulgare quella enorme ricchezza spirituale che mi trasmette la Madonna da quel posto, ho tenuto troppo per me tutti i segni, i prodigi, le rivelazioni. Ho mantenuti segreti anche i miracoli, le guarigioni, non solo quelle fisiche ma soprattutto quelle del cuore, le guarigioni interiori che a Dio interessano di più, tutti compiuti per intercessione di Maria e nel nome di Gesù, nome al di sopra di ogn altro nome, che è lo stesso ieri, oggi e in eterno. Forse non ho compreso che persino io stesso potevo essere per gli altri una prova della sua esistenza. Penso ad esempio agli eventi che la Madonna mi ha rivelato proprio da lì prima che accadessero, tutte cose o situazioni che io sapevo in anticipo, ricordo per citarne solo alcuni quando Maria mi chiese di portare lì con me due coniugi Maurizo e Giovanna e di pregare per la loro figlia Stefania che aveva lasciato la loro casa prendendo brutte strade preannunciandomi che Lei l’avrebbe fatta ritornare, cosa che successe; ricordo ancora le lacrime di dolore della madre in pena per la figlia prima e poi quelle di gioia per averla riabbracciata dopo. La preghiera alla Madonna per la figlia fu fatta l’8 dicembre nel giorno dell’Immacolata Concezione, e furono proprio Maurizio e Giovanna, secondo la volontà di Maria, a deporre quel giorno ai piedi della statua la rosa che la Madonna desidera le venga portata da me ogni anno, è stata la prima volta che non sono stato io a farlo. Ricordo ancora con vivida emozione quando sempre Lei mi rivelò prima che accadesse la guarigione di Francesca, una ragazza con la benda su un occhio già compromesso che rischiava di perdere completamente la vista avendo ereditato dalla madre Caterina, diventata a sua volta non vedente, la stessa malattia. Si trattava di un male che colpiva gli occhi, incurabile per la medicina e che l’avrebbe portata progressivamente alla cecità come la madre. E poi mi torna in mente ancora il ricordo quella volta in cui Maria mi disse da quel posto che avrei vinto gli attacchi di panico che per un decennio mi impedivano di uscire da casa e che ci sarei riuscito senza cura farmacologica ma con l’aiuto del Padre Celeste, o quando mi spiegò che la mia detenzione carceraria durata quasi due anni doveva avvenire nella città di Enna, proprio in quella città dove io avevo ambientato il mio libro “Il vecchio e la ragazza”, libro ispirato e scritto sotto dettatura dal male, composto in un periodo buio della mia vita in cui ero schiavo del diavolo, libro che oggi, rileggendolo, capisco di non averlo scritto volontariamente, la mia ispirazione artistica infatti risultava condizionata ed inquinata. Ricordo, anche se è una situazione molto leggera, ma l’amore di Dio lo si può trovare sia nelle grandi cose come nelle piccole, quando Maria mi fece capire che Gesù mi avrebbe consentito come regalo la possibiltà di vedere dal vivo il mio cantante preferito Alan Sorrenti, un mio idolo che ha accompagnato i miei ricordi facendo da colonna sonora di tutta la mia vita sin da ragazzino poco più che adolescente, l’avrei visto finalmente dal vivo a Viagrande in provincia di Catania, non vi posso dire l’emozione e i segni piovuti dal cielo in quel gorno così speciale per me. Sono questi narrati, tutti avvenimenti che io ho saputo prima del tempo quando non potevo prevederlo.

Sono comunque tanti i segni che Maria mi ha dato da quel posto dove io continuo a recarmi spessissimo ,specie quando mi sento solo non avendo nessuno; ci vado per parlare, confidarmi ed essere ascoltato, per pregare, a volte recitando il rosario o dicendo la Coroncina alla Divina Misericordia. Sto con Lei come si fa con una madre dolcissima ed affettuosa che non si stanca mai di starmi vicino e di proteggermi contro le insidie del male. La vicinanza della Madonna come quella di Dio o il sostegno della fede non garantiscono una vita senza problemi, dolori o difficoltà, non ti evitano gli attacchi del diavolo che anzi risulteranno essere maggiori man mano che si cresce nella fede ma ti aiutano ad affrontarli meglio con più serenità e consapevolezza di potercela fare perché sorretti dall’aiuto di Dio che è sempre con te. Spesso si trova la chiave per risolverli in quanto guidati dallo Spirito Santo che apre la mente ed indica la strada rivelandosi è il più grande geniale maestro di tutti i tempi, donandoti una sapienza che non è di questo mondo ma che viene dall’alto. Non è per niente facile comunque parlare di ciò che mi accade riguardo la Madonna. Per me è destino dovermi tenere tutto dentro senza mai avere avuto la gioia di poterlo condividere con gli altri se non, come sto facendo ora, attaverso il talento che Dio mi ha donato sin da piccolo: la scrittura; non mi è stata mai data, infatti, la possibilità o l’opportunità di farlo. Per questo motivo ho lasciato la chiesa evangelica nella quale mi trovavo bene tutto sommato, mi piaceva il loro modo di pregare e di rapportarsi a Dio. Rientro in quella cattolica e mi rendo conto che il problema è sostanzialmente lo stesso anche se per motivi diversi, per prudenza o altro, non so. Si continua a considerare Maria come una creatura lontana ed inaccessibile, direi inavvicinabile, appartenente a chissà quale altro mondo lontano mille anni luce da noi terrestri, con la quale si può entrare a contatto solo dopo la morte . Ma non si comprende invece che non   c’è nulla di più normale che comunicare   con Lei anche senza avere il dono della veggenza ma semplicemente sentendone la presenza; siamo divisi solo dal corpo, lei vive in dimensione spirituale, noi in quella fisica ma siamo spiriti entrambi, fatti della stessa essenza e creati per lo stesso destino da un unico Padre, del resto anche lei era come noi quando era nella vita terrena.   Tutto sembra complicato, impossibile,   privilegio solo di pochi eletti. Ma io sono forse un eletto? Eppure la sento, basta aprire il cuore e gli occhi dello spirito. Esiste una sola verità affinchè ciò possa accadere come   continua a succedere a me: tornare puri come bambini e credere, e la madre di Gesù si farà trovare.

Ho lasciato con dispiacere il Rinnovamento nello Spirito sia perché, come nella chiesa protestante, non mi è stato permesso di testimoniare, paradossalmente non l’ho potuto fare nemmeno trovandomi in chiese cattoliche che portano nomi mariani. Quindi non appartengo più a nessun gruppo o comunità di preghiera, frequento la chiesa cattolica dello Spirito Santo, sono in mezzo alle suore e sto bene, prendo la comunione ogni domenica perchè ritengo assolutamente indispensabile e vitale nutrire lo spirito col sangue e corpo di Cristo. Poi, per il resto, vado dove mi porta il cuore, sono occasionalmente di tutte le parrocche e di nessuna, senza poter contare sull’aiuto spirituale di nessuno, eppure perfino i santi hanno avuto bisogno di un sacerdote che gli facesse da guida spirituale, ma io no, destino per me andare avanti da solo in ogni campo della vita, compreso quello della fede, totalmente da solo, affidandomi unicamente alle preghiere e al dialogo continuo con Dio, che non è poco. Ascoltando il cuore, seguendo La Parola di Dio ma evitando scontri verbali di interpretazioni nella lettura che hanno diviso la chiesa cristiana, io faccio una cosa importantissima e basilare: analizzare costantemente la mia condizione spirituale con molta attenzione, verificarla e rimetterla in discussione se è il caso quando   penso di sbagliare, restando sempre umile e ascoltando la voce del cuore, che quando riesce a rimanere puro ed incontaminato, non mente e non sbaglia mai. Fuggire il peccato e mettere Dio al primo posto e al di sopra di tutto nella propria vita , solo in questo modo si cresce nella fede, ed   io sono cresciuto davvero   tantissimo con ancora ampi margini di miglioramento se continuerò su questa strada. Con gli occhi limpidi, una freschezza interiore e la pace nel cuore ho imparato a guardare lontano, anche a ciò che esiste ma non si vede,   cogliendo i segni del cielo anche i più piccoli ed impercettibili, fidandomi incondizionatamente di Dio. Ed ogni volta che commetto anche il   più piccolo errore, corro subito a confessarmi per ritrovare tramite il sacerdote l’abbraccio misericordioso del Padre.

In conclusione, tornando a quel luogo dove sento la presenza di Maria, mi chiedo cosa sarebbe giusto fare. Confesso che istintivamente vorrei correre subito dal parroco della chiesa di Montalto per raccontargli ogni cosa con sincerità e aprendomi completamente, poi vorrei anche pregarlo di valorizzare quel posto così importante per la Madonna, per me e per tutti: ma mi ascolterà? Sarò creduto?

 

 

 

“Non pretendo di essere creduto

   ma semplicemente ascoltato”

                                     CLAUDIO CISCO

 

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                                                  LA MIA MISSIONE

 

 

Il Padre Celeste mi ha affidato una missione da compiere in questa vita terrena: pregare per gli altri con umiltà e fede, lasciandomi guidare dal cuore che è la sorgente dell’amore e della verità. Io la porterò a compimento, anche perchè ho sperimentato che è bellissimo e gratificante farlo come tutto ciò che realizzi per Dio e che c’è più gioia nel pregare per gli altri, prima che per se stessi. Sono certo che l’Eterno mi ricompenserà donandomi ciò che Gesù mi ha promesso e che aspetto da sempre: una compagna per amare ed essere amato, scelta da Cristo stesso per me e piovuta dal cielo. Negli occhi di lei, vedrò riflessi tutto l’amore e la tenerezza che Dio ha per me. Anche se un amore terreno, si rivelerà bello e importante ugualmente perché sarà una preziosa scintilla dell’infinita luce divina.

                       IN PUNTO DI MORTE

 

 

 

Separato dal mio corpo, come sospeso nell’aria, vigile e cosciente senza però poter comunicare con esseri umani, vedo dall’alto il mio involucro di carne, esanime, quasi abbandonato, circondato da medici, e mi fa quasi pena osservarlo: Come ho potuto sopportare di essere imprigionato dentro quel corpo debole come straccio, limitando tutta la mia immensa potenzialità spirituale? Eppure al tempo stesso comprendo, pur non avendo la benchè minima voglia di rientrare dentro quel guscio, che fin quando ero all’interno, esso aveva la stessa importanza d’un cofanetto, contenente una collana preziosa di inestimabile valore. La collana infatti, è importante quanto il cofanetto perché è contenuta dentro, e se si perde il cofanetto, si smarrisce anche la collana. Ma una volta che la si tira fuori, il suo contenitore non serve più. Così è il corpo umano

fin quando un essere creato da Dio vive in esso, è tempio dello Spirito Santo, prezioso quanto l’anima. La sensazione che avverto, riferendomi alla visione di quello che era il mio corpo fisico, è quella di essermi tolto di dosso un abito, un po’ come la tuta spaziale, che è fatta solo per permettere all’astronauta di vagare nello spazio, ma non è la sua vera pelle, solo un adattamento all’ambiente. E’ davvero piacevole e surreale quello che mi sta succedendo; la cosa più bella è che non avverto più dolori, sofferenze, esigenze fisiche e mi trovo in uno stato di profondo benessere, slegato da tutto ciò che è materia. Contemporaneamente rivedo come in dimensione tridimensionale, scorrere il film di tutta la mia vita, dalla nascita sino ad ora, ma con occhi di verità e giustizia, come se io fossi spettatore e giudice di me stesso, soffrendo per gli errori commessi e provando gioia per quanto fatto di buono. E’ sorprendente come tutto sia stato accuratamente registrato, anche la più impercettibile parola, ed io ora posso ascoltare ogni dialogo e ogni discorso come fossero amplificati. Posso rivedere tutto: situazioni, immagini, persone care. Da questa incredibile visione, mi rendo conto di essere da sempre seguito con minuziosa attenzione, e direi con amorevole cura; nella vita non si è mai soli, anche quando lo si crede, ed io ora lo so. Poi, d’improvviso, mi sento chiamare, ma solo col pensiero, senza udire una voce specifica; sono tranquillo, capisco di essere in buone mani, di potermi fidare. Vengo trasportato da una forza sconosciuta ed amica, lascio la camera dell’ospedale ed entro in un tunnel, che solo all’inizio mi procura una leggera paura, poi, intravedo l’uscita, ritorno sereno e curioso. Una volta fuori, vedo luce, luce, e ancora luce. Sento amore, amore, e ancora amore. Mi sento amato. Sono immerso in una condizione di pura libertà, avverto pace ed un senso di immortalità. Vi è una frase nel Vangelo, che io sento forte in me perché rispecchia perfettamente quello che provo. Sono le parole che Gesù disse sulla croce prima di morire: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!”. Ora io comprendo più che mai, che il mio spirito è nelle mani di Dio. Ma lo era anche quando vivevo nel corpo, sulla terra, solo che non ne intuivo la profondità e il vero significato. La vita, sia quella fisica, sia quella spirituale, è tutta un miracolo, se l’uomo potesse finalmente rendersene conto! I meravigliosi colori che vedo sono talmente belli che non si possono descrivere, ma sono colori diversi da quelli terrestri. Così come i suoni e i canti che odo. Vedo ma non con gli occhi, sento ma non con le orecchie, comunico con il Padre ma non con la voce: L’amore è troppo forte per poterlo quantificare, la libertà troppo sconfinata per poter scorgere orizzonti, tutto sa di eternità. E’ un luogo senza fine, sa di cielo.

So che saranno molti quelli che non mi crederanno, ma sono sereno ugualmente, so che ci arriveranno anche loro.

 

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                                              L’ULTIMA SPERANZA

 

Arrivare a 56 anni e rendersi conto, con una lacrima agli occhi, di non essere mai realmente cresciuto. E’ come se l’anima si rifiutasse di allinerasi con il lento declino del corpo. Sento lo spirito crescere impetuosamente fortificandosi progressivamente fino a sembrare scollegato dalla materia. Mi nasce dentro una serenità appagante che rimette in discussione il mio io spingendomi ad analizzare tutta quanta la mia vita, distesa su una prospettiva ad ampio raggio. E’ molto dolce guardare il mio passato con gli occhi nuovi di adesso. Uno sguardo che si connette prima con l’infanzia, con i suoi teneri giochi, le mitiche fiabe, la disarmante ingenuità. Poi si apre all’adolescenza con le sue infinite paure, l’eterno conflitto tra il desiderio di crescere ed evadere e la voglia di rimanere bambino. E con quella età lontana, mi sembra quasi di rivivere l’emozione per l’innocenza del mio primo bacio, le mattinate passate a scuola con i miei compagni, le uscite spensierate con gli amici, e con esse quella illusoria certezza di sentirmi eterno, di considerarmi eroe con un futuro davanti tutto da vivere. I miei pensieri ormai del tutto invasi di ricordi, improvvisamente focalizzano la mia attenzione sull’immagine della ragazza che è stata il mio primo vero amore, zoommando sui lineamenti bambineschi del suo viso: Quante promesse non mantenute! Quanti sogni e speranze naufragate! Dolci ricordi e tristi rimpianti si fondono insieme, in una danza simile più ad un rito di morte che ad una sinfonia di rimembranze. Questo suggestivo viaggio con la mente si sofferma adesso sulla figura di mia madre, ricordo sempre vivido; una donna attaccata morbosamente a me, ma d’un amore sincero, grande, direi esclusivo nei miei confronti. Un sentimento tanto forte da non averlo potuto avere da nessun’altra persona nel corso di tutta la mia vita. Anche mio padre si insinua nei miei pensieri, buffo e strano come non mai: quante cose avrei voluto chiedergli senza mai aver avuto il coraggio di farlo! E ancora ecco spuntare le mie due sorelle molto più grandi di me, forse avrei potuto aprirmi, dare loro di più. Con un sussulto inaspettato che scuote la mia anima, giungo col pensiero in quell’età importante dove si compiono le scelte che contano nella vita e che condizionano l’intera esistenza, mi riferisco alla famiglia da creare e al lavoro da svolgere. Proprio lì, in quel periodo fondamentale, io vedo tanto buio, buio fitto e nient’altro! Ansie, inibizioni, paure immotivate, errori continui, un’arresa senza reagire. Come vorrei in questo momento che una fantasiosa macchina del tempo mi rapisse e mi trasportasse con sé, proprio in quegli anni difficili della mia vita, così sofferti! Sicuramente sarei in grado di rimediare, guidato dalla maturità spirituale del mio presente. Ma non c’è mai il tempo di trovare il tempo per fermare il tempo! Ma forse tutto è destino, era scritto che dovevo comportarmi esattamente in quel modo perché la sofferenza genera sensibilità, e la sensibilità produce arte. Penso che non sarei mai diventato scrittore o poeta senza mai aver sperimentato inquietudine e tormento. Forse essere rimasto completamente solo era previsto come se io stesso fossi un predestinato. Riprendono ancora i miei pensieri a volare sulle ali della creatività che è in me e comprendo   di non aver mai trovato una mia collocazione in questa vita, forse perché vivo da sempre sospeso tra cielo e terra, anzi molto più proiettato nell’altra vita che in quella terrena. E’ mancata anche, quella donna che da sempre avrei voluto con me, verso la quale indirizzare tutta la ricchezza di sentimenti, chiusa a chiave nello scrigno del mio cuore, e sentire poi la sua anima respirare unita alla mia. Non ho mai sperimentato la grande gioia di veder nascere una piccola creatura, dono di Dio e più bel regalo che la vita possa offrire, e poi vederla crescere man mano e sentirmi chiamare papà. Ed ora, dopo che questo tempo è trascorso velocissimo piombandomi addosso come un ciclone, senza che io stesso me ne rendessi conto, senza nemmeno avermi dato il tempo di riflettere e di piangere, io sono qui davanti ad uno specchio, al quale non posso più fingere. Cristallizzato nei pensieri, in quest’età più vicina al crepuscolo dell’esistenza che all’alba di nuove prospettive, affido alla fede nel mio Signore l’ultima speranza che, con la Sua presenza, non è più convivenza col malessere di notti insonni senza risposte, ma apertura verso nuovi orizzonti, certi di eternità.

 

 

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                 LA VITA E L’AMORE

 

La vita umana, perennemente sospesa tra mistero e fede, sempre in bilico ed appesa ad un filo, non è altro che una corsa inconsapevole verso la morte, lungo un affascinante e doloroso percorso di crescita, scandito da vivide emozioni e nebulose paure. La zingara fortuna ne condizionerà la sorte.

L’amore, come infinite doglie che sperano in un parto, altro non è che la continua ricerca di noi stessi nell’altro sesso, adolescente desiderio d’una attesa senza fine che non troverà mai appagamento e realizzazione. L’uomo come la donna, nasce,cresce e muore solo.

 

 

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     DI NOTTE, IN UN CIMITERO DESERTO, MI      

     PARLA UNO GNOMO…

 

“Ascolta…solitario mortale fantasma, appaio solo ogni mille anni per volere del nulla, venendo da notti antiche. Prediligo i silenzi di luoghi insoliti e le solitudini di anime sconosciute a sè stesse. Ora anche tu sai che mille anni sono come un batter di ciglia e in questa fugace notte tu sei per non essere mai più.”

 

 

 

 

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                                                             LA MIA TOMBA

 

Oggi sono felice: si è avverato un sogno! Mi sono fatto una tomba tutta mia, col mio nome e cognome, la mia data di nascita, tranne quella di morte, ovviamente. C’è la mia foto scelta da me stesso, di quand’ero ragazzo. Ho inserito una mia frase molto significativa e ho scritto che sono scrittore e poeta. Ho messo inoltre tante statuine di angioletti, oltre ad una di Gesù risorto e della Madonna. Così lascio qualcosa di me ai posteri, oltre ai miei libri. Vado spessissimo a visitarla e porto solo fiori finti, immaginando con curiosità cosa potrà provare quel passante occasionale che transiterà da lì, più avanti nel tempo quando io avrò lasciato questa terra. Questo mio sogno un po’ strano ha le sue origini nella mia adolescenza, quando, attratto dai cimiteri e da tutto ciò che è sepolcrale, andavo a trovare la tomba di Marietta. Ma ora che ho fede, ho chiesto perdono a Dio e a lei stessa per averla sentita così forte, come fosse parte di me, fino a dedicarle un libro e 3 poesie. Ho promesso ad entrambi di non recarmi mai più sulla lapide di Marietta e di pregare ogni tanto per la sua anima. Ormai esiste solo la mia tomba!

 

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           LA LEGGE DEL SERPENTE

 

“Amatevi, gente del mondo intero, amatevi sempre ed in qualunque modo; l’amore, qualsiasi forma assuma, è sempre benedetto ed è sinonimo di felicità. Non bisogna mai aver paura di amare ma di odiare. Credete nell’amore universale, quello vero, incondizionato che non ha sesso né differenze d’età. E’ questa la vera libertà da difendere a tutti i costi e non esiste cosa più bella al mondo di sentirsi veramente liberi di amare chiunque: maschi con maschi, donne con donne, vecchi con giovani, ciascuno libero di tirare fuori la propria sessualità con le sue forme, inclinazioni e gusti. Un rapporto affettivo anche al di fuori del matrimonio che in fondo è solo un contratto che non può legare o sostituire un sogno. Non esiste ciò che chiamano <<perversione sessuale>>, è un inganno inventato dai falsi moralisti e soprattutto dalla chiesa che giudica senza conoscere l’amore fisico, un artificio creato per anestetizzare le coscienze e neutralizzate l’istinto sessuale che invece è un meraviglioso dono che la natura ha regalato agli uomini, non solo per procreare: un piacere naturale che annulla il dolore e attenua lo stress psicofisico. L’unica devianza sessuale semmai è la castità, non vi è infatti nessun motivo per praticarla restando puri, lasciamola ai preti e alla suore, contenti loro!

In fondo se due esseri umani si amano o fanno sesso consapevolmente e volontariamente, che male fanno? Dov’è il peccato? Che bigottismo parlare di fornicazione, sostenere con presunzione di verità e senza alcuna prova o fondamento che l’arte erotica è demoniaca, procurando così assurdi sensi di colpa, tabù, complessi, frustrazioni e a volte persino impotenza o frigidità. Perché tornare indietro al Medioevo, alla caccia alle streghe, a bruciare nel rogo o a lapidare, secondo antiche tradizioni contenute in delle scritture definite sacre dagli uomini, scritte da loro stessi ed attribuite a Dio? Gli esseri umani per trovare uno scopo alla propria esistenza e per vincere ancestrali paure hanno creato Dio e non viceversa. Evviva quindi i matrimoni gay e le unioni civili, simboli di emancipazione e di civiltà, del resto si può essere credenti e praticare l’omosessualità, le due cose non sono incompatibili, l’amore non può essere colpevolizzato perché è “amore”, la parola più importante che esista. Se un uomo sente di sposare un altro uomo ed è felice così, perché non concretizzare questo desiderio? Lo Stato dovrebbe mantenersi laico rispettando anche chi eventualmente non crede e si professa ateo, non si può imporre a nessuno di avere fede seguendo le regole della chiesa. E poi ognuno è diverso da un altro, è unico, con i suoi propri gusti. La diversità è un valore da tutelare e difendere, è una vera ricchezza perché rende la vita più varia e colorata, meno scontata e massificante. La nostra esistenza è così breve, la morte arriverà prima di quanto ci si aspetti, annientando definitivamente tutto. Allora perché non vivere intensamente anche la propria sessualita?”

 

Così ragiona e parla il diavolo, il più grande, intelligente, furbo, abile mistificatore, menzognero di tutti i tempi. E’ proprio lui il più grande credente perché sa bene dell’esistenza di Dio e conosce a memoria le Sacre Scritture manipolandole nelle menti degli uomini secondo il proprio interesse, usando come pretesto una falsa libertà capace di renderci inconsapevolmente gli ultimi degli schiavi. Una libertà lontanissima mille anni luce dalla libertà autentica che porta pace nel cuore. Quella libertà pura perchè preziosa che ci fa sentire figli di Dio, creati per amare ed essere amati ma d’un amore vero che viene dal Padre e che è dono di sé. Ma soprattutto un modo di essere liberi che scaturisce dall’osservanza della Sua Parola e che risulta conforme alla Sua volontà.

 

 

 

ELEMENTARE SAGGIO SULLE DEVIANZE  SESSUALI

 

Premetto di non essere un sessuologo né uno psicanalista, non sono neanche laureato, quindi, non avrei nessun titolo o qualifica per potermi esprimere. Non mi ritengo neppure un saggista per crearmi eventualmente un alibi. Ciò non mi impedisce però, di scrivere con sincerità e nella massima umiltà, il mio pensiero. Lungi da me l’idea di voler imporre verità o dogmi, o di ergermi a giudice. Sono piuttosto spinto, come sempre del resto, dalla mia creatività irrefrenabile, che ormai reclama spazi in qualunque direzione o competenza. Non ho pretese di nessun tipo, tento solo di tirare fuori la mia idea in merito, ciascuno è libero di condividerla o meno. Il tema che sto per trattare è delicato, è riguarda nello specifico le inclinazioni sessuali, fuori dalla norma. Non mi riferisco alle “perversioni sessuali” (sadismo, masochismo, feticismo, scambismo ecc…); suddette patologie richiederebbero infatti un’attenzione particolare vista la loro stretta correlazione con i demoni d’impurità. Ma piuttosto prendo in considerazione quelle inclinazioni sessuali assai diffuse e che coinvolgono parecchi soggetti (omosessuali, pedofili, gerontofili). Io ne parlo per esperienza e per conoscenza diretta, e non, lo sottolineo ancora, per preparazione scientifica. Comincio col dirvi che la radice, almeno all’inizio, non è diabolica, cioè i demoni d’impurità non sono la causa che spinge l’uomo verso l’uomo, la donna verso la donna, il giovane verso il vecchio, l’adulto sull’adolescente o il bambino. Ma allora perché esistono questi gusti particolari? Cercherò di spiegarlo in maniera semplice, direi elementare. L’uomo è stato creato da Dio a sua immagine e somiglianza e il suo spirito ha in sé l’essenza dell’immortalità. Ma, per adattarsi a questa valle di lacrime che è la terra, è costretto a chiudere la sua spiritualità dentro un involucro di carne che è la materia. Quindi la fisicità corporea è soggetta ad imperfezioni e difetti. Dio ha creato il corpo umano con minuziosa attenzione, ogni organo ha la sua specifica funzione, una vera opera d’arte. Ma la natura umana, in quanto fragile, può sin dalla nascita essere guastata. Così c’è chi nasce con un lieve difetto, chi con un altro più accentuato, chi, per fortuna, nasce sano, ed è la maggioranza. Non voglio essere frainteso. Sgombro subito il campo dall’idea che chi ha orientamenti sessuali non conformi alla norma, sia secondo me, malato o patologico. Non si tratta di una malattia fisica, il soggetto deviato è sano come tutti. Il problema è genetico, nasce con la venuta al mondo, cioè omosessuali, pedofili, gerontofili si nasce e non ci si diventa e, al 99 per cento dei casi, ci si rimani fino alla morte. Ma cercherò di essere più chiaro, permettetemi però di farvi un esempio tanto banale, quanto efficace. Immaginate una autovettura che esce dalla fabbrica con i fari obliqui, orientati in maniera direi schizofrenica, in varie direzioni. La macchina è perfettamene funzionante, basta girare la chiave e si mette in moto. Solo che il guidatore, senza avere colpa, vedrà illuminate determinate visuali, mentre le altre rimarranno buie. Questa situazione è la stessa che accade a chi ha una devianza sessuale. La sfera relativa all’istinto sessuale del soggetto, che fisicamente è perfettamente sano come la macchina, è orientata esclusivamente verso persone dello stesso sesso o di età differente a secondo dell’inclinazione. Cioè nella mente del soggetto deviato, il gusto sessuale va esclusivamente verso l’oggetto desiderato, escludendo qualunque altro, proprio come il faro che illumina una zona e lascia buia un’altra. La cosa grave consiste nel fatto che l’intensità sessuale del deviato non è simile a quella che scatta tra uomo e donna, ma molto più forte, a volte perfino incontrollabile. Ora, se il corpo umano fosse una macchina, basterebbe andare dall’elettrauto per risolvere il problema. Purtroppo non è così per l’essere umano che è molto più complsso. E’ chiaro che i soggetti che nascono così, saranno i primi ad essere attaccati dai demoni d’impurità che, svolgendo il loro compito specifico, li spingono a non credere in Dio, ad allontanarsi dalla chiesa, ad accettarsi per come sono quasi con orgoglio, a non seguire la Parola di Dio che santifica solo l’amore tra uomo e donna, coronandolo con la procreazione. Senza l’aiuto di Dio e senza la presenza dello Spirito Santo, per i demoni sarà vittoria. Io lo so che dal punto di vista legale non si possono mettere sullo stesso piano omosessualità e pedofilia ma la radice è uguale, cambia solo la direzione del faro, per tornare alla macchina. Il soggetto deviato è talmente affascinato dall’oggetto desiderato, da giustificarne perfino di esserne innamorato, considerandolo normale, perché qualunque cosa piaccia assai, uno se ne innamora. Questa è la folle logica di chi reputa normale ciò che non lo è né per Dio né per la natura. Del resto basta guardare l’anatomia dell’uomo e della donna per comprendere che sono stati creati per stare insieme. Auguro di cuore a tutti questi soggetti di pregare moltissimo e di mettere le proprie vite nelle mani di Dio che li ama tantissimo e sa bene i loro problemi. Sarà Lui a guidare la vostra vita anche se non avverrà il miracolo.

 

 

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                           ALTI E BASSI

 

 

Nella pace di questa sera attendo la tempesta.

 

 

 

 

 

 

                                           UNO STRANO INCONTRO

 

Mi successe quando ero ancora ragazzo. Mi trovavo sul treno che mi portava a Trento in visita da mia sorella. Per vincere la monotonia del viaggio, leggevo un libro di mie poesie quasi in atmosfera con quello scorrere sulle rotaie. Di colpo, senza chiedere permesso, entrò lei, 16 anni a prima vista, trascurata e con l’aria assente. I suoi lunghi capelli neri e sporchi, il trucco sfatto che le colava sul viso, i lineamenti straordinariamente delicati. Era bella quella ragazza, il ritratto d’un angelo col volto della sofferenza, il male nascosto in lei, non appariva in grado di deturpare quell’adolescenziale fascino innato che possedeva. Ma aveva la paura dentro quegli occhi ancora di bambina, come fosse vittima di qualcuno o qualcosa a cui non poteva o sapeva ribellarsi.

Mi prende di scatto il libro dalle mani, mi si siede accanto, lo sfoglia. La vedevo leggere attentamente:

“E’ bella questa poesia” mi dice di colpo “anzi bellissima, come la mia vita quando era tutto un bel sogno e molto di più”. In quell’istante, avrei voluto passarle la mano in mezzo ai capelli, accarezzarle il viso, stringerla forte a me per proteggerla, ma non dissi e feci nulla. Era assorta nella lettura di quei versi, non alzava minimamente lo sguardo, era bellissima, molto di più della poesia che leggeva. Arrivammo in fretta senza che me ne accorgessi ad una stazione, la ragazza si svegliò d’improvviso da quell’incantesimo e sempre col libro tenuto strettamente nella mano:

“Me lo regali, posso tenerlo con me?” mi chiese.

“E’ tuo, puoi prenderlo” fu l’unica cosa che seppi risponderle. La vidi sorridere per la prima volta, mi commossi, riuscii a stento a non piangere. Quel sorriso come un fiore germogliato inaspettatamente dalla terra arida, era spuntato per magia come un ruscelletto di gioia dal suo dolore. Mi disse infine: “Grazie” e se ne andò via di corsa. Dal finestrino, mentre il treno lentamente ripartiva, la vidi prendere del denaro da un tizio poco raccomandabile, poi sparì man mano che m’allontanavo sulle rotaie. Chi era quella ragazza? Il mio libro le è servito a qualcosa? Perchè il destino me l’ha fatta incontrare per un attimo? Tutte domande senza risposte. Da quel giorno e dopo quell’incontro, io non ho più avuto pace, per molto tempo ho pensato a lei, l’ho incitata nei miei pensieri ad avere cura di se’ stessa, ho pregato Dio notte e giorno per lei. Non so dove, non so come, non so quando ma sono sicuro che la rivedrò, sì, io la rivedrò.

Lei mi ha insegnato se non altro, a non consumarmi nella mia tristezza perchè al mondo c’è anche chi sta peggio di me, che forse, non sono poi così sfortunato.

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                                          IO E LA MORTE

E’ un paese morto. Strade malinconicamente deserte, aria pesante, spaventosamente tetra. Furtive ombre si sparpagliano e si riuniscono subito dopo, quasi per sentirsi meno sole. Silenzio assoluto interrotto soltanto da voli di pipistrelli, da rintocchi lugubri di campane. Porte chiuse, finestre sbarrate, occhi atterriti ed impotenti che, dagli usci delle case, spiano lei, signora e sovrana, padrona di tutti noi. Lungo mantello nero, teschio in faccia, bastone per reggersi, curva lei cammina zoppicando e lentamente, sola ed indisturbata. Nessun muro potrà fermare la sua falce. Ha in mano un taccuino verde speranza dove vi sono annotati i nomi e le ore di coloro i quali deve ancora chiamare ed uno nero morte con i nomi di chi ha già rapito con sè. Bambini, continuate il vostro girotondo e ridete di lei che vi sembra così buffa e troppo lontana. Ragazzi innamorati, stringetevi forte l’uno all’altra, tra sogni e amore, lei non si commuoverà e verrà a prendervi lo stesso.

Uomini e donne, accumulate glorie e tesori, lei non si farà comprare e alla sua venuta tutto dovrete lasciare. Vecchi, raccomandate le vostre anime a Dio, lei non avrà paura e sarà molto più vicina di quanto possiate pensare. Gente chiusa nelle vostre case, cos’è questo silenzio? Musica! e ridete forte, e scherzate forte, continuate il vostro ballo in maschera, recitate la commedia della vita, ma sul più bello tu sentirai bussare alla tua porta. Inutile ogni tentativo di fuga o di gridare aiuto, interromperai la danza, toglierai la maschera, abbandonerai la tua dama e le tue damigelle e andrai nostalgicamente deluso con lei, più non tornerai; un istante di silenzio in casa tua insufficiente anche per piangere e poi, immediatamente, lei rialzerà il sipario e riaccenderà le luci e la musica e la danza, imperterrite, ricominceranno senza più una maschera: la tua. Sì, lei porterà anche te in quel malinconico recinto di foglie morte ed alberi spogli e stecchiti

e il tuo corpo straccio, sdraiato si confonderà tra quelli che lì ci son già da tempo. Io, di colpo, evito le braccia di chi vuol fermarmi e scappo giù in strada da solo e le corro dietro: “Perchè?” le grido con disperazione, “perche devo morire? Che male ho fatto per non poter vivere per sempre? Dimmi che ho un’anima, un respiro che vivrà in eterno. Dimmi che il mio sangue non è il liquido d’un automa, che il mio cuore non è un motore, i miei nervi non sono fili sottili uniti tra di loro fatalmente,la mia mente non è un computer. Vedi io ti parlo, ti sento, sono felice, sono triste, ho paura, so scrivere una poesia. Ti prego signora sovrana, tu che sei l’unica che puoi, risparmiami, non farmi morire. Io amo un fiore, una coccinella, un bimbo, amo la vita”. Lei si ferma e mi guarda in faccia. E’ strano ma di colpo non ho più paura. E’ così naturale osservarla in volto, come se si trattasse di un incontro indispensabile, sembra quasi una figura viva, e pensare che la immaginavo diversa e cattiva. Lei mi risponde: “Va’ via ragazzo, tua madre t’aspetta a casa, e ricorda sempre, tu potrai anche essere come me per un solo istante morendo, ma io non potrò mai essere come te quando risusciterai in eterno“. Poi mi volta le spalle e girando l’angolo scompare. Io rimango confuso, triste e felice nello stesso istante e piangendo divertito, correndo, torno a casa.

  

                                       (Racconto tratto dal libro ANIMA SEPOLTA)

“ANIMA SEPOLTA”

Un’espressione poetica d’avanguardia, alternativa, dove fobie ossessive e fantasmi interiori, esternandosi, si tramutano con sepolcralità in energie negative lugubri e macabre, segni indelebili d’una morte interiore eternamente rassegnata nel misterioso mondo della follia e dell’inconscio. È la fine vitale d’un’anima sepolta. L’autore sente dentro di essere ormai un’ombra che ha paura perfino di rivedere la luce e come unico rimedio, non ha altra speranza che la morte.

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                                   PROSTITUTA SCONOSCIUTA

Ti vedo tutte le sere al solito posto sopra gli sterili binari d’un tram. Se hai freddo strofini le mani per scaldarti, se non passano macchine continui a guardarti intorno. Gli stivali neri di cuoio sempre gli stessi, la borsetta a volte rossa altre nera, la minigonna, il solito trucco vistoso: questa sera però mi sembri più bella! sexy più che mai. Chissà se sei sola nella vita

o se qualcuno ti ama! Chissà perchè lo fai! Forse avrai un romanzo dentro da raccontare, testimonianza di un’esistenza non bella come avrebbe dovuto essere. Vorrei poterti aiutare, amarti, stare un pò con te! per la prima volta ti vedo con occhi diversi, non mi interessa affatto il sesso. Non ho mai avuto il coraggio di avvicinarmi a te, mi blocco ogni volta che provo, mi sembri quasi irraggiungibile ma poi per dirti cosa? In fondo ho paura di fare tutto. Ti scongiuro, fuggi con me prostituta sconosciuta! Ricominciamo insieme una nuova vita, non consumarti più così! ti stai buttando via da sola! continui a farti del male. Ti desiderano tutti ma quando torni a casa, non ti rimane niente. Ma ora basta: devi cambiare la tua vita, è tempo di riscossa.

Non riesco nemmeno a terminare questi pensieri che ti vedo salire già su una macchina sportiva. Addio mia prostituta sconosciuta! sicuramente domani verrò ancora a vederti e a tenerti compagnia in segreto e a distanza, forse mi sono innamorato di te o forse abbiamo qualcosa in comune che ci unisce: siamo entrambi soli, che il Signore ci aiuti!

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                             IL VUOTO DI UN PAGLIACCIO

Ti aspettiamo e ora che entri in scena, indossa la tua maschera, con quel grosso sorriso stampato sul viso ed il trucco che ormai fa parte di te. Nella voce e nei gesti, un po’ mimo e un po’ attore, sai far tacere il tuo cuore, t’illudi di tornare bambino, dimentichi in quegl’istanti la tua tristezza. Cadi, rialzati, ubriacati, balla, grida, scherza e noi saremo lì, a guardarti, a ridere, ad applaudirti: sei un attore e come tale devi essere trattato. Nessuno di noi in platea si domanderà chi sei, proprio nessuno si preoccuperà delle tue sofferenze, per noi sei solo un pagliaccio, una maschera e nulla più! Ci interessi per come appari, non per quello che sei. Quando le luci del palco si spegneranno, tu ti troverai solo con te stesso, come sempre del resto. E l’immagine tua vera riflessa, non potrà più far ridere. Non sarai in grado di mentire, e quel grosso sorriso si trasformerà in lacrima, una lacrima amara che scenderà sul tuo viso fino a scioglierne il trucco. Ti auguro, caro pagliaccio, che la tua vita sia come la scena, felice e divertente, e che tolta quella maschera, non ci sia più il vuoto.

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                                                  MARIONETTE

Cantavo il mio romantico sogno nella notte davanti al palcoscenico buio di un teatro dove piccole marionette allibite mi guardavano. Tutto intorno il vuoto più assoluto, non percepivo umana presenza all’infuori di quei ridicoli pupazzi colorati: “Solo noi possiamo comprenderti, sappiamo ascoltarti, abbandona gli umani e salta qui sul palco da noi” mi dissero in coro. Così feci e diventai burattino tra i burattini, rinunciai alla solitudine d’essere uomo, scelsi i colori, il teatro, le marionette, diventai uno di loro. Su quel palcoscenico recuperai la mia vera dimensione, mi ritrovai folle e disperato ma libero e felice.

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                                             I BURATTINI UMANI

Sono vivo o sono morto da secoli? Sono libero o qualcuno mi guida? La via che seguo l’ho scelta io o è stata già scritta? Questa mia storia buffa morirà con me o si perderà nell’enciclopedia del tempo? Mi hai acceso la corrente ed il mio sangue ha cominciato a scorrere. Mi hai caricato l’orologio e la mia pressione segna 80, 90,100. Mi hai dato la corda ed il pupazzo si sta muovendo ma la chiave che mi dice chi sono perché non me l’hai data mai? Ti faccio ridere lo so ma io non so chi sono. Allo specchio vedo la mia maschera. Mi guardo intorno ed ecco tanti burattini come me: chi è bello, chi è corto, chi ha gli occhi verdi, chi sta morendo e chi sta per nascere ma tutti con lo stesso sconosciuto destino. Mio Dio, quanto sono stupidi i burattini umani! hanno un’anima ma non lo sanno. Sono monotoni, tutti cronometrati: 99 centesimi di secondo ad un secondo e corrono in ufficio. Si sposano per avere figli che a loro volta faranno altri figli: che noia! che sciocchi mortali! che guadagno hanno a non lasciar estinguere la razza umana? Tutti si chiedono di capire ma nessuno di loro ha mai capito un bel niente. Tutti pronti ad insegnare ma insegnare cosa se neanche loro non sanno nulla? Ognuno dice la sua, ognuno crede che abbia ragione lui. E’ un teatro folle e buffo pieno di burattini colorati, un enorme carrozzone di maschere e coriandoli e anch’io, senza sapere come, mi ritrovo in mezzo senza averlo minimamente voluto. Se guardi attentamente fra tutti questi pupazzi che si muovono puoi vedere anche me: Vedi sono quello laggiù vestito d’Arlecchino con i capelli lunghi e che sta sempre da solo, anch’io come gli altri sto recitando la commedia della vita nel carnevale dell’incomprensibile esistenza umana. Ti prego riconoscimi se puoi, distinguimi da tutti questi burattini, dai un senso alla mia vita perché io non mi sento uno di loro, perché io non sono fatto di bottoni e tasti e non voglio fili che mi muovono. Vedi io piango e rido, so dare amore, sento di essere immortale e originale. Sin da piccolo mi hanno programmato come un computer contro la mia volontà. Mi hanno costretto a recitare in un palcoscenico che io ho sempre odiato e che non mi appartiene. Mi hanno fischiato e applaudito mentre in realtà io piangevo perduto tra tutti questi burattini in cerca d’allegria che compravano e vendevano questa pelle mia. Mi hanno dato un nome che non è quello mio. Mi hanno voluto per come io non sono: io angelo travestito da manichino. Ti prego portami via e salvami, dimmi chi sono, io non mi conosco. Per questo ora dico basta! non voglio più obbedire a regole e dogmi o a una falsa morale come gli altri burattini. Preferisco sentirmi libero all’inferno che schiavo in paradiso, padrone di niente, servo di nessuno. Meglio essere un uomo vero, solo ed incompreso che uno dei tanti burattini umani.

                          

                       (Racconto tratto dal libro APOCALISSE MENTALE)

 

“APOCALISSE MENTALE”

Monologo in prosa surrealista, cerebrale e filosofica. L’autore medita sul senso della propria esistenza e sul destino universale di tutti gli esseri viventi. Si rivolge alla natura affinché possa svelargli il mistero che circonda tutte le cose ma l’interrogazione risulterà dolorosamente vana, non rivelerà nessuna verità e porterà la sua mente sino al delirio. La natura continuerà ad apparirgli bella e spietata, fino al punto di trasformare in poesia e vita, proprio come la bellezza d’un tramonto, persino il doloroso momento d’un addio o della morte stessa. La vita vana e fugace, è allettante e ingannevole come il canto delle sirene, l’autore ne è consapevole ma, proprio per questo, sente di amarla ancora di più e di non potersi più staccare da essa.

Seguendo la strada della follia, si lascerà annientare in tutto il suo essere e in questa sua apocalisse, troverà conforto in un poetico abbandono.

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                               Fantasmi nella notte

Ascolta…. ragazza sperduta in quest’infinito.

E’ notte, ogni cosa intorno è spenta e tace. Nel silenzio, dolcissimo, altre sensazioni di un mondo totalmente sconosciuto ma intrinseco con i nostri giovani spiriti, vivono con suoni e colori in dimensioni parallele e niente è ciò che sembra. Attimo fugace, come un fiore che sbocciando muore, in questa notte t’amo per non amarti più.

Noi due siamo come fantasmi nella notte, anime vaganti in cerca d’amore, muovendoci insieme, in trasparenza, candidamente invisibili, ci avviciniamo piano per non aver paura nell’oscurità.

Noi due fantasmi nella notte, solitari astri dispersi nel grande firmamento lassù, senza tempo e senza storia, rapiti dall’oblio, misteriosamente avvolti dalle tenebre, angeli di questa giovinezza. Magicamente lontani dal flusso impetuoso della multanime esistenza, noi due non avvertiamo più il battito sconfinato dell’infinito come orrenda solitudine e mistero interminabile. La realtà ci appare come un susseguirsi di fantasmi vuoti e meccanici ed ogni residuo di tristezza si smarrisce del tutto o vibra remoto in un placamento soave.

Ragazza sconosciuta! sei bella tra le ombre, sei più bianca della luna, il tuo viso brilla come una candela..

Lascia questa mia mano che hai stretto così fugacemente questa notte.

Alle prime luci dell’alba le nostre strade si divideranno per non ritrovarsi mai più.

Abbiamo acceso un fuoco in noi che il vento della vita che fugge spegnerà presto. Non dimenticarmi ovunque sarai, io non ti dimenticherò ovunque sarò anche se resteremo per sempre fantasmi nella notte.

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                         STORIA D’UN VECCHIO EREMITA

Vivo quassù tra le montagne, rifugiandomi nel mio nido silenzioso, in un lungo e solitario esilio. Ho abbandonato il mondo con il suo grigiore per osservare felice i colori dell’arcobaleno ed ogni volta scoppio a piangere di gioia mentre la mia anima si purifica nella luce del sole.

Non ho incubi che mi svegliano di soprassalto, non vedo più quei mille volti della gente pronti a sommergermi, è lo sguardo magico della natura che m’incanta e mi protegge nel buio come una madre schiude le ali sul suo piccolo.

La scala dei miei giorni, di gradino in gradino, sta salendo sin lassù, per questo veglio paziente ogni alba che nasce, così giorno dopo giorno m’avvicino al cielo e non ho paura di volare via nell’ora del tramonto, so che rinascerò in primavera per non essere mai più solo.

La morte mi aprirà le porte alla vita eterna e gli occhi della natura, che sono stati la luce della mia terrena esistenza, diverranno gli occhi di Dio lassù. Attendo la pace della sera per addormentarmi in un lungo sonno, stelle d’argento e cori di uccelli, porteranno lontano oltre le montagne l’eco della mia solitudine ed i miei sogni fragili saranno foglie verdi d’un albero solitario che la collera del vento non potrà mai spazzare.

Un freddo e misterioso inverno, busserai alla mia porta frustata solo dal vento, e addentrandoti nel mio nido, troverai quel panno che mi asciugava il sudore, il bastone che aggrappava la mia fatica, una candela che non si consuma. E quando sarai al sicuro, rivivrai i ricordi di quello che sono stato, ammirerai la statua di quello che sono adesso.

In un angolo buio, impolverato da tele, scoprirai il mio diario segreto, frammenti d’una vita mai vissuta, povera fuori, ricca dentro: Non bruciarlo ma fanne tesoro. E’ la memoria che infrange i secoli e vince il silenzio dell’universo, il buio della morte.

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APRITI CON ME

Non puoi fuggire da te stessa, non devi nasconderti anche da me. Ormai io ti conosco sai, è come se leggessi dentro i tuoi pensieri. Nei tuoi occhi da troppo tempo spenti ma bellissimi e di straordinario colore, vedo riflessa chiaramente come per magia la tua anima. Il tuo sguardo avvilente, etereo, quasi lunare smaschera questo tuo essere creatura persa, come chi è presente solamente col corpo ed è lontana mille anni luce con la mente Ma io provo ad immaginare il fascino di quel tuo viso che sarebbe capace di ipnotizzare chiunque se solo potesse ritrovare la bellezza e la spensieratezza del suo sorriso. Ti prego: apriti con me! Non chiuderti tenendoti tutto dentro, forse non trovi le parole, non sai da dove cominciare. Parlami del malessere che ti opprime e dal quale credi di non poterti liberare. Ci sono segreti, esistono paure in te, lo sento. La tua vita è un mare in tempesta ed il tuo futuro lo vedi annebbiato, hai già pianto parecchio fino a prosciugare ogni lacrima ma dall’amarezza e lo sconforto di questo tuo dolore, ne uscirai fuori e per sempre, se lo vorrai veramente. La mente mia ora precipita in fondo alla tua, e in simbiosi con i tuoi stessi tormenti scopre un’ombra, intravede una solitudine profondissima, si perde nel labirinto del tuo mistero lasciandosi del tutto rapire dalla angoscia che ti possiede. Come fari abbaglianti nel buio, i tuoi pensieri negativi sparano su me ma non mi uccidono, mi danno più forza. Ti scongiuro: apriti con me! Io ti ascolterò con attenzione e pazienza senza giudicarti affatto ma cercando di comprenderti, calandomi al tuo posto. Ora dimmi perchè ti consumi così, cosa c’è che mi nascondi, c’è un pericolo che incombe o un demone alle tue spalle. Dimmi tutto ciò che vuoi, qualsiasi cosa o confidenza, fammi partecipe di ogni tua sensazione, io sono pronto a seguirti con cura, ovunque ed a qualunque costo, finchè mi permetterai di farlo, amica mia! Non odiarti in questo modo ma rendi il bene per il male, prova finalmente ad amarti un pò, scaccia via dalla tua vita la tristezza, i fantasmi della notte, distruggi definitivamente la disperazione. Sento che un sogno, una speranza sopravvivono ancora sepolti dentro il tuo io, ti chiedono luce, entusiasmo, poesia, invocano tenerezza. Ti supplicano soltanto di non arrenderti al male ma di lottare, di non perdere la fiducia in te stessa, sanno che se vuoi ce la fai, puoi riscattarti aprendo gli occhi che tieni bendati. Insegui quel sogno e quella speranza, fallo con volontà e coraggio, credendoci fino in fondo, ti accorgerai che sono più vicini e raggiungibili di quanto tu possa pensare. Fai piovere amore su di te, apri la porta del cuore, quanto c’è di puro, di meraviglioso tu l’avrai. Coltiva e lascia germogliare quegli amori trascurati ed abbandonati in fondo al tuo cuore, sai bene che ci sono ancora, ti stupirai piangendo di gioia nell’osservarli fiorire nella tua   giovane vita. Credimi, ti prego ascolta queste mie parole: apriti con me! Io sono qui con te per aiutarti. Non c’è sbaglio o colpa alla quale non si possa rimediare, non esiste sconfitta in grado di annullarti e non è mai troppo tardi per riemergere. Adesso sei solo caduta ma ti giuro e sono certo che presto ti rialzerai e rinascerai con più forza e più amore di prima. Credici, credici, credici!

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                                                 “RIFLESSIONI”

A dispetto del tempo che inesorabile scivola sui miei anni, son rimasto quel bambino sperduto di ieri con lo stesso terrore di crescere, solo ed incompreso tra mille paure. Ho ancora voglia di sognare, illudermi, fantasticare. Vorrei rifugiarmi in un mondo solo mio, ricco di colori e d’ingenuità, dove poter finalmente tornare bambino senza crescere più, allontanando le terribili ombre della solitudine, della vecchiaia, della morte stessa, ma è un mondo fragile spezzato crudelmente dalla nuda realtà. Così, ogni volta che provo a volare in alto, una forza sconosciuta ed impietosa, mi taglia le ali ed io precipito giù più triste che mai, come un gabbiano che non vola più, mentre le mie lacrime, quelle stesse che percorrevan lente il mio viso pulito di bambino, continuano a non sapere quel che loro stesse vogliono e a non trovare quel fazzoletto che le possa asciugare per sempre. In esse, vedo riflessi i miei sogni, li vedo morire uno dopo l’altro sciogliendosi come gocce di pioggia disposte in fila, sospese alla ringhiera.

Continuo ad osservare con occhi limpidi e stranieri, l’immenso mare della vita ma è sempre inutile sforzarsi nel tentativo d’immergersi. Vedo lontano quel veliero che da piccolo chiamavo col nome di speranza e che non è partito mai. Eppure m’accorgo che dentro e fuori di me, v’è ancora tutto da scoprire e da imparare. Sento in me una grande energia vitale, creativa ed artistica. C’è in me una sensibilità profondissima, spaventosamente grande a confronto del mio fragilissimo essere che più s’ingrandisce e più resta isolata, soffocata dentro come un vulcano che dorme. Vorrebbe esplodere e sommergermi come un fiume in piena ma non può farlo, come una bottiglia smossa dalla quale non è possibile togliere il tappo. Forse sono troppo diverso da tutti perché possa essere capito, o forse è solo colpa mia se non riesco a esternare quello che ho dentro. Comincio a credere di essere un folle, quasi un alieno, così almeno mi creo un alibi per giustificare questo mio giovane vivere, terribilmente e prematuramente invecchiato.

Ho un disperato bisogno di vita, di giovinezza, di entusiasmo, d’amore. Con chi potrò aprirmi manifestando come sono dentro? Chi potrà veramente capirmi? Vorrei trovarti e finalmente gridarti con tutto il fiato che ho: “Ispirami, sconvolgimi, amami”. E intanto cresce il terrore d’invecchiare e il desiderio di morire ancor prima di vedere il mio corpo mortificarsi con le prime rughe. Non potrei mai sopportare il tremendo contrasto tra l’immortalità del mio spirito che, nonostante tutto sembra che esista, e la debolezza del mio corpo in declino. Sono sicuro che dentro, resterò sempre un bambino mai cresciuto anche se avrò i capelli bianchi e conserverò intatta nelle pupille degli occhi, la stessa luce ch’emanavo da piccolo. Amo troppo la giovinezza e non posso fare a meno di sognare per potermene fare una ragione sulla vecchiaia che è uno stato del tutto naturale e, di conseguenza, accettarla con rassegnazione o addirittura giustificarla. Per me la vecchiaia resta il più grave e doloroso castigo che la natura scagli contro gli uomini. È più malvagia e terrificante persino della morte. Eppure devo ammettere che la mia solitudine e la mia tristezza, sono nate con me, le ho conosciute da giovane, almeno in questo, la vecchiaia non c’entra. Estraniato da sempre dalla vita, non avendo niente ed essendo di nessuno, ho scoperto man mano me stesso. La mia solitudine è simile ad un messaggio chiuso in una bottiglia e gettato in mare. Forse un giorno, quando non ci sarò più, leggendo queste mie accorate riflessioni, mi capirai e, scoprendo che valevo qualcosa, piangerai per me.

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                                               “SOLO NEL BUIO”

È notte fonda ed io sono ancora sveglio con lo sguardo assente nella mia camera silenziosa, unica mia compagna, testimone di tanta solitudine. Senza chiudere occhio, penso a tutto e a niente. I vecchi soliti dubbi mi si accavallano in mente: come posso dormirci sopra? Sì, lo so! Fermarsi qui a pensare non si può, farla finita neanche. È solo mia la tristezza, la fine. Non ho più la forza di lottare ormai. Un altro inverno è in me, non devo crollare proprio adesso buttandomi via, devo trovare il coraggio di andare avanti da solo: Dove siete amici miei che avevo? Anche tu mi hai detto infine addio voltandomi le spalle, non sono più niente per nessuno ormai. Mi guardo intorno e vedo solo il vuoto. Grida la voce del mio cuore, spenta dal dolore che nessuno ascolta più. Vorrei non essere mai nato, chiudere gli occhi e scomparire in un attimo. Non so che sarà di me, sono confuso, disorientato, mentre gli anni passano veloci. Fuori è buio ed io tremo, comincio ad aver paura. Mi rigiro nel letto, grido nel sonno, ho incubi, sto male, piango e non ce la faccio più. Ho vissuto una vita che non è mai stata vita.

Dove fuggire un’altra volta? Come placare questa mia ansia fortissima? Ormai le ho già provate tutte, ogni tipo d’evasione, non è servito a niente! Ora mi ritrovo solo, nel buio, con i fantasmi della notte che m’inseguono molto più di prima. Sono nato solo. E solo morirò.

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                                     “LA MIA ESISTENZA SOLITARIA”

La mia vita è una strana vita, solitaria, incomprensibile, senza senso. Continue rievocazioni della mia adolescenza, sogni irrealizzabili, emozioni intensissime, una impressionante anche per me creatività che mi spinge a scrivere sempre, e poi amori platonici ed immaginari verso ragazze giovanissime, forse per illudermi pateticamente di ringiovanire. Chimere di eternità le mie, che non hanno nessun riscontro pratico destinate a morire e a dissolversi nel nulla. Su tutto questo sfacelo regna sovrana la signora Solitudine, è sempre e solo lei a starmi accanto fedele, fino ad incitarmi a dialogare con me stesso, parlando naturalmente e tranquillamente da solo, io con me stesso e nessun altro, in fondo sto bene col mio io e mi amo, forse questo è anche un bene che mi permette di tirare avanti senza deprimermi. Non ho una compagna che mi ami e mi dia calore dormendo al mio fianco, non ho figli da educare e crescere, né soldi per campare, niente lavoro per realizzarmi e rendermi utile, nemmeno amici per scambiare quattro chiacchiere, niente di tutto questo: sono il chiaro esempio di come non si dovrebbe mai vivere. Sono anche ossessionato dal continuo timore d’invecchiare e di morire o di essere preda di malattie corporali e questa specie di nevrosi mi perseguita da sempre, giorno per giorno, ora per ora, attimo per attimo. Temo la vecchiaia e la morte perché paradossalmente amo fortemente la vita anche se nella maggior parte dei miei scritti, trasmetto tristezza. Possiedo però una grande virtù che non tutti hanno la fortuna di avere: sono tremendamente sincero nell’arte come nella vita. Le ragioni di questo mio non fare, sono da ricercarsi nel fatto che mi son convinto ormai da tempo che non vale la pena impegnarsi nella vita pratica di tutti i giorni perché la morte arriverà prima o poi per tutti e saremo costretti ad abbandonare ogni cosa di questa terra quindi non ha senso impegnarsi in nulla di materiale, e mi ritorna in mente a tal proposito la famosa frase “gli ultimi saranno i primi” ed io mi sento orientato proprio verso gli ultimi della scala sociale, mai verso coloro che osservano dall’alto. Lo so, davanti ai tuoi occhi, caro lettore che mi leggi in questo momento, sembrerò pazzo, tanto da aver bisogno di mille psicologi ma ti prego rifletti per un attimo prima di giudicarmi e almeno sforzati di comprendermi. Durante questa mia assurda e solitaria esistenza non ho costruito proprio nulla di pratico e nulla ho intenzione di creare per il mio futuro. Preferisco rimanere immerso fino al collo in questo personalissimo mare di inguaribile monotonia e piattezza con una sola ma importante novità: sto cercando Dio con tutto me stesso, forse per riempire quell’enorme vuoto che ho dentro, chiedendo a Lui e solo a Lui tutto quell’amore che ho sempre cercato e non ho mai avuto. Non so spiegare nemmeno a me stesso il perché debba vivere così, forse è stata una mia libera scelta in sintonia con la mia anima inquieta e tormentata, o forse i continui e micidiali attacchi d’ansia sempre presenti sin da piccolo in me, hanno inevitabilmente condizionato tutta la mia esistenza, rendendomi totalmente schiavo di paure ed inibizioni. Ma non ho alibi adesso e non cerco giustificazioni di nessun tipo, sono così e basta e forse, paradossalmente e consapevole di una lucida follia, sono anche felice e orgoglioso di esserlo. Io sono questo, sono fatto così ormai e non mi piango addosso ma, al contrario, mi accetto e mi amo per quello che sono. Ho però dentro di me quell’inquietudine, quell’eterna immotivata per certi versi insoddisfazione che sarebbe giusto chiamare angoscia, che mi rende scrittore, artista, creativo e senza la quale non potrei mai esserlo.
Non so se sono davvero un poeta nonostante abbia scritto un’infinità di versi ma non m’importa affatto di saperlo, lo sento dentro di me e non devo dimostrare a nessuno di esserlo. L’unica cosa che so di certo è che scrivere mi fa sentire veramente bene, mi trasporta in alto, liberandomi dall’ansia e dalla materialità di questo mondo. È difficile spiegare, anche per me che mi reputo uno scrittore, quello che provo nell’intimo tutte le volte che ho una penna in mano: è una sensazione di forza, potenza, libertà, eternità mischiate tutte insieme e mi lascio trascinare via dalle parole che scrivo e che mi sommergono come un fiume in piena, incontrollabile, inarrestabile che vuole straripare. Credo che solo quando scrivo riesco ad essere veramente realizzato: sono me stesso, libero! L’arte eleva l’uomo rendendolo immortale. Quando creo una storia arrivo a sentirmi addirittura Dio nel far vivere e morire a mio piacimento i personaggi che invento.


in foto Claudio Cisco da bambino cdxxx

 

 

Apr 20, 2018 - Senza categoria    Commenti disabilitati su IL SILENZIO NEL SILENZIO (Claudio Cisco)

IL SILENZIO NEL SILENZIO (Claudio Cisco)

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IL SILENZIO NEL SILENZIO

 

Erba appena bagnata sulla livida terra,

 

odore di pioggia da poco caduta

 

trasporta nell’aria bollicine di sogni

 

in questo autunno che scorre lento…

 

Silenti alberi ammutoliti e spogliati

 

attendono stanchi giovani foglie,

 

con la nuova stagione arriveranno

 

in questo autunno che respira lento…

 

Un colore giallognolo suggestivo e irreale

 

avvolge ogni cosa di magico incanto,

 

sfumature di anime invocano il sole

 

in questo autunno che sbadiglia lento…

 

Piante e animali stanno dormendo,

 

la natura è un fantasma che si aggira ramingo,

 

persino le pietre chiudono gli occhi arrossati

 

in questo autunno che dorme lento…

 

Non si avvertono rumori, non si odono lamenti

 

non c’è più linfa, è sottratta ogni energia

 

domina il nulla immobile e statico

 

in questo autunno che tace lento…

 

Una coltre di nebbia come una nuvola

 

disegna il paesaggio di malinconica assenza,

 

una sottile tristezza scende sul cuore

 

in questo autunno che muore lento…

 

E in questo bosco solitario e sperduto

 

dove anche il vento non ha la forza di soffiare,

 

io perdo me stesso ed i miei pensieri

 

e nel silenzio io rimango in silenzio.uid_11a4d48b269.250.0

 

 

NARRAMI L’ADDIO

 

Dimmi del tuo verbo,

 

preziosa fioritura

 

d’un ramo di ciliegio,

 

slegando il tuo pensiero

 

nel soffio del maestrale.

 

Parlami dell’onde,

 

in gioielli di turchese,

 

che il mare partorì

 

nel ventre dell’aurora.

 

Suonami il canto

 

che desta il fiume di memorie,

 

aprendo tra le rocce

 

profonde feritoie.

 

Dell’erbe, poi, donami il profumo

 

che al mondo porta il suo risveglio,

 

dopo fiocchi candidi di dolci nevicate

 

narrami l’addio del freddo sonno.

 

 

 

FOGLIE D’AUTUNNO SUL CUORE

 

Non cede il passo alla morte

 

questo silenzio di riflessi tenui

 

nel meriggio,

 

un dolce intreccio di piccole luci

 

che divorano, tremule, ombre ovattate.

 

Forse solo l’impercettibile suono

 

d’un brusio lontano

 

che giunge sfidando pensieri assopiti,

 

carezze morbide, candide piume che vengon giù

 

come foglie d’autunno sul cuore.

 

 

 

 

GIRASOLI

 

Sfidavano austeri

 

azzurri afosi,

 

lo sguardo profuso d’incanti

 

nei tramonti sterminati di terra,

 

l’onda gialla di petali solari

 

come una mano dalle lunghe dita.

 

Era una culla ad arte plasmata

 

dalla grande anima del vento,

 

e quei giorni irradiati di speranze,

 

nel calore biancastro dei desideri,

 

offuscavano sovente i sensi

 

abbandonando l’anima

 

ai passi selvatici del vivere.

 

 

 

 

CHIOME DI MANDORLI IN FIORE

 

Così modellata in ambrato miele

 

venne al mondo la resina bluastra del mattino,

 

protesa al chiarore di poche nubi sfumate

 

tra chiome di mandorli in fiore.

 

Primavera! dissero, ma era solo

 

la magia d’un antico risveglio,

 

l’intarsio indolente di colline smeraldo,

 

l’eco stordito dei passeri in volo.

 

E nel lampo dei primi bagliori,

 

dipinta in turchese fu l’onda del mare

 

nel ricamo perenne di schiume d’avorio.

 

 

 

 

NEL BAGLIORE D’UN TRAMONTO

 

Qui ti vedo,

 

struggente nube del mio cielo,

 

nel riflesso di ricordi sulla pianura quieta,

 

nella foschia che avvolge

 

le colline addormentate di crepuscolo,

 

nel silenzio che sospinge

 

la mente oltre l’orizzonte:

 

io ti vedo.

 

Ancora non mia.

 

Ancora uccello in volo,

 

vento che passa e non resta.

 

Sfuggente nube del mio cielo silenziosa e inerte

 

nel bagliore d’un tramonto,

 

che muore.

 

 

 

PROFUMO D’AUTUNNO

 

Calici rubini,

 

foglie arse

 

nel morire dei passi in fondo al viale.

 

Oltre cristalli di liquida pioggia

 

speranze esili come fuscelli spogli,

 

le dolci parole di stelle in delirio

 

per il nuovo addio alla calda stagione.

 

Carezze rideste di foschi cieli

 

languore di nubi nel profumo d’autunno

 

e le candide nebbie

 

che avvolgono il ventre in orme dolenti.

 

Solo ieri eravamo erba di primavera

 

oggi soffio di gelido vento.

 

 

FUSI NEL VERDE

 

Spiano, tra le fronde,

 

pallidi volti senz’arti,

 

così stupiti di vedere,

 

fusi nel verde come riflessi

 

d’uno stesso smeraldo.

 

Due cuori poi vennero,

 

mano nella mano,

 

dal ventre d’ogni pianta,

 

come respiro di vita

 

linfa dell’essere.

 

E non fu solo amore

 

il passo del cammino,

 

ma molte altre storie

 

ancora da narrare.

 

 

PASSI DI LUCE

 

Passi di luce,

 

in contrasto di cielo,

 

deformano il tratto

 

lievemente ambrato

 

della carezza erbosa

 

tra capelli leggeri.

 

Alcova di fiabesche creature

 

forse elfi assorti

 

in dolci preghiere

 

o sogni di nubi

 

che spalancano piano

 

sguardi radiosi

 

sul nostro piccolo mondo.

 

 

 

IN RELIGIOSO DELIRIO

 

Mi porterai farfalle

 

sul palmo della mano,

 

come petali d’arcobaleno sconnessi.

 

Le maschere del cuore,

 

in religioso delirio,

 

resteranno mute ad osservare

 

valanghe di colori travolgere il mondo.

 

 

 

 

RIVE LONTANE

 

Rive lontane

 

che placide attendete approdi

 

di cuori smarriti,

 

nella carezza di nebbie

 

osservo il vostro sorriso languido

 

sfiorato da voli eterei.

 

Tremulo il volto del giorno

 

m’appare incerto nella meta

 

da questo vascello corroso

 

che custodisce l’anima.

 

Voce di quiete regna su queste terre,

 

al di là dei mondi conosciuti,

 

qui solo gli Erranti possono arrivare

 

per abbandonarsi ad indicibili sogni

 

nella placida culla d’acqua sciabordanti.

 

Ma, ahimé, pochi giungono alle rive lontane,

 

a sfiorare giunchiglie flessuose di vento,

 

poiché i loro cuori, bramosi e impuri,

 

rimangono impigliati nel velo di foschie.

 

Il canto dell’oblio, poi,

 

giunge inaspettato come soffio di gelo

 

a costruire monumenti di cenere.

 

Dimore di freddo marmo

 

assiepate tra i boschi silenti

 

popolano le solitudini umane,

 

meschine creature,

 

presuntuose e corrotte anime

 

che sgretolano il loro essere

 

al tocco del sole ardente.

 

Rive lontane, aspettatemi!

 

con fragili ali d’umanità

 

anch’io, vi sto raggiungendo.

 

 

 

CANCELLI

 

Varchi di nebbie dense

 

come cancelli aperti

 

sui giardini dell’inverno,

 

accarezzano marmoree figure, antiche armature

 

che sembrano prendere forma e riacquistare vita

 

lungo sentieri traslucidi d’ombre.

 

Tra il soffuso crepitio dei passi,

 

soffici foglie danzano la fine

 

nel profondo silenzio del nulla

 

come un leggero vapore che scema la terra.

 

Fra le dita del crepuscolo

 

aprirò i miei cancelli.

 

O cielo, fa’ che questa notte mi sia sorella

 

affinché possa spargere i miei bagliori

 

e fonderli in stelle!

 

 

 

COME UN CORVO

 

Una goccia di sangue rubino,

 

rosso che stinge nel blu,

 

s’oscura eclissando i pensieri

 

negli antri bui d’un qualche incubo recondito.

 

È forse il presagio che incombe sull’anima

 

come una mano che dipinge ghiacci,

 

è l’odore acro d’ataviche tempeste

 

che implacabile spazza aridi steli.

 

È il sapore di lacrime mischiato ad uva acerba

 

nel vortice d’un grido che frantuma il silenzio

 

come un corvo che plana rapace

 

sui rami avvizziti d’un gelido inverno.

 

 

 

 

AMBROSIA

 

Nettare divino,

 

capriccio di un dio pagano,

 

inzuppami di cieli d’anima ed inebriami

 

in questa notte in cui le stelle

 

suonano violini di luce.

 

Geme un angelo ai piedi di un muro infinito,

 

i suoi occhi hanno veli di colori,

 

cerco nelle sabbie e nei venti

 

qualcosa che assomigli a verità,

 

ma solo stracci di bugie nascono da albe stanche.

 

Ere infinite sono trascorse in queste terre,

 

tombe e muschi han ricoperto i prati,

 

i fiori della notte sono sbocciati con petali d’incanto

 

liberando lussuriosi profumi.

 

Nettare che disseti,

 

versa la tua essenza su questi mondi di uomini dormienti,

 

destali da sonni eterni che accarezzano destini,

 

lascia che la luce trafigga gli astri, che volino colombe,

 

che remino barche verso la riva,

 

non lasciarci in balia del buio, in città martoriate,

 

a levare il canto d’una preghiera muta.

 

Io cerco il tuo aroma nel calice di fiori di rugiada,

 

spargo nenie al vento che mi travolge.

 

Sulla strada del fiume vidi una donna …

 

i suoi occhi si posarono su me,

 

aveva un mantello di dolcezze e il volto dell’amore.

 

Ombra della mia ombra divenne il mio passo,

 

sangue del mio sangue la sua vita terrena,

 

ma ci divorò una bestia atroce.

 

Ora sono tornato al calice dell’anima

 

a bere questo nettare di illusione.

 

Lasciami ai miei sogni, donami follia,

 

canto con l’arpa in mano gesta di tempi che furono,

 

sull’orlo della notte inseguo favole impazzite.

 

 

 

 

ALI DI CERA

 

Carezze di crepuscolo

 

pervase di zagara

 

nel gioco di tenui riflessi

 

han spiegato ali di cera,

 

bianchissime e candide

 

lingue di pace

 

al galoppo del vento.

 

Forse eterei angeli

 

venuti dal nulla

 

prodighi di sogni

 

ed ingenue purezze.

 

Forse demoni arresi

 

alla bellezza del cielo

 

stanchi d’eresie infernali

 

o semplici ricami di luce

 

intarsiati d’ombre incombenti.

 

 

 

 

SUSSURRI MILLENARI

 

Segni di civiltà lontane

 

perse nella notte dei tempi,

 

la terra riporta alla luce

 

vite disperse nel cosmo.

 

Le pietre mute testimoni,

 

raccontano storie

 

a chi ha orecchie magiche

 

per ascoltare il suono del vento,

 

di mille foglie che sussurrano instancabili

 

la vita.

 

 

 

 

CHIAROSCURO

 

Entra una luce obliqua,

 

di sole dimenticato,

 

dalla finestra del tempo

 

a schiarire la scabra stanza.

 

Ombre in controluce

 

mi vengono incontro lievi,

 

come foglie di un autunno senza fine,

 

volteggiano nell’anima.

 

Presto il tuo volto

 

delinea contorni in chiaroscuro,

 

un canto… un sussulto…

 

colma siderali silenzi.

 

– Ti prego ombra, danza con me! –

 

Vestimi d’innocenza bambina,

 

quegli echi di risa perdute

 

risuonano ancora

 

come carillons fatati.

 

Sono petali di dolcezza

 

che piovono su noi,

 

visioni mai osate,

 

sogni d’immensità,

 

delitti di desideri abbandonati.

 

E al fine, quando tutto cessa

 

e il sogno si dilegua lesto

 

nella notte silenziosa,

 

resta sulla mia retina, impresso,

 

un chiaroscuro dal tratto incerto,

 

come se quella mano che disegnò

 

non avesse fatto in tempo

 

a trattenere l’attimo di luce.

 

 

 

L’AMORE

 

L’amore…

 

triste fantasma dei miei ieri

 

sparge ancora a tratti

 

leggeri petali sul cuore.

 

Come angelo ferito,

 

che perde le sue piume in nevicate di dolore,

 

ricopre i desideri di velati risvegli,

 

dolce il suo tocco ferisce a sangue l’anima

 

travolgendo i sogni in impossibili minuetti.

 

Arpeggi dolcissimi di malinconie

 

inghirlandano giorni d’autunno sfumati,

 

somigliano a rose dischiuse sul sentiero di lievi respiri.

 

L’amore…

 

rondine smarrita senza primavere,

 

archi che disegnano ombre al tramonto,

 

oceano ed onde

 

castelli di smeraldo,

 

draghi sconfitti da lance avvelenate… l’amore.

 

Eppure, m’è parso, stamane

 

nel riverbero d’un’alba rassegnata,

 

sentirlo alitare ancora in liquidi ardori

 

sciogliendo le sue chiome di fuoco ai miei passi.

 

 

 

ACACIE STRIDENTI

 

Nell’aria a frusciare

 

ibridi sonagli dai vaghi colori,

 

protendono il verso, leggiadro,

 

al sentore del vento,

 

nel fertile giugno delle chimere.

 

Sono acacie stridenti di pudiche foglie

 

che sfiorano magiche il velo del cuore.

 

 

 

 

LA TRISTEZZA DEL REGNO DI AWEL

 

Del breve passo d’un istante

 

si nutrono le gioie terrene,

 

lampi fugaci, temporali evanescenti

 

la luce cangiante nel ventre della foresta

 

cela eterni misteri,

 

solo i liquidi occhi di una pioggia di novembre

 

possono sfiorare ingenui

 

le foglie smeraldine del Regno di Awel.

 

Il re senza corona,

 

che regge lo scettro degli Aracnidi,

 

non sa che la sua regina è scivolata in una brezza d’oblio

 

e canta sospirando l’antica nenia del ritorno.

 

Ma la gioia

 

è cosa assai più rapida d’un batter di ciglio,

 

mai più i passi di colei che intrecciava margherite

 

accarezzeranno il mattino con petali candidi,

 

nelle nuvole è rimasto il suo alone,

 

nel vento, il profumo triste del perduto amore.

 

 

 

GL’INQUIETI FOLLETTI DEL CUORE

 

Nella penombra avvolgente

 

d’un pomeriggio d’estate,

 

un’esplosione di luce colpisce

 

i muri bianchi dell’anima

 

corrodendo ogni pietra

 

sulla strada polverosa di caligine.

 

Fasci di luce, che sembrano lame,

 

entrano nelle stanze sonnolente

 

ferendo le persiane accostate

 

nell’attesa di baci di luna.

 

E nel pulviscolo indecente,

 

che il sole svela denudando, danzano ora

 

gl’inquieti folletti del cuore.

 

 

 

 

INCANTESIMI

 

Ho udito voci stregate sulle soglie del buio

 

bisbigliare incessanti nenie ancestrali.

 

Invadono sentieri scoscesi,

 

riflessi d’indaco sfumato,

 

tra le foreste e i campi,

 

baciando lapidi addormentate d’eterno.

 

Nell’abside della luna, poche stelle,

 

ergono cattedrali di smeraldo

 

sulle rovine del giorno sconfitto,

 

mentre una pioggia di piume d’angeli feriti

 

trafigge l’oscurità di candida dolcezza.

 

Fili d’erba a frusciare come arpe celtiche,

 

arcaici suoni di mondi dimenticati,

 

risvegliano indicibili malinconie

 

nella danza del vento.

 

Sortilegi di streghe nelle caverne del desiderio

 

stringono in un abbraccio d’edera

 

le nostre passioni,

 

avvinghiate in un sudario febbrile.

 

I nostri corpi trasformano ombre

 

in coreografie di luminosi draghi.

 

Rose carminie sbocciano ad ogni nostro respiro,

 

elfici sussurri fremono tra le umide foglie dell’anima,

 

freschi effluvi d’incensi muschiati si fondono

 

in litanie di gufi nebbiosi

 

e la tua mano scivola lieve tra le guglie del cuore

 

come fumoso spettro etereo, imprendibile,

 

che accarezzando sepolcri e rovine, subissando anatemi

 

spezza segreti incantesimi e sigilli arcani.

 

 

 

 

FOSCHI RESPIRI

 

Animami!

 

come nella notte di plenilunio,

 

cadavere obliquo sui miei fianchi di cera.

 

Straziami!

 

lungo la pelle di graffi indossati

 

con stellati artigli di liquide ombre.

 

Accecami!

 

con occhi stregati intrisi di perle e pugnali,

 

suadente pressione di foschi respiri.

 

Stregami!

 

con dense parole rubate alle tenebre

 

intarsi netti del cuore profondo.

 

Uccidimi!

 

nell’eco rimbombante d’illusioni tragiche,

 

il mio lento veleno

 

talamo e sudario del tuo ventre oscuro.

 

Ora sono pronto

 

a far l’amore con la morte.

 

 

 

 

 

LONTANE ORME

 

E scenderò

 

lungo le sponde acquatiche dell’origine,

 

figlio di soli raggianti,

 

nella fertile terra madre d’ogni vita.

 

E lo farò con quelle mani tese

 

nel gesto di avere briciole di tempo,

 

in un sinuoso cammino d’albe antiche,

 

lontane orme tra il Tigri e l’Eufrate.

 

 

 

MIA OMBRA

 

Il pianto ha stuprato la città

 

e tu vaghi indistinta con la mia anima,

 

ombra, ti aspettavo, come sempre,

 

per inseguire la tua lunga scia oscura,

 

riverbero di nero, lacrima e lamento,

 

perduto sogno sepolto negli abissi dell’infinito.

 

Ho camminato per lunghe ere

 

con la tua presenza al mio fianco,

 

compagna di ore fameliche a divorare il nulla

 

e adesso che il gelido vento,

 

tristemente, scuote alberi e cuori,

 

scorgo un bagliore incombente rischiarare il cielo,

 

un’alba vicina che riscopre gli orrori del mondo,

 

delicatezze violate,

 

tenui respiri nel silenzio,

 

ho ancora desiderio di te, mia ombra!

 

 

 

 

CANDELABRI DI FOLLIA

 

Quella notte il vento trascinò i respiri

 

fino alle mura d’un’abbazia solenne

 

ombre nella danza d’un crepuscolo di ghiaccio,

 

occhi smarriti fra lagune silenti

 

e l’anima tace come lapide in oblio,

 

nel sussurro senza tempo

 

che trafigge rosoni sventrati

 

un mistico canto di rovi,

 

tremula luce di candelabri di follia.

 

 

 

SULLA SCIA DELL’AURORA

 

Rosa purpurea, gelido fiore

 

petalo di cristallo, profumo di cera.

 

Gocce di linfa tra le mani impotenti

 

carezze sopite nell’attesa d’un bacio

 

che schiuda corolle e riverberi antichi.

 

È danza di luci, sculture d’ombre,

 

occhi che seducono

 

nella seta di notti struggenti.

 

Presenze indefinite,

 

creature d’altri mondi,

 

giungono stupite nel cuore

 

tra fumo e vapore,

 

tra sogni e speranze.

 

Gemme di fuoco attraversano il silenzio

 

regalando una pioggia di miele e d’ambra,

 

geme l’anima nel risveglio inatteso

 

scivolando lenta sulla scia dell’aurora.

 

 

 

ATLANTIDE NEL CIELO

 

Ma chi ti sommerse negli oceani

 

se tu risplendi tra le nubi dei giorni

 

coi leggiadri giardini sospesi nel vento?

 

Genitrice di splendide passioni,

 

perla pagana tra spezie stregate

 

oro che riluce nell’oscurità del tempo,

 

mito nel mito, leggenda errante,

 

scomodo sogno di chi ti volle continente perduto.

 

 

 

OMBRA DELLA VITA

 

Silenzio,

 

spazio circonciso,

 

elastico fluttuare,

 

un nulla dei sensi,

 

un vuoto sadico,

 

un respiro lento di notti insonni

 

e giorni come vele perdute,

 

in un mare stanco, ferito, livido,

 

mi sorprendo ancora ombra della vita.

 

 

 

 

QUANDO TU DORMI

 

Quando tu dormi sdraiata al mio fianco, amor mio,

 

sei il sogno che aleggia,

 

il vapore sulfureo d’un mondo ignoto,

 

tu sei scrigno di magie e misteri.

 

Ed io che, come poeta, sbircio nel tuo respiro

 

rubando il tesoro silenzioso di quel dolce sonno.

 

 

 

FIGLIA DEL VENTO

 

Lei è nata sulle rive del Sindh

 

aveva lunghi capelli neri,

 

sua madre la lavò nel fiume

 

suo padre le cantò una canzone tribale.

 

È nata mentre arrivava l’inverno

 

le capanne erano fredde,

 

crescendo ha teso la mano, la sua voce voleva parlare

 

ma la gente volgeva lo sguardo altrove.

 

Ha camminato a piedi scalzi

 

e ballato sotto la luce del sole

 

mentre i violini sembravano piangere in musica,

 

e i vecchi del campo narravano misteriose leggende.

 

L’hanno vista fare l’amore sulla terra nuda

 

parlare agli animali

 

sfogliare i petali d’un fiore

 

giocare prendendo per mano i bambini del campo.

 

Lei leggeva il destino

 

vedeva l’anima riflessa negli occhi

 

poi in silenzio

 

riprendeva il suo cammino.

 

È una ROM figlia del vento

 

la sua strada è lunga e faticosa

 

ma è libera e felice di essere quel che è:

 

la vita è andare verso dove non sai.

 

 

 

BAMBINO SEMPRE

 

Mi hai chiuso gli occhi

 

che avevo avuto in dono

 

per farne pianto

 

ai confini dell’aurora.

 

S’è fatta sera

 

senza ch’io vedessi giorno

 

incatenato al limbo

 

e nudo di carezze.

 

Ti ho reso il cuore

 

che non ha mai ricevuto amore

 

sfogliando petali

 

agli angoli del sogno.

 

Non più domani

 

per noi che abbiamo ali

 

recise in volo

 

verso il paradiso.

 

Pensami stella,

 

stanotte veglierò in silenzio,

 

bambino sempre

 

per mano del destino.

 

 

L’ANGELO NERO

 

L’angelo nero è tornato

 

a bussare alla mia porta.

 

È entrato

 

senza che me ne accorgessi.

 

Nel silenzio assoluto

 

dei suoi passi inesistenti,

 

mi avvolge nel suo manto

 

fatto di fumo e di tenebre.

 

Muta creatura

 

della notte più buia,

 

mi hai preso

 

senza che un lamento

 

venisse fuori dalle mie labbra gelide,

 

bianche come la cera.

 

Ora sono anch’io una creatura della notte

 

una sorta di vampiro

 

assetato di vita, assuefatto di morte,

 

faccio parte del tuo mondo allucinante.

 

Voglio solo fuggire via, nell’oscurità,

 

spiegare le mie ali di pipistrello

 

e volare lontano

 

nella notte che adesso sento d’amare.

 

Fuori il fiume sta scorrendo,

 

dentro il fuoco non si spegne

 

mai un momento,

 

ed io come ti sento, io ti sento!

 

E tu, angelo nero,

 

ormai vivi nell’oscurità della mia anima

 

come una candela accesa

 

che va spegnendosi lentamente

 

ma che non si consuma.

 

 

 

 

BIMBA

 

Quella notte,

 

avvolta in una nuvola calda,

 

una pallida luce nei tuoi occhi

 

sussurrava mille parole,

 

nascondeva mille segreti.

 

Ti guardavo,

 

ascoltavo il tuo respiro,

 

sentivo i tuoi pensieri scivolare nel regno delle ombre.

 

Avrei voluto seguirti anche lì

 

per proteggerti nel sonno,

 

tenerti per mano,

 

stringerti,

 

ascoltare battere il tuo cuore.

 

Ma sono rimasto immobile a guardare il tuo viso.

 

Angelo che socchiudi gli occhi,

 

nell’istante in cui abbassi le palpebre,

 

porta nei tuoi sogni

 

il mio ultimo sorriso per te.

 

Il tuo viso

 

si distendeva dolce come non mai

 

mentre la mia mano scivolava leggera

 

donandoti sulla guancia l’ultima carezza.

 

Dormi bimba mia, ti sussurravo piano

 

per non svegliarti,

 

e vicino a te provavo a chiudere gli occhi anch’io

 

come fossi di colpo tornato bambino nella culla,

 

e insieme attendevamo la nuova alba

 

mentre nel soffitto, anche quella notte,

 

brillavano miriadi di stelle.

 

 

 

MIA DOLCE REGINA

 

Non avrai mai più il suo sorriso

 

immobile è l’immagine nei tuoi occhi,

 

il regista ha chiuso il sipario

 

straziante fine di una lunga sofferenza.

 

Mia dolce regina, di questo teatro

 

ascolta gli applausi della platea,

 

il sentito ringraziamento

 

per un’esibizione mai stata così vera.

 

Ora che sei più leggera dell’aria,

 

non aver paura di volare,

 

perché non potrai mai più cadere.

 

Lentamente abbandoni te stessa

 

e, in un istante lungo una vita,

 

rivedi tutto ciò che è stato

 

e che mai più sarà.

 

Invano tengo stretta la tua mano

 

mentre le lacrime mi solcano il viso,

 

tu sei già in paradiso.

 

Sento ogni giorno la tua mancanza,

 

ma mi basta alzare gli occhi al cielo

 

e guardare il sole,

 

ogni suo raggio mi porta il tuo sorriso.

 

 

 

 

SILENZI

 

Suonano rintocchi nella mia mente

 

fragili oasi di rimembranze lontane

 

sentieri e odori, ombre e querceti

 

divine corse infantili.

 

Di te tutto mi parla,

 

sei come il vento

 

l’aria

 

il dolce canto d’uno scricciolo,

 

e dipingo la mia anima di ricordi,

 

il mio pensiero cerca improbabili fughe.

 

L’eco dei tuoi silenzi

 

annebbia ogni attimo, ogni vuoto.

 

Dove sei impalpabile luce

 

che perenne mi perdo a cercar?

 

 

 

 

 

SULLE ALI DELLA FANTASIA

 

Per tutta la vita ti ho cercata

 

graziosa adolescente io ti ho sognata

 

e nel mio cuor già dipinti

 

v’erano i tuoi quadri pieni di colori e fantasia.

 

E un bel giorno di primavera

 

la tua voce lontana l’ho sentita vicina

 

mia dolce principessina,

 

finalmente hai trovato il tuo amato principe.

 

Nel tuo mondo fantastico sono entrato con te

 

rivivendo le fiabe nei tuoi quadri dipinte

 

rifugiati insieme come creature senza tempo.

 

Abbiamo viaggiato nel cielo ricco di luci e colori

 

accarezzati dal sole e cullati dal vento,

 

abbiamo cavalcato vicini le ali della fantasia.

 

In quel mondo bambino tutto brillava

 

ed era trasparente, ed era luminoso

 

e come nelle fiabe tutto era possibile.

 

 

 

 

QUANDO I NOSTRI SOGNI DIVENTERANNO AMORE

 

Mi lascerò trascinare dal vento

 

ascoltando la dolce melodia dei gabbiani,

 

diventerò leggero come una piuma

 

e navigando tra oceani di nuvole, ti ricorderò.

 

Con la punta delle dita sfiorerò le stelle,

 

e mi nutrirò della loro luce,

 

danzando tra magiche aurore.

 

Volerò come un angelo immortale

 

e a cavallo di una stella cometa,

 

giungerò sino in fondo al tuo cuore.

 

Sfiorando leggermente le nostre labbra,

 

ci guarderemo ancora una volta,

 

ed esalando il nostro ultimo respiro,

 

ci baceremo all’infinito

 

trasformandoci in polvere di stelle.

 

E ci rivedremo in un’altra vita,

 

quando saremo tutti e due sogni

 

o quando i nostri sogni diventeranno amore.

 

 

 

 

 

OBLIO DI SENTIMENTI

 

Fra le tenebre di questo mondo

 

stolti e scellerati ansimano

 

per il dominio di se stessi

 

e la soppressione degli altri.

 

Ma in quest’oceano di maledetti,

 

magnifica la natura

 

mi ha concesso l’immensità dei tempi,

 

l’infinita profondità degli spazi,

 

la tua divina esistenza

 

che sola mi aggrada e mi conforta

 

in quest’oblio di sentimenti.

 

 

 

 

IL RISVEGLIO

 

Tu che sei nato in estate

 

quando la terra è gravida

 

e l’aria è satura di fragranze e sapori,

 

di colori vivi e di luce accecante,

 

forse non ami l’autunno.

 

Gli uccelli migrano lontano

 

lasciando la terra desolata

 

a ricordare nel sopraggiunto silenzio

 

l’eco delle loro grida nel cielo.

 

La luce del sole è ormai timida nel comparire,

 

le nuvole nella notte trasformano la luna piena

 

in un riflesso opaco.

 

Ombre scure hanno preso il posto delle case

 

ed hanno contorni indefiniti e tremanti.

 

L’anima del mondo si è incarnata altrove

 

e tu ne erediti le spoglie.

 

Eppure,

 

se riuscirai a soffermarti per un istante fra i rami spogli,

 

ad ascoltare il vento che spazza via le foglie morte,

 

a lasciarti accarezzare dalla pioggia sottile che rigenera i solchi,

 

ad amare questa terra nuda e fredda

 

attraverso le tenebre che l’avvolgono,

 

ti accorgeresti di un respiro sommesso,

 

del battito lieve di un cuore che sta riposando.

 

E se saprai attendere paziente il risveglio,

 

allora, avrai per te una terra vergine da fecondare

 

e fiori e frutti riempiranno le tue mani,

 

e nei tuoi occhi brillerà la luce

 

d’un giorno senza tramonto.

 

E udirai nuovi sussurri, nuove grida che avranno il tuo nome

 

e stormi di uccelli che si libereranno per te soltanto

 

imbastendo danze d’amore

 

sulle note di una musica scritta per te

 

dalle acque dei ruscelli.

 

Ed il vento ti porterà in un viaggio senza fine

 

accarezzando il tuo sorriso perché non svanisca,

 

il sole penetrerà le tue membra

 

per infondere calore e forza

 

e sarai stordito di profumi inebrianti

 

che rapiranno i tuoi sensi fino a confonderli.

 

Allora,

 

e solo allora, mi incontrerai di nuovo

 

e guardandomi, non mi riconoscerai.

 

 

 

 

 

IL TUO ANGELO BAMBINO

 

In segreto,

 

un amore ti dorme accanto,

 

muto e invisibile,

 

ha soltanto occhi per guardarti

 

e mani che non possono stringerti.

 

Della sua malinconia non ti accorgi

 

quando lo guardi e non lo vedi,

 

quando lo accarezzi e non lo senti.

 

Come un fantasmino si aggira per la stanza

 

urla a volte per destarti dal sonno ma invano

 

e poi di nuovo tace

 

vinto dalla tua indifferenza

 

più solo e più piccolo di prima.

 

 

 

 

L’ABISSO

 

Ho spiato l’abisso dell’anima mia

 

spalancando gli occhi incredulo

 

a quel buio senza fine, senza luce.

 

Ho teso la mano

 

a toccare il fondo

 

dove frammenti vagano

 

in cerca di pace.

 

Un dolore profondo a fiotti

 

come magma infuocato

 

travolge ogni cosa.

 

Ferite aperte

 

mai rimarginate

 

ormai senza più riposo

 

anelano carezze.

 

I miei occhi impotenti

 

ora scrutano tutto il mio dolore,

 

nel buio piangono lacrime

 

che brillano di sole.

 

 

 

SPREMI IL MIO SUCCO

 

Spremi il mio succo ragazza!

 

spremi tutta la vigna

 

e beviamo sino ad esserne ebbri

 

che anch’io sono pazzo di te

 

e di nuovo ardo di febbre.

 

Spremine ancora e ancora

 

e riempi la coppa proibita

 

per brindare sorella all’aurora

 

splendida amante della vita.

 

 

 

 

 

ERA UN GIOCO

 

Le rincorse sui prati

 

quell’acchiapparci

 

per finire lottando fra l’erba

 

… era un gioco.

 

Era un gioco

 

il mio corpo sul tuo

 

e trattenerti vinta per terra,

 

posarti la testa sul seno

 

aspettando che il respiro

 

tornasse leggero

 

… era un gioco.

 

Era un gioco

 

la prigionia contro i sassi

 

del muretto tra i rovi,

 

il tuo viso offerto nel sole

 

la dolce schermaglia dei fianchi

 

… era un gioco.

 

Ma quel gesto in più,

 

la mia incontrollata reazione,

 

la follia che ci prese

 

e che ci sconvolse la vita,

 

era un gioco dal quale

 

non abbiamo più fatto ritorno.

 

 

 

 

 

MEDUSA

 

Chioma di Medusa

 

ha i suoi tentacoli stesi sul letto.

 

Salice piangente

 

sul colle d’illusioni,

 

la luce dell’alba l’accende

 

fonde le fronde col cielo infuocato,

 

disegna l’ombra e il profilo

 

amaro e sommesso … dolce e sottile …

 

… fiero e slanciato.

 

Occhi penetranti come fari di luce,

 

inestinguibili fonti di vita,

 

pozzi profondi, impercepibile essenza

 

dolce presagio di un amaro futuro

 

prova incombente di vita e di morte.

 

 

 

 

 

ANIME GITANE

 

Abitano una terra di confine

 

piccole Charlot in blue jeans,

 

crisalidi incantate,

 

figlie di Veneri avare e rinnegate.

 

Hanno sguardi intensi e fuggevoli

 

e corpi sprofondati nei maglioni,

 

a proteggere anime gitane senza casa.

 

Vivono il sogno sospeso

 

di adolescenti cresciute

 

e di donne mai trovate,

 

cercando in un volto lo specchio

 

che rifletta quella parte di esse perduta.

 

 

 

 

 

STELLA DEL MATTINO

 

Bentornata stella del mattino

 

ancora dai miei occhi sgorga pianto:

 

che giorno è questo in cui tu dormi ignara,

 

mentre io già veglio sui miei fantasmi antichi?

 

Ti sveglierà l’odore del bosco

 

e il lento dischiudersi di altri baci.

 

Avrai suoni e colori anche per oggi.

 

Io, soltanto la tristezza.

 

 

 

 

ASCOLTA

 

Per quel che vale anche tu ascolta

 

non riesco a sbiadire il volto

 

disegnato nella mappa della memoria,

 

contorno scuro

 

chioma di inchiostro e di seta.

 

La tua voce rauca richiama

 

lacrime come di rime sparse.

 

E ti posseggo solo

 

con parole che ripeto

 

magia di nenia o canto,

 

voce che si incunea

 

fra i lacci della vita,

 

su ciglia chiuse.

 

Dimmi: sei una donna o una strega?

 

le tue labbra dolce pretesto,

 

nei tuoi occhi la magia:

 

una bugia!

 

La tua malizia mi accende

 

il corpo mi rendi

 

e l’anima vendi.

 

Io ti seguirò

 

annientandomi,

 

fino a frantumarmi nella tua follia.

 

 

 

 

 

PASSIONI FRA DONNE

 

Danziamo molto vicine

 

ma non ci tocchiamo,

 

una specie di intimità sessuale ben presto

 

ci costringe a usare le mani.

 

La notte è calata su noi

 

ma la musica ci riempie di energia,

 

è eccitante spingerti su me,

 

adoro sentirti mia.

 

Bere dalla tua bocca

 

ha un significato purificante per la mia arte,

 

è così inebriante il tuo odore,

 

sai che hai la voce sensuale.

 

Sei divina, così aggressivamente tenera,

 

farò di tutto per raggiungerti in quella sfera magica

 

delle nostre menti che non sanno spegnersi

 

nemmeno quando il corpo sa di anima.

 

Perdonami se non ho parole

 

per dirti quanto ci tengo alla luce

 

che vedo nei tuoi occhi,

 

siamo in pochi

 

ad averla ancora.

 

Stringimi, baciami, mordimi, abbracciami!

 

Non voglio restare sola

 

ora che tu con un sorriso

 

cacci via ogni malinconia.

 

Non posso che cercare

 

di fare del tutto per renderti mia

 

perché sei splendida, splendida, splendida

 

così come sei.

 

 

 

 

 

L’ANTIMATERIA DEL CUORE

 

La persistenza del cuore,

 

vorrei che questa cenere

 

ti desse il segno che tu non sai.

 

Ali di farfalla nella notte,

 

il viaggio senza fine,

 

il tuo profondo desiderio della terra australe.

 

Siamo noi il confine, l’antinomia,

 

il duro esserci per inerzia.

 

La materia opaca del corpo

 

per desolare il desiderio,

 

solo gli occhi con un cenno vanno oltre.

 

E mi dicono gli insonni spiriti dei luoghi siderali

 

che nelle lacrime di Orione c’è l’amore ignoto

 

come quando sul pontile ti chiesi un bacio che mi desti

 

ma te lo vidi poi chiudere in cassaforte

 

come un gioiello di antenati.

 

Ma sconosco la chiave

 

che gira a vuoto per questo silenzio di galassie

 

sparse nel cosmo vagabonde,

 

sento che l’antimateria del cuore

 

è labile cometa

 

visibile nella sua traccia di contigua assenza.

 

 

 

 

PAGLIACCETTO AZZURRO

 

Leggevo tempo fa

 

le tue poesie,

 

piccolo arcobaleno ribelle,

 

scheggia di sorriso

 

e di follia,

 

fra la stanchezza generale

 

che invade la gente.

 

E mentre sfogliavo le tue pagine,

 

ti vedevo

 

pagliaccetto azzurro

 

saltellare fra la rugiada,

 

nei fiori giocare,

 

coi fili d’erba

 

burlati dal sole,

 

amare la notte,

 

e poi morire

 

in un’autostrada di parole.

 

Quanta tenerezza mi susciti!

 

il mio mondo alla tua età

 

era così simile.

 

Vorrei dirti pagliaccetto azzurro

 

non smettere mai di sognare

 

ma non sarebbe giusto, ti farei del male.

 

Siamo rimasti entrambi su una giostra di colori

 

forse non riusciremo mai ad imparare a vivere.

 

 

 

 

AL DI LÀ DELLA SIEPE

 

Odore di foglie di menta

 

bagnate in una notte estiva

 

circondate dalle lucciole

 

nel giardino della mia infanzia.

 

Ascolto,

 

a testa in giù come un acrobata,

 

l’eco delle tue parole

 

incontrare i miei pensieri,

 

sottile momento di comunione

 

al di là della siepe.

 

 

 

 

IL MIO DELIRIO

 

Cosa vedo,

 

dai miei occhi trapela solo pensiero,

 

solo erosione che non mi appartiene,

 

amore che sfugge al mio delirio,

 

passione che arde

 

nell’oscurità dei miei giorni.

 

Vedo potenti fiamme bruciare una casa

 

eppure non è per me

 

il chiarore che giunge alla mia vista,

 

devo lasciare che bruci sola

 

senza poterla salvare,

 

però dentro di me un vortice di sensazioni

 

scuote la mia mente.

 

Il mio corpo vibra in una danza impazzita,

 

si agita,

 

è rovente,

 

vuole amore,

 

ma dove cerco, non trovo nulla,

 

solo gelido inverno.

 

Mi trapassa,

 

mi gira intorno,

 

mi lascia ferite sul corpo,

 

mi dà dolore.

 

Ora un fuoco riscalda la mia pelle,

 

toglie l’antica solitudine,

 

eccita i miei sensi,

 

dà pienezza alla mia anima

 

e mi libera da lei.

 

 

 

MAGICA NOTTE

 

Mi giungi nell’anima, magica notte!

 

che hai ridato il sorriso al mio volto,

 

uno sguardo ai miei occhi.

 

Ho incontrato i tuoi, unici

 

perfette lagune di sogni

 

e tutto il mio corpo vibra

 

attendendo di immergersi ancora in essi.

 

E respirare la tua aria

 

assaporare la tua vita

 

sarebbe il sogno a cui la mia anima

 

vorrebbe aggrapparsi

 

per far divenire tutto

 

calda estasi.

 

Tu magica nella tua perfezione di donna,

 

nelle tue dolci labbra

 

sulle quali vorrei morire

 

lasciando i miei sensi in delirio.

 

Tu o notte,

 

ipnotica visione

 

che non voglio dimenticare

 

lasciami il tuo ricordo,

 

un tuo momento.

 

Tenderò le braccia a te

 

anima che delicatamente ti scopri a me.

 

Ti toccherò con la mia,

 

ti avvolgerò con il mio amore,

 

ti darò pressante passione,

 

ti offrirò tutto me stesso,

 

il mio delirio per te.

 

 

 

 

AQUILA DALLE GRANDI ALI

 

Salti per il mondo

 

e in cima in un attimo ti ritrovi,

 

da quell’altezza sei tu la padrona,

 

niente potrà più fermarti.

 

Aquila dalle grandi ali

 

ti stagli di profilo,

 

i tuoi occhi

 

puntano la preda.

 

Cosa ricordi di te stessa?

 

forse il fiore che ti generò,

 

il respiro del fuoco,

 

l’aria aperta.

 

A chi somiglia?

 

della natura sei complice

 

bocca bellissima.

 

Non avrò timori,

 

il sentiero è dritto

 

e la ghiaia bianca.

 

L’erba che raccoglierai

 

sul ciglio ti basterà

 

e gli anni futuri

 

ti vedranno fiera

 

in cima alla montagna.

 

Ed io saprò dove cercarti:

 

nel tuo nido.

 

 

 

 

ESTASI LUNARE

 

Vedo l’inviolabile notte implorare,

 

mi muoverò lentamente in un arido silenzio

 

come un gatto protetto dalla sua torpidezza,

 

cullerò un’infinità di rumori e di fumo

 

e a stento la notte ritroverà la sua pace.

 

Vedo un lucente angelo esanime,

 

infido torcerò gemme colorate

 

e vagherò nudo, tedioso e inerte

 

tra i docili fremiti degli antri di donna

 

e a stento l’angelo ritroverà la sua forza.

 

Vedo un’incantevole regina piangere,

 

rifiorirò tra le grinfie dell’amore e della vita

 

nel perduto e meraviglioso oblio rosso

 

sussurrando poesie tra le spire d’una stella

 

e a stento la regina ritroverà il suo sorriso.

 

Vedo una bambina perdere la sua infanzia,

 

insidierò ancora l’umidità delle tentazioni,

 

eviterò l’abbaglio dei cristalli

 

cancellando anche il sapore della nebbia

 

e a stento la bambina ritroverà il suo gioco.

 

Ma nel solenne splendore delle mie visioni

 

della notte, dell’angelo, della regina

 

e persino dell’innocente bambina,

 

attenuerò il lacerante taglio dei ricordi

 

e danzerò nell’estasi lunare.

 

 

 

 

ADOLESCENTE LUNA

 

Erano brevi attimi di buio

 

interrotti da labbra di neve,

 

addolciti da profumi d’incenso

 

e deliziose manie.

 

Era l’estate appagante

 

nella sua rossa solitudine

 

assordante di rumori al sapore di grano.

 

Ti adoravo mia adolescente luna,

 

disegnandoti sul mio diario segreto

 

illuminavi i miei giorni confusi, le notturne paure,

 

e le memorie ancora acerbe prendevano forza

 

in una danza eclettica di ondeggianti stelle.

 

Eri mia, lunghi fianchi sinuosi

 

distesi su letti d’argento,

 

e lì riappariva il mare nella sua immensa distesa.

 

Oggi che i miei giorni si consumano di vecchiaia,

 

sei ancora mia

 

attraverso rughe di arrugginite memorie.

 

 

 

 

 

CREATURE SAFFICHE

 

Svelatemi

 

o Numi del cielo

 

o amabile Venere

 

o chiunque abbia creato l’Eros,

 

svelatemi vi scongiuro

 

l’arcano mistero di costoro:

 

son giovanissime dee puttane

 

e dolci figlie di Saffo?

 

Ninfette in amore,

 

amabili creature saffiche

 

con i loro giovani corpi nudi

 

attorcigliati e avvinghiati uno sull’altro

 

fino a formarne un solo.

 

Anima nell’anima

 

respiro nel respiro

 

fiamme di paradiso.

 

Acerbi potentissimi sensi

 

scambiatevi lancinanti effusioni,

 

esplodete di malizia e innocenza.

 

Brividi, sussulti e fremiti

 

son lugubri rintocchi di messa funebre,

 

orgasmi, orgasmi e orgasmi

 

rosari sussurrati nel silenzio della chiesa.

 

Grazie potente Zeus

 

grazie divinità tutte dell’Olimpo

 

per avermi donato occhi

 

che possono ammirare

 

così celestiale visione.

 

Perdonami Dio della bontà e della purezza

 

ma io non so rinunciare

 

alla tentazione di quei corpi.

 

 

 

 

 

CHE BELLA SEI

 

Scorre la pioggia su di noi,

 

che bella sei!

 

sembri un cucciolo

 

infreddolito, stretto nelle tue spalle.

 

È bello il rumore

 

dell’acqua sull’asfalto tra pozzanghere di specchi

 

e aghi di pioggia che cadono giù.

 

È dolce sentire

 

il tuo corpo umido

 

contro il mio, bere dalle tue labbra.

 

Vedere i tuoi capelli gocciolare

 

arruffati selvaggiamente

 

stupendi nel loro disordine.

 

Che bella sei!

 

troppo bella per essere tangibile,

 

per essere mia.

 

Sento che sei parte di un sogno

 

ed ho paura di svegliarmi,

 

vorrei morire dormendo

 

con te al mio fianco.

 

 

 

 

 

IL RESPIRO LENTO DELLA FINE

 

E odo soltanto

 

l’impercettibile canto delle farfalle

 

quelle ebbre di vita nel loro ultimo giorno.

 

Il respiro lento della fine

 

ancor più mi strazia le carni,

 

mi indica il sentiero.

 

Una spirale di nebbia mi avvolge,

 

i rovi fermano i miei passi,

 

in lontananza un pallido sole

 

allunga le ombre dei cipressi

 

che come antichi guardiani scandiscono il mio tempo

 

con le loro lance sugli scudi di bronzo.

 

 

 

 

 

L’EFEBO NELL’ANTICA GRECIA

 

Che splendor mio grazioso giovinetto

 

quasi femmineo puro tutto ben curato

 

sii pronto su è giunta l’ora

 

d’esser da viril uom sodomizzato.

 

Oh si è bello è natural

 

e l’accoppiamento sai è gran giusta cosa

 

eroe e signor diman anche tu sarai

 

assai degno di fedele sposa.

 

Che aperte menti pensatrici

 

avean quei greci valorosi!

 

oggi mamma mia che tabù sarebbe

 

s’aprirebber celle per ricchi e per morosi.

 

Come corri in fretta pazza civiltà

 

c’è internét altro che lontan caverne

 

siam del progresso già tutti robots

 

e al natural piacer addio senza più goderne.

 

Così Sant’Uomini col mal dentro Sé stessi

 

san trovarlo ovunque persin dove non sta

 

e ciò che con durezza sono pronti a condannar

 

in segreto è praticato in Lor Sacra Autorità.

 

 

 

 

IO L’HO VISTA

 

Io l’ho vista

 

quand’ero ancora adolescente e mi sentivo solo

 

in un freddo pomeriggio d’inverno,

 

nel silenzio,

 

in quella grotta buia coperta da fronde.

 

L’ho vista

 

nella sua nudità d’angelo

 

librarsi in volo con le sue ali dorate,

 

mi ha parlato

 

con la sua voce dolce e suadente.

 

L’ho vista, lo giuro!

 

anche se nessuno mi vuol credere,

 

mi ha detto di non svelare il suo segreto

 

che da allora è anche il mio.

 

Nella notte delle stelle cadenti

 

sono tornato nel punto dove mi è apparsa

 

ma non ho veduto più nulla

 

silenzio assoluto anche del vento,

 

ma una luce brillante si è accesa

 

subito dopo che sono andato via.

 

Da allora la Madonna non ha mai smesso

 

di comunicare con me proteggendomi e guidandomi.

 

 

 

 

IL CLOWN

 

Se in questa vita proprio devo fingere

 

voglio essere un clown

 

un trasformista multicolore

 

che diverte il mondo scherzando di sé.

 

Voglio essere l’arcano numero zero,

 

l’amico dei bambini,

 

il nano di corte, il giullare, il folletto.

 

Voglio essere il folle saltimbanco

 

che entra in scena,

 

che rompe gli schemi,

 

che fa ridere i cuori,

 

che sa indossare sulla guancia dipinta

 

una lacrima vera camuffata per finta.

 

Sarò triste come Pierrot

 

o forse allegro come Arlecchino,

 

non so neanch’io quello che diventerò.

 

 

 

 

 

LETTERA AD UN AMORE LONTANO

 

Messina 16-12-1989

 

È quasi Natale ormai ma non è più festa per me,

 

ogni giorno è uguale all’altro.

 

Io lo so che in paradiso

 

non si può vivere per sempre,

 

ma nei tuoi occhi l’infinito

 

libera la mia mente,

 

se potessi io ti raggiungerei dovunque.

 

Sei tu

 

che mi fai sognare, ridere, impazzire.

 

Sei tu

 

che mi dai il coraggio di ricominciare.

 

Con te

 

ci sarà ancora tutto da scoprire

 

ed io so già

 

che la mia vita cambierà colore.

 

Ma tutto ormai appartiene al passato

 

e sembra non avere futuro.

 

Oggi cammino da solo per le strade ricche di addobbi natalizi

 

straniero anche per me stesso con la sola compagnia di lacrime che sanno di sale,

 

non so dove vado né se sto vivendo.

 

Mi sono guardato riflesso allo specchio

 

la barba lunga, i capelli arruffati

 

io sono cambiato sai

 

ma si è abbruttito pure il tempo, non si vede più il sole.

 

Quando l’aria si trasforma all’improvviso

 

e la tramontana sale,

 

è il mio cuore che mi chiede dove sei

 

e proprio in quei momenti tristi,

 

mi rendo conto che lunghe distanze

 

ormai mi separano da te.

 

Una sottile crescente malinconia

 

allora mi prende sempre più

 

e sembra che mi arrivi da lontano il calore della tua pelle,

 

mi par di sentire il suono della tua voce,

 

il ritmo regolare dei tuoi respiri sul mio petto.

 

E mi lascio andare così

 

alla dolce melodia di questi pensieri

 

e dentro di me fra mille paure

 

conservo ancora il tuo fuoco.

 

Giuliana, io darei qualunque cosa per rivederti un solo istante,

 

mi chiedo se è lo stesso anche per te.

 

 

Con amore, tuo Claudio

 

 

 

 

 

SOLO NEL CIMITERO DEI VIVENTI

 

Solo,

 

insieme a mitiche creature,

 

mi cullo su un filo di ragnatela.

 

Navigo nel mondo

 

su di una zattera fatta di sogni,

 

le mie vele idee immorali,

 

i miei remi i miei peccati.

 

Solo,

 

con arti di plastica

 

che sfiorano il mio corpo,

 

lo scuotono in convulsi balli tribali,

 

in un vortice nero perdo me stesso

 

per ritrovarmi vuoto

 

senz’anima.

 

Solo,

 

sotto la pallida luce

 

di una sterile luna invernale,

 

vago per il cimitero dei viventi

 

che chiamo casa.

 

Solo,

 

attraverso la linea di confine,

 

unico superstite di un’era di scintille e ferro,

 

passo al di là dello specchio.

 

Le mie orme si confondono con quelle del mio clone

 

nell’arido deserto dell’Ade.

 

 

 

 

ACROBATI

 

Emozioni sul trapezio della vita,

 

equilibri instabili di cuori in bilico,

 

questo è il nostro destino,

 

essere acrobati

 

rappresentare ogni giorno noi stessi

 

ora guitti, ora attori dai mille volti,

 

capaci sempre di carpire l’ultimo applauso,

 

sempre pronti a giocare con il fato.

 

Nella notte offriremo lo spettacolo più bello,

 

saliremo sul ciglio della luna,

 

saremo giocolieri delle stelle,

 

cammineremo in punta di piedi nei sogni dei bambini

 

e strapperemo loro lo stupore più innocente,

 

salteremo di cuore in cuore.

 

Questa è la nostra forza,

 

questa è la nostra scelta:

 

essere equilibristi di noi stessi.

 

 

 

 

 

I SEGRETI DELLA LUNA

 

Per ore lunghe e lievi

 

ho scrutato i segreti della luna,

 

e senza accorgermi,

 

una notte dietro l’altra,

 

ho cercato una forma di vita

 

sul suo pallido volto

 

per colmare questo purpureo calice

 

ancor vuoto.

 

È vero,

 

eterni sentimenti ci uniscono,

 

e come lupo in fuga,

 

orfano d’eteree rimembranze,

 

tendo le mani e la ricerca

 

nel mezzo dei suoi argentei fili,

 

chioma di madre celeste.

 

Non sogni o fatue visioni,

 

non amori o delitti,

 

non tormento o quiete

 

a cui abbandonarsi

 

finché lei resta lassù

 

con il capo chino

 

sulle mie mani aperte


in foto:ggtt Claudio Cisco

Apr 20, 2018 - Senza categoria    Commenti disabilitati su LA MIA ANIMA E’ NUDA (Claudio Cisco)

LA MIA ANIMA E’ NUDA (Claudio Cisco)

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LA MIA ANIMA È NUDA

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La mia anima è nuda

 

anarchico il mio istinto

 

folle la mia mente

 

immorale la mia libertà.

 

La mia anima è nuda

 

ama i bambini

 

sta al fianco di barboni, disadattati, emarginati

 

adora gli ultimi della classe sociale.

 

La mia anima è nuda

 

non sa vivere in società

 

non scende a compromessi e non concepisce le regole

 

non lavora e non produce.

 

La mia anima è nuda

 

è troppo grande per essere prigioniera in un corpo di carne

 

non può esser limitata dal tempo

 

è uno spirito libero che anela alla libertà assoluta.

 

La mia anima è nuda

 

posta al centro d’una corda tirata ai lati da lussuria e innocenza

 

come un verme striscia e bacia i piedi del demonio

 

poi di colpo s’alza in volo e abbraccia Dio

 

sempre in bilico tra inferno e paradiso.

 

La mia anima è nuda

 

soltanto nell’arte, di notte quando tutti dormono,

 

esce manifestando la sua diversità

 

se venisse scoperta verrebbe fatta fuori e forse anche uccisa,

 

bisogna lasciare dormire tranquillamente la gente,

 

guai a chi provasse a risvegliarli!

 

quando si sta troppo al buio, si ha paura della luce.

 

La mia anima è nuda

 

immortale e ribelle

 

aliena venuta da chissà quale mondo

 

destinata a perdersi e soffrire

 

nel crudele gioco della vita e della morte.

 

La mia anima è nuda

 

scevra da qualunque vanità

 

spogliata nella sua infinita miseria

 

non si lascia etichettare in nessun modo

 

non è né maschio né femmina, né schiava né regina.

 

La mia anima è nuda

 

conosce la sensibilità del male

 

è attratta dal fascino del proibito

 

è inquietante ma sincera.

 

La mia anima è nuda

 

è ancora bambina quando sogna

 

terribilmente vecchia quando insegue la logica

 

morta e sepolta quando si lascia sedurre da religioni e ricchezze.

 

La mia anima è nuda

 

condannata dalla sua stessa sensibilità

 

ad un isolamento senza uscita,

 

non chiede più comprensione ormai

 

sa di averla data ma di non poterla ricevere.

 

La mia anima è nuda

 

dannata

 

salvata

 

ma dannata ancora.

 

Anime perverse, entrate in sintonia con me!

 

sono qui, se volete potete trovarmi

 

non ho maschere e non mi nascondo:

 

la mia anima è nuda.

 

 

 

LA MIA MENTE

 

Silenzi e vuoti intorno a me

 

quiete assoluta nella mia stanza

 

sguardo assente, occhi chiusi

 

la mia mente mi porta lontano fuori da qui

 

mi trascina via con sé e nessuno se ne accorge,

 

prende il largo sulle acque

 

attraversa un fiume tranquillo

 

che cancella i ricordi

 

e li fa scivolare via.

 

La mia mente

 

è volo di idee

 

ragnatele di ragionamenti

 

archivio di esperienze rimosse

 

cassetti colmi di dubbi incessanti.

 

La mia mente

 

è follia pura

 

immaturità e saggezza insieme

 

è un gigantesco pallone

 

che vaga rimbalzando continuamente

 

da un soffice sogno all’altro.

 

La mia mente

 

è finto silenzio

 

fantasie strane

 

vertigini e vortici di pensieri

 

spinta per vivere.

 

Crea una tempesta

 

non dorme la notte

 

incubi che si accavallano

 

sogni che nascono e rimangono sospesi

 

paure e solitudini senza fine.

 

La mia mente

 

è invasa di ricordi che si susseguono

 

notizie divorate

 

date, sentenze, nomi, schede ormai ingiallite

 

profumi di opere buone

 

domande senza risposte

 

amori cancellati e poi riscritti

 

sì che diventano no.

 

La mia mente

 

è un insieme di cose da dimenticare

 

una cantina di occasioni perdute

 

di progetti mai portati a termine

 

di ricordi nostalgici.

 

La mia mente

 

silenziosa corre, vola, sfugge,

 

anela, brama di sapere.

 

Va via col vento, più su delle nuvole

 

sopra gli oceani

 

sorvola spazi infiniti

 

raggiunge nuovi orizzonti.

 

La mia mente

 

mi convince

 

ha sempre la meglio

 

detta le sue leggi

 

ed io non posso sfuggirle,

 

la seguirò perché lei vuole così.

 

La mia mente

 

mi fa impazzire

 

mi fa venir voglia di scoppiare

 

mi lascia i segni di chi ha vissuto un’eternità.

 

Uccidimi il cuore!

 

la mia mente mi resterà ancora intatta.

 

Legami con una catena fortissima!

 

lei mi slegherà,

 

forse neanche la morte fisica

 

potrà riuscire a fermarla.

 

Ti prego mente mia

 

portami con te lontanissimo

 

nei grandi campi di neve dove il sole non c’è

 

nei deserti sabbiosi senza confini

 

nelle praterie immense

 

nei mari in tempesta

 

nelle cime vertiginosamente alte

 

nelle strade vuote senza fine

 

che portano al nirvana e all’estasi.

 

Portami o mente mia

 

attraverso paesaggi sfocati e laghi annebbiati,

 

le mie vene saranno fiumi tra le rocce

 

le mie mani pallidi monti nella notte

 

il mio sangue torrente rosso più del fuoco.

 

Solo con te sulla scia delle ninfe

 

tra cascate argentate, ghiacciai sterminati

 

i miei pensieri frustati dal vento

 

scatenati e prendi, prendi tutto di me!

 

 

 

VORREI

 

Vorrei vagare nell’universo

 

e cercarti ovunque,

 

nelle intrecciate tele di un ragno

 

nel fruscio delle foglie morte

 

nel dondolare dei rami stecchiti

 

nel profumo d’un incensiere

 

sfogliando la Bibbia

 

dinanzi al portone d’un antico monastero.

 

Vorrei essere portato via da te nella tua carrozza

 

lontano dalla prigione d’un grattacielo

 

lungo le strade dell’inverno

 

ed osservare riflessa nel lago argentato

 

la mia immagine vecchia e deforme

 

trasformarsi nella tua pelle giovane e bianca

 

e contare poi una per una

 

le perle della tua corona.

 

Vorrei capire chi sono

 

mostrandoti fotografie sbiadite e diari segreti,

 

mostrandoti la scia luminosa dei ricordi

 

di quello che ero ieri,

 

l’anima immortale che vive nei miei versi adesso,

 

la statua, la lapide e la polvere

 

di ciò che rimarrà dei miei sogni domani.

 

Vento impetuoso della fuggevole immaginazione mia

 

tu spalanchi con forza la porta di questa mia tacita realtà

 

e nelle annebbiate stanze del tuo nido

 

io mi sto sempre più addentrando.

 

Ed ora sento di poterti raggiungere.

 

Vorrei avvicinarmi ma non so chi sei

 

vorrei chiamarti ma non so il tuo nome

 

vorrei seguirti ma tu ti stai sciogliendo lentamente

 

in aria,

 

scompari quando credo d’afferrarti.

 

Eppure io ti inseguo da sempre

 

nei labirinti della mia mente,

 

cercandoti affannosamente

 

in ogni piccolo spazio

 

della mia camera vuota e solitaria.

 

E nelle lacrime della solitudine mia

 

che percorron lente il mio viso pulito,

 

vedo i miei sogni evanescenti

 

morire uno dopo l’altro

 

ed un bimbo,

 

quel bimbo che vive in ognuno di noi,

 

li porta con sé invecchiati

 

fino ad estinguersi

 

nel riposante approdo d’un obitorio.

 

 

NICO

 

Nico!

 

Ti ricordo ancora

 

avevi dodici anni, la mia stessa età

 

solo qualche giorno in meno.

 

Nico!

 

Sei nella memoria coi tuoi occhi scuri

 

una bocca grande ma con pochi denti

 

ti facevo il verso

 

non te la prendevi.

 

Nico!

 

Eri sempre con le brache corte

 

e le gambe viola

 

per il grande freddo.

 

Nico!

 

Ma com’eri buffo

 

con quel cappellino con il paraorecchie

 

una grossa sciarpa fatta da tua mamma

 

come ci tenevi.

 

Nico!

 

Il compito in classe

 

lo copiavi sempre da me

 

eri furbo

 

non so come facevi.

 

Nico!

 

Insieme sulle piante

 

a buttar giù palle di neve

 

alle barbagianne, le ragazzine con gli occhiali

 

quelle proprio racchie.

 

Nico!

 

Non ti ricordi le mele

 

rubate insieme e mangiate di nascosto

 

in quel mercato rionale?

 

E le domeniche d’agosto?

 

correvamo per le strade deserte

 

c’eravamo solo noi

 

chissà cosa volevamo dalla nostra vita!

 

Nico!

 

Eri il mio migliore amico

 

un giorno mi dicesti:

 

“Se fossi nato femmina ti amerei”.

 

Quel giorno al doposcuola

 

ci presero un po’in giro

 

avevano scoperto

 

i nostri giochi strani.

 

Non mi vergognavo di volerti bene, di prenderti per mano,

 

di regalarti il mio affetto

 

quello che riuscivo a darti,

 

quello che potevo darti.

 

Nico!

 

Ma tu adesso cosa fai?

 

chissà se ti sei sposato, se hai dei figli

 

se pensi ancora a noi.

 

Com’era bello uscire da scuola!

 

e col sole o con la neve

 

tornare a casa

 

insieme.

 

Nico!

 

 

 

MADAME CLELIA

 

Un’emozione forte

 

si fa strada nei miei pensieri,

 

lenta scende come un’ombra

 

nella mia realtà ormai stanca

 

e tra la fantasia e l’età

 

mi trascina via con sé

 

in un tempo ormai lontano.

 

Mi rivedo di colpo lì

 

a spiarti dietro la finestra

 

di quella tua tenebrosa casa antica.

 

Sui miei undici anni appena compiuti

 

cadeva già il primo velo di follia,

 

e che sussulti, che tremiti segreti

 

in quelle mie inquiete notti di fanciullo

 

quando impaurito e rannicchiato

 

mi nascondevo sotto le coperte,

 

la mia prima masturbazione

 

la conobbi proprio allora e fu per te.

 

Madame Clelia!

 

Eri grande, troppo grande

 

forse vecchia per i miei occhi e per il mio corpo.

 

Avevi perso il marito

 

ti avevano abbandonato i figli

 

io come un giocattolo, un barboncino

 

ero tutto quello che ti rimaneva

 

nella tua vita mai vissuta

 

sempre attesa, mai avverata.

 

Ancor adesso

 

a distanza di tanti anni

 

non so cosa volessi tu da me

 

né cosa avrei potuto darti io.

 

Ma ti giuro Madame Clelia,

 

tu sei stata per me una regina

 

ti vedevo danzare nei miei sogni di bambino,

 

mi chiedo come mai così bella dentro

 

nessuno, all’infuori di me,

 

ti aveva vista mai.

 

 

 

PAESE NATÌO DI MIA MADRE

 

Al tuo paese torni

 

con me

 

ogni tanto,

 

ma sei triste

 

pensierosa

 

non parli.

 

La tua fontana rivedi

 

i vicoli

 

la piazza

 

che a miglior tempo

 

ti furono amici.

 

Anche la tua casa

 

giace silente e vuota

 

negletti i fiori

 

accanto ai muri.

 

Guardi fissa la chiesa

 

e odi la voce

 

di chi la preghiera

 

t’insegnò a ripetere.

 

Vedi tutti i ricordi

 

segnati da croci

 

cerchi ma non trovi

 

la speme d’un dì.

 

 

 

 

IN SIMBIOSI CON L’UNIVERSO

 

È solo mio questo improvviso aprirmi

 

e rivedere in un attimo tutta la mia vita come in un film registrato

 

e poi simultaneamente

 

allargare le braccia all’universo che mi circonda

 

e respirare a pieni polmoni

 

come volessi trasportarlo in me

 

per sentirmi parte di esso.

 

E poi ancora rivedere con gli occhi della memoria

 

lontanissimo come da un cannocchiale rovesciato

 

me stesso bambino giocare in un cortile

 

e paragonarlo alla luna

 

distante anch’essa mille anni luce da me.

 

E continuare a rivivere nei ricordi

 

la spensieratezza della giovinezza

 

e nello stesso istante

 

dirigere lo sguardo verso l’azzurro del cielo

 

ammirare spazi infiniti

 

nuvole bianchissime come zucchero filato, mongolfiere in volo

 

Ridiscendere poi negli anfratti della mia memoria

 

e riscoprire la ragazza che ho baciato e amato

 

per la prima volta,

 

e confrontare la luce limpida dei suoi occhi

 

con quella delle stelle

 

o semplicemente della stella cometa.

 

Ricordare infine i dolci versi

 

scritti in tenerissima età

 

nella mia prima poesia,

 

immaginando di trovarmi

 

tra fiorellini di campo di vario colore,

 

solleticati dolcemente da un leggero venticello,

 

mentre uccellini nel nido assieme alla loro madre

 

e tanti piccoli animaletti festanti

 

tutti insieme

 

cantano la loro canzone alla primavera.

 

Capisco proprio in questi dolci momenti

 

di non essere solo

 

malgrado il tempo che passa

 

malgrado non abbia una compagna.

 

Intorno a me

 

vedo tutto un mondo magico

 

che pullula d’amore.

 

C’è tanta musica nell’aria che respiro

 

ed ora finalmente anch’io posso sentirla

 

e lasciarla entrare nel mio cuore.

 

Sono in simbiosi con l’universo.

 

 

 

SOLITUDINE UNIVERSALE

 

Uno spaventoso silenzio

 

avvolge tutto l’universo,

 

gli uomini come marionette di pezza

 

si susseguono nel tempo gli uni agli altri

 

e non nascono che per morire definitivamente.

 

Quanta gente nel corso dei secoli

 

mi ha soltanto preceduto!

 

uomini in carne e ossa proprio come me

 

col mio stesso sangue

 

con le mie stesse paure, le mie stesse speranze.

 

Hanno vissuto in tempi diversi

 

e per età differenti

 

ma di loro non è rimasto più nulla!

 

Dov’è l’uomo delle caverne?

 

e gli antichi Egiziani con le loro piramidi?

 

e i gloriosi Romani? e i pensatori Greci?

 

imperatori e papi, uomini comuni ed eroi

 

tutti scomparsi

 

nell’inesorabile scorrere del tempo.

 

Vorrei uccidermi subito

 

al solo pensiero che anch’io farò la stessa fine,

 

è strano come gli uomini

 

continuino a vivere con impegno

 

pur sapendo che dovranno morire,

 

anche se vivessero per cento anni

 

sarebbe sempre un soffio di fiato

 

rispetto all’eternità.

 

Ma poi mi consolo tra me

 

pensando che la solitudine non è solo mia

 

ma è presente in ogni angolo dello sconfinato universo

 

e non esiste gioia più grande

 

del sentirsi parte di questa immensità

 

pur consapevole della propria piccolezza

 

e piangere l’intima fragilità

 

in un pianto accorato e senza speranza.

 

Così mi nasce dentro un’emozione fortissima

 

che, anche se nata dalla disperazione

 

è pur sempre un’emozione

 

e subito dopo rido, rido e ancora rido.

 

Ormai più nulla ha valore per me.

 

Scopro la dolce ebbrezza del non senso,

 

non m’importa della seduzione della fede

 

né del ragionamento della scienza.

 

Sono totalmente felice

 

e la mia gioia scaturisce dalla mia solitudine

 

che ora riesco a proiettare nel cosmo

 

e la solitudine dell’universo

 

è la mia stessa solitudine

 

e mi dà conforto

 

mi rende grande.

 

 

TRISTEZZA

 

Tristezza di cose perdute

 

di voci, di grida, d’amore

 

è struggente la pena che sento

 

come una lama mi trafigge il cuore.

 

Addio nidiata di bimbi!

 

è tanto quel che mi rimane di voi

 

siete riusciti a far sparire il dolore

 

per sempre compagno di vita.

 

Sorridevo felice all’innocenza

 

di nascosto, nel silenzio, tra le ombre

 

in segreto e in perfetta armonia

 

entravate uno dopo l’altro in me.

 

M’illudo di avervi vicino

 

vedo i vostri corpi e li tocco, li sento

 

immagino che siate con me

 

nel pensiero più dolce ch’esista.

 

Ripiomba di colpo ogni cosa

 

in grembo all’eterno destino

 

i vostri visi risplendono come dolci memorie

 

e poi muoiono con un tremulo brillio.

 

 

 

SENSAZIONI

 

È tutta avvolta nel mistero e nella meraviglia

 

questa vita mia,

 

con genuino e infantile stupore,

 

della natura osservo ogni manifestazione

 

fino ad esserne rapito.

 

Con sensibilissima attenzione nel silenzio ascolto

 

le voci, i suoni

 

anche i più tenui,

 

delle piccole cose intorno a me.

 

Affascinato e curioso

 

percepisco la suggestione, la religiosità, il mistero

 

nascosti in esse.

 

Ai miei occhi non appaiono

 

sempre traducibili e afferrabili

 

ma sciogliendosi in musica, in sospiro

 

mi riempiono ugualmente l’animo d’immenso.

 

 

 

INFANZIA LONTANA

 

Storia d’una infanzia lontana

 

ricognizione di un mondo

 

pietrificato nei ricordi.

 

È il canto della memoria

 

che si eleva

 

è profondo, sentito, cercato.

 

In esso

 

si rincorrono

 

gli attimi che hanno lasciato una traccia.

 

Rivivono anch’essi

 

insieme alle cose, alle persone familiari

 

ai sogni di più remote stagioni.

 

La memoria mi appare così

 

come immagine sovrapposta al presente

 

e i suoi impulsi,

 

ritornando dal passato,

 

s’intrecciano sinfonicamente,

 

trovano una finale armonia.

 

 

 

 

SULL’ORLO DELL’ABISSO

 

Dimora in me

 

un continuo e sempre vivo bisogno d’innocenza

 

come memoria limpida, essenziale

 

non coperta da incrostazioni.

 

Tornano nella mia mente

 

lontane primavere, gigli appassiti

 

come visioni taciturne e distanti

 

e tra echi sepolti

 

in un urlo senza voce

 

cadendo vittima del segreto logorio della vita,

 

subisco inerme la vecchiaia

 

come qualcosa di ineluttabile

 

stagione ultima, cupa e persino squallida

 

in cui sopravvive solo la memoria.

 

Non è tanto l’immagine della decadenza fisica

 

dell’inarrestabile declino che mi colpisce,

 

quanto la fugacità, la brevità del tempo

 

lo spazio attraversato in un lampo da ogni cosa,

 

anche le immensità celesti

 

dove ho cercato quasi un punto focale

 

della mia esistenza.

 

Oggi sono immerso nella follia più lucida,

 

il mio mondo è l’irrazionale, sembra una maledizione o una profezia

 

il mio pensiero si muove sempre sull’orlo dell’abisso.

 

Non c’è più luce, non c’è chiarezza

 

nel mondo informe, tumultuoso del mio vissuto.

 

Mi sgorga dentro un’impressione d’inerzia, di passività

 

che traspare dalla contemplazione della natura,

 

ha il gusto del tempo e delle sue rovine

 

perché quest’ultimo, pur nella disperazione e nella malinconia,

 

è il solo che mia dia una qualche trepidazione

 

un’incertezza, una sorpresa.

 

 

 

 

IL MIO IO COSMICO

 

Vedo vivere e sfiorire intorno a me

 

inesorabilmente

 

le persone, le cose, le stagioni

 

preda d’un sentimento panico dell’universo.

 

Trovo conforto abbandonandomi nella natura

 

per dimenticare in essa la mia forma umana

 

accogliendo nel sangue

 

il brivido solare d’una vita pura.

 

Il mio io cosmico pone la propria oggettività

 

per poi tornare a se stesso

 

nel perpetuo flusso della vita.

 

Mi fondo nella natura

 

contemplando il momento in cui l’amore

 

sarà libero fuori dal corpo

 

per farsi cielo.

 

Sublimo l’anima con i sensi

 

ma non interrompo il contatto fisico col mondo.

 

Forse spero di trovare in fondo alla strada percorsa

 

il silenzio e la solitudine dell’universo

 

anche quando silenzio e solitudine

 

sembrano chiudermi e annientarmi.

 

 

 

SFACELO

 

Gioco artificiale e platonico di specchi

 

sempre mutevoli

 

con tante facce e tante luci,

 

non trovo il filo interiore

 

quello vero e profondo,

 

cado così nel gioco delle invenzioni

 

delle contraddizioni.

 

Una totalità non trovata

 

che rivela disagio, sofferenza.

 

Cerco rifugio altrove

 

senza sapere dove

 

ma ciò che mi rimane di questa umana fatica

 

è la coscienza di una prigionia

 

e mi sento rinchiuso nel cerchio delle mie abitudini, paranoie

 

che si avvicendano in modo sterile.

 

Sogno impossibili evasioni attraversato da sussulti e vertigini

 

invano lotto per non essere travolto dal tempo

 

ma l’amore mi appare perduto

 

tra la cenere dell’esistenza.

 

Archivio la memoria

 

come un mondo ormai passato per sempre

 

fatto di resti sospetti,

 

tracce che tendono a scomparire nel tempo

 

come carte antiche e indecifrabili

 

vere e proprie reliquie.

 

Sopra tutto questo sfacelo

 

aleggia sovrano il sentimento del tempo

 

che sfugge, che rovina, che travolge.

 

Non mi rimane

 

che una ragione stanca, ferita

 

al limite della resistenza

 

ma non vinta

 

che cerca in fondo alla dolcezza,

 

nella disperazione,

 

la speranza d’una morte amica.

 

 

 

LA LUCE DEL COSMO

 

Come per magia

 

il divino traluce

 

o affiora nei margini del mistero sovrasensibile

 

e la mia anima s’insinua

 

tra sensazioni terrene e misteri dell’essere,

 

nelle cose che l’occhio può scoprire mutate

 

in una luce e un suono

 

insospettato, nuovo, più profondo.

 

Sento nascere in me

 

il bisogno di illuminare con la luce del cosmo

 

le cose infinitamente piccole.

 

La mia anima così si fa largo

 

e nello spazio che mi creo

 

c’è il senso del tempo, del moto, del divenire,

 

e insieme del mistero

 

che avvolge il mondo delle mie sensazioni.

 

Entro in contatto

 

con tutto ciò che ignoro, intravedo, avverto

 

e soltanto in quell’istante,

 

sia pure con animo turbato,

 

riesco a capirmi.

 

 

 

PRESENZA VIVA

 

Momenti magici, favolosi

 

della mia infanzia,

 

ricordi evocati

 

da attimi di malinconia,

 

visioni incantate

 

della mia terra natìa.

 

Naufrago dolcemente

 

in un’infanzia che è ormai

 

il mito di se stessa,

 

e del dolore che l’ha portata via.

 

Pur tuttavia è suono, movimento

 

vita che trascorre.

 

Non la confronto con altri silenzi

 

con gli arcani mondi dell’immaginato

 

dello sperato, d’una irraggiungibile felicità.

 

Diventa invece voce intima del ricordo

 

presenza viva di qualcosa che passa

 

come echi, rintocchi.

 

Immersa nel tempo fluido

 

la natura come per magia

 

penetra nel tessuto della mia anima

 

e si fa poesia

 

ne scioglie i nodi, ne ispira i versi

 

è pianto che rasserena.

 

 

 

 

L’ALBA DELL’UOMO

 

Da un chiarore lontano

 

spunta l’alba

 

repentinamente

 

e colora di luce il nuovo mondo.

 

Intorno,

 

piante stecchite

 

animali selvatici

 

grotte e caverne buie.

 

Si svegliano anche gruppi di scimmie

 

sono nude come vermi della terra,

 

schiamazzano

 

litigano

 

si riuniscono.

 

Qualcosa sembra dire loro:

 

“Uniamoci

 

e combattiamo insieme”,

 

una battaglia che durerà nei secoli

 

sino alla fine dell’universo

 

se fine ci sarà.

 

 

 

MIA EVA

 

Mia Eva! Inizio della fine

 

sei tu la prima donna

 

l’origine delle mie perversioni

 

il pretesto per la mia follia

 

la madre dell’animale che è in me,

 

hai creato il mio istinto che ormai è morboso

 

il mio desiderio che è già sporcato.

 

Nel paradiso terrestre, trascinato indietro di mille secoli

 

io ti osservo nuda, allucinante visione,

 

misteriosa e invitante. Giochi con le armi della seduzione.

 

Dammi la mela ti prego, che aspetti?

 

voglio mangiarla!

 

è eccitante peccare

 

se tu mi sei vicina, nel pericolo mi sento al sicuro.

 

Dimmi dov’è il serpente, l’hai calpestato o no?

 

Voglio essergli amico e non mi farò esorcizzare.

 

Non mi importa di rimanere dannato per l’eternità

 

di lavorare, sudare e morire

 

di bruciare nelle fiamme dell’inferno,

 

l’importante è averti accanto.

 

Sei tu la causa del mio male

 

ma lo stesso male è ambiguo

 

cambia forma quando credo di conoscerlo.

 

Dal giorno che mangiasti quella mela

 

ogni uomo è sempre guidato

 

dalla follia d’una donna.

 

 

LA RIGENERAZIONE

 

Albero solitario

 

che mi aspetti in un campo di grano,

 

io ti vado incontro

 

e ai tuoi rami

 

mi appendo.

 

Ora sono appeso ai tuoi rami

 

e dondolo felice.

 

Tu ed io siamo un solo essere

 

una sola forma.

 

 

 

IL MIO FUNERALE

 

Come quando ci si toglie un abito

 

così avevo lasciato il mio corpo con i suoi pesi

 

ma ero vivo in una dimensione di immortalità e benessere.

 

Lento veniva trasportato

 

un corpo straccio

 

dentro quella bara

 

avara di ghirlande,

 

quel corpo era il mio

 

sì, ero io.

 

E quel carro funebre

 

attraversava le strette vie

 

che portavano a quel piccolo cimitero di collina

 

dove io fui sepolto

 

e riposo di già.

 

Scialli neri

 

vecchie facce coperte da veli

 

silenziosa processione,

 

dormiva mio padre

 

piangeva mia madre

 

quell’accompagnamento era il mio

 

sì, era il mio

 

ma io non capivo, ero felice fuori dal tempo

 

al di là dello spazio

 

e dall’alto osservavo stupito

 

quello strano spettacolo

 

sulla mia morte.

 

 

 

 

COINCIDENZE

 

Seguo una linea grandiosa

 

un’acutezza di senso

 

capace di rendere concreta

 

persino la fantasia.

 

E la visione

 

che parte generata dalla mia anima

 

si spande al di là degli orizzonti,

 

al di sopra delle piccole cose domestiche

 

ed è bellissimo

 

sentire come il senso dell’infinito

 

coincida fino a fondersi in uno stesso clima

 

con le cose più piccole.

 

 

 

NULLA È LONTANO

 

Grandezza e malinconia interiore

 

e povertà del mondo presente

 

ma la trasposizione mia

 

muta i termini del dissidio

 

ed è il bisogno di sognare

 

che rende grande l’opaco atomo terreno

 

illuminandolo di altre verità.

 

La fantasia ora avverte nel mondo

 

più segreti e profondi significati

 

dà immagine all’eco

 

si spande in altri mondi

 

si dissolve nell’immensità.

 

Ormai nulla è lontano dal mio spirito.

 

 

 

 

IL MARGINE SILENZIOSO DELLA MEMORIA

 

Nel margine silenzioso della memoria

 

che non è presente in me,

 

trovo rivelazioni e scoperte

 

un ricchissimo terreno umano.

 

La poesia restituisce alla vita

 

i nodi segreti

 

i ricordi assopiti

 

le reazioni più remote,

 

fa conoscere una nuova dimensione del reale,

 

a volte contro la ragione

 

a volte in armonia con essa,

 

sempre con libertà.

 

 

 

 

EGOISMO SOLITARIO

 

Sono il re

 

del mio egoismo solitario

 

che ha coscienza

 

soltanto per esprimerla in privato

 

in una totale esaltazione dei sensi.

 

Io non cerco più

 

un rapporto dialettico tra me e gli altri

 

e la mia concezione estetizzante della realtà

 

diviene dominio sulla folla,

 

forma una solitudine privata

 

dove il mio pene riaffiora docile tra le mie mani

 

fino a divenire una strana sensualità

 

fuori dai sensi

 

trasformata in un processo di spiritualizzazione.

 

 

 

ALLA DERIVA

 

È grigio il clima del perenne essere.

 

Tutto è caduto

 

le speranze perdute, le preghiere vane

 

le parole inutili, l’amore illuso

 

le primavere sfiorite, gli ideali mortali.

 

Ma non v’è più dramma in me

 

in questo continuo appassire e morire

 

ma completo abbandono.

 

Accetto di andare alla deriva

 

lasciandomi cullare dalla marea del tempo

 

in cui tutto si dissolve

 

fino a compiacermi del mio dolore.

 

È dolce sentirsi vittima, indifeso, inascoltato.

 

Capire che persino la vanità delle cose

 

diventa pura armonia.

 

 

 

VERRÀ POI LA MORTE

 

La mia vita passerà molto presto

 

drammatica e patetica

 

e con essa anche la sua ricchezza

 

fatta umana dalla fatica.

 

Il tempo,

 

un male che impoverisce la vita,

 

mi toglie ogni energia vitale,

 

il mio corpo senza speranza e senza salvezza

 

si rivolta, si risparmia, geme

 

s’illude ancora di strappare giorni, ore, minuti alla fine.

 

Ma vi è un altro male

 

subdolo e ancor più disperato:

 

quello di essere completamente solo

 

nell’umana comprensione di sé

 

costretto a tacere e fingere,

 

a rivedere il passato riflesso

 

nelle lacrime degli occhi che piangono

 

in un profondo bisogno di confidenze.

 

Triste appare allora il volto della memoria

 

come immobile silenzio che tende all’astrazione.

 

Verrà poi la morte del corpo

 

il distacco amaro.

 

 

 

LA MIA SOLITUDINE

 

Schivo mi stupisco di vivere

 

mi sento staccato ed incompreso

 

da tutti gli altri uomini.

 

Mi aggrappo agli scarti della vita

 

tutto il resto è inconsistente.

 

Non mi aspetto comprensione

 

né consolazione né tregua

 

consapevole della mia solitudine.

 

Ho scelto liberamente l’aridità e il deserto

 

e osservo le cose della vita

 

prosciugate e fisse

 

come simboli magici in una luce rarefatta.

 

 

 

LO STRAZIO D’ESISTERE

 

Urlo di masse

 

voci, passi, gesti

 

tra pietà curiosa e fanatismo,

 

irrazionale catena di incubi e fobie

 

ai margini dell’ossessione.

 

La personalità umana si lacera

 

il senso dell’alienazione incombe

 

la coscienza si smarrisce.

 

Spinto da una sofferenza solitaria e indecifrabile,

 

contagiato dalla multanime esistenza

 

affogo lentamente nel caos

 

e non ho scampo

 

se non nella perfetta solitudine.

 

 

 

LA MIA FOLLIA

 

L’infinita miseria della vita

 

la solitudine del mondo

 

la caducità della fama che passa.

 

E poi la morte delle persone care

 

l’incombente paura delle malattie

 

il continuo vagabondare senza pace dell’uomo

 

acuiscono la mia sensibilità

 

ma accrescono i sintomi della mia follia.

 

Cupe ombre di pazzia

 

si addensano minacciose su di me

 

travestite da un’atmosfera di lucida estasi.

 

È il dramma della mia ansia angosciante

 

la disperazione di tutto il mio essere

 

forse creato da Dio

 

ma poi lasciato a se stesso

 

privo d’identità, privo di vita

 

impossibilitato di comunicare

 

di capire e farsi capire.

 

 

 

 

LA MIA MODESTA FORMA UMANA

 

Ormai ridotto ad accettare la mia condizione

 

di uomo consapevole del proprio destino,

 

sento tristemente che la vita in me

 

invecchia inesorabilmente

 

che altri sentimenti, altre idee

 

mi nascono nell’anima,

 

che arte e vita procedono insieme,

 

e la poesia della mia vita solitaria

 

diventa essa stessa memoria.

 

Non è più la storia d’un uomo

 

che cerca l’illusoria grandezza dell’universo

 

ma semplicemente la povertà di chi

 

insegue soltanto la sua modesta forma umana.

 

Affido alla mia scrittura,

 

unico ed ultimo appiglio rimastomi,

 

la speranza di trovare ancora

 

punti luminosi sul mio cammino terreno

 

proiettandomi fin quando mi sarà possibile

 

e ne avrò ancora la forza,

 

nel tempo e nell’universale,

 

solo così la realtà della poesia

 

potrà apparirmi più ricca di significato

 

di quella della vita.

 

 

 

 

DESIDERIO D’INFINITO

 

Un sentimento dell’esistenza umanissimo

 

mi scorre dentro,

 

la mia spiritualità

 

è attraversata da malesseri sublimati

 

da torpori e da abbandoni,

 

trasalimenti e sofferenze confessate,

 

si distacca dalle cose terrene

 

diventa consapevole della fugacità umana,

 

è poesia per questo suo fluire

 

in mezzo alla vita

 

non ancora del tutto purificata

 

non ancora donata a una fede.

 

Le mie parole sono ultime gocce d’una vena

 

che ha già dato ciò che poteva dare.

 

La strada che porta alla bontà

 

mi libera dall’ansia

 

restituendomi un desiderio d’infinito.

 

 

 

 

LA FAVOLA DI UNA PICCOLA LACRIMA

 

Da una bimba e un pianto

 

nacque lei

 

piena di paure e ingenuità

 

chiara e trasparente

 

dai suoi occhi si affacciò

 

e da quelle ciglia sottili

 

piano piano scese giù.

 

Attraversò quel viso

 

dai lineamenti dolci

 

pulito di bambina

 

e per il mondo

 

sola sola

 

s’incamminò.

 

Ma era troppo ingenua

 

non conosceva il male

 

e la sua vita

 

era già in pericolo.

 

E passarono in fretta gli anni

 

e anche le stagioni

 

venne presto l’inverno

 

portando con sé la pioggia.

 

Tante grandi gocce

 

cadevano giù dal cielo

 

tutte insieme,

 

erano prepotenti

 

si spingevano tra loro

 

si bisticciavano.

 

La dolce lacrima ben presto

 

si trovò sommersa

 

cercò di ribellarsi

 

ma era troppo buona

 

e non aveva la forza.

 

Così per non morire

 

pensò di tornare

 

dentro quegli occhi

 

dov’era nata.

 

Sola e stanca

 

cercò quella bambina

 

la cercò dovunque

 

e la trovò alla fine.

 

Ma era ormai cresciuta

 

non era più bambina

 

il suo viso era truccato

 

non si ricordò di lei

 

e la cacciò via con forza.

 

Così la povera lacrima

 

restò proprio sola

 

in balìa di tutti

 

senza alcuna difesa.

 

Vagava per il mondo

 

ignorata da chiunque

 

sembrava invisibile

 

trasparente

 

proprio come una lacrima.

 

E venne il sole

 

e con la sua luce

 

forte forte

 

la illuminò.

 

Ma era ormai vecchia

 

allo stremo delle forze

 

e lentamente

 

si sciolse da sola.

 

Finisce così

 

la sua insignificante vita,

 

la sua insignificante storia

 

e nel silenzio,

 

la gocciolina

 

muore.

 

Così è il mio destino

 

la storia di quella piccola lacrima

 

è uguale alla mia.


in foto: Claudio Cisco4928_117750504017_1745127_n

Apr 20, 2018 - Senza categoria    Commenti disabilitati su COME SONO DENTRO (Claudio Cisco)

COME SONO DENTRO (Claudio Cisco)

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R I S U S C I T A M I

Maestro, ho tanto bisogno di un miracolo

trasforma la mia vita e tutto in me

da tempo non vedo più la luce

hanno spento già la mia gioia di vivere

umiliato la mia speranza,

vedo i miei sogni cancellati tristemente

lacrime di solitudine bagnare i miei occhi.

Maestro, non ho altro che io possa fare

solo tu hai tutto il potere,

sono seppellito come Lazzaro in questo sepolcro di disperazione

c’è un macigno che Satana ha messo davanti.

Maestro, chiama il mio nome ti prego

ascolterò con fede inginocchiato la tua voce

rimuovi la pietra delle mie paure e chiamami ad uscire

fai rivivere i miei sogni: liberami!

Sospinto dalla fede che c’è in te

sicuro d’una vittoria che tu solo dai

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ALBA

 

Alba!

 

tu stai sorgendo,

 

silenziosa brezza nell’aria,

 

leggiadre ali intorno.

 

Alba!

 

tu stai spargendo

 

il tuo colore

 

sul mare

 

addormentato.

 

La tua pace

 

mi sta

 

cambiando.

 

La mia anima,

 

svegliandosi,

 

si sta aprendo all’amore

 

verso l’infinito.

 

Io sento

 

che sto per nascere

 

sì,

 

lo sento,

 

io sto nascendo.

 

 

 

IN SILENZIO

 

Io e te,

 

mano nella mano,

 

camminiamo verso il sole

 

guardandoci in silenzio.

 

Le nostre orme sono raggi di luce,

 

nel loro chiarore, riflesso,

 

osservo il tuo viso dolcissimo

 

che m’incanta, in silenzio.

 

Siamo solo noi due,

 

creati l’uno per l’altra,

 

rapiti da questo sole immenso.

 

Un amore senza fine grande più di noi

 

ci trascina via lontano

 

e tu esisti ormai dentro di me

 

ti sento in ogni parte del corpo,

 

tu sei l’aria che sto respirando,

 

sei la mia stella che brilla nel cielo.

 

Vicinissimi, avvolti dal calore,

 

noi ci amiamo sfiorandoci in silenzio.

 

Siamo in viaggio da qui all’eternità,

 

eroi di un sogno in questo breve vivere,

 

non svegliamoci mai,

 

ed ora, in quest’istante magico,

 

tu ed io siamo un solo essere,

 

non so più dove finisci tu e comincio io,

 

dove si dilegua il sogno e appare la realtà,

 

ora tutto acquista un senso

 

e finalmente scopriamo insieme

 

che c’è qualcosa di noi,

 

un motivo per vivere.

 

Non siamo più soli,

 

finché mi starai vicina, saprai tutto di me,

 

avrai il meglio di me stesso

 

e tu con me sarai sincera.

 

Stringimi la mano più forte,

 

sei l’unico scudo tra me e il mondo,

 

ho bisogno di te per non morire.

 

 

 

PRIMO AMORE

 

Un’ondata improvvisa di luminosi ricordi

 

sommerge per un attimo i duri scogli della mia realtà

 

e la schiuma che ritorna al mare,

 

lascia un immenso prato verde

 

ricamato morbidamente dalle esili mani della primavera

 

e in quel giardino, d’incanto,

 

sbocciarono fiori di mille colori e ali dorate di farfalle,

 

lì v’era un bimbo che inseguiva felice il volo d’un aquilone

 

ed una bambina

 

che sfogliava dolcemente i petali d’una margherita.

 

Era bello correre insieme a lei, mano nella mano,

 

tra le spighe di grano più alte di noi

 

e l’azzurro del cielo che sembrava così vicino, non finire mai,

 

saltellare a gara con i cerbiatti,

 

e seduti in riva al ruscello,

 

gettare ramoscelli sull’acqua per vederli galleggiare dolcemente

 

e all’imbrunire, sudati e sporchi di terra,

 

scappare sul colle più alto

 

ed osservare il volo libero di stormi di gabbiani su oceani limpidi,

 

aspettare in silenzio l’arrivo dell’arcobaleno con i suoi mille colori

 

e lì: “Io ti voglio bene anche se non so baciare” le dissi

 

col cuore che batteva forte come un uragano,

 

lei sorrise, mi baciò la guancia

 

e sbocciava così il mio primo amore

 

mentre una cicogna volteggiava in festa per me.

 

Ed ora, proprio in quest’istante mentre ti bacio amore mio,

 

io rivivo l’emozione d’allora,

 

la stessa gioia ti giuro, lo stesso candore

 

e quanti ricordi ancora vorrei rivivere con te,

 

non più da bambino, ma da uomo ormai,

 

quante piccole emozioni nascoste in fondo al mio cuore

 

vorrei regalarti!

 

quanti segreti avrei da svelarti!

 

Ma tu … tu non capiresti mai

 

perché non so capirmi neanch’io

 

e non so come mai stai con un ragazzo come me

 

che ha ancora quei prati vergini nell’anima,

 

che resta sempre solo anche se tu sei qui vicino a me

 

pronta ad amarmi: che buffo!

 

Ti prego non dirmi che sono un bambino

 

anche se non so far l’amore,

 

anche se il mio mondo è ingenuo.

 

Tu mi sorridi e sfiorandomi la mano, mi dici:

 

“Non esiste al mondo ragazzo migliore di te”.

 

Amore mio,

 

io ti amo per non sentirmi solo,

 

per sorridere e volar via,

 

per vincere la paura che c’è in me,

 

per fermare la mia giovinezza che va via.

 

Amore mio,

 

è così naturale essere felici,

 

come mai la gente non lo sa,

 

non mi crede!

 

 

 

 

DOLCISSIMA STELLINA

 

Dolcissima Stellina,

 

timida come un pallido sole dietro le nuvole,

 

tenera come un piccolo usignolo addormentato sul nido,

 

dal sorriso luminoso e fresco come stilla di rugiada

 

tu sei per me il sogno d’una notte incantata,

 

l’effimera illusione d’un amore irrealizzabile.

 

Sei in questo mio vivere terribilmente oscuro

 

come una luce fioca

 

che da lontano cresce… cresce… fino ad abbagliarmi l’anima

 

col tuo modo di muoverti sublime come ali di cigno

 

e la tua voce melodiosa come cori di augelli.

 

Lacrime lucenti di gioia

 

brillano adesso nei miei occhi.

 

In un attimo tu hai riempito di bello il mio cuore,

 

dipinto di sogno la realtà

 

ed io non vorrei mai più svegliarmi da questo momento magico.

 

Sembra quasi d’averti già conosciuta tanto tempo fa

 

in qualche sogno lontano chissà dove

 

e se guardo attentamente nel fondo dei tuoi occhi,

 

scopro in essi l’infinito vibrare

 

e tu ed io uniti che voliamo via sempre più su senza limiti,

 

dileguandoci come due gabbiani liberi verso l’orizzonte.

 

Restano ammutolite nel mio silenzio magico

 

mille parole, mille sensazioni

 

che sento ma non riesco ad esprimerti,

 

non so come spiegartelo

 

ma avverto dentro, qualcosa d’indefinibile, mai provata prima,

 

meravigliosamente reale al tempo stesso:

 

un bene prezioso e profondo sommerso in me stesso

 

come il rosso corallo negli abissi del mare.

 

Da una vita sono in cerca di te

 

ma tu sei più di quanto aspettassi.

 

Dolcissima Stellina

 

Abbi cura di te, ti auguro di non cambiare,

 

resta quel germoglio che sei adesso.

 

Non gettare al vento il fiore della tua giovinezza,

 

non smarrire col tempo la purezza dei tuoi sguardi,

 

l’armonia d’ogni tuo gesto

 

perché solo tu riesci a sorridermi con gli occhi,

 

hai in te qualcosa in più che appartiene solo agli angeli:

 

che ne sarà mai del tuo viso innocente e pulito

 

quando, domani, cadranno le lacrime degli anni?

 

e quel giorno, ora tanto lontano, ti ricorderai di me?

 

Addio mia dolcissima Stellina!

 

avrei voluto darti molto di più

 

tornando adolescente insieme con te nel tuo mondo

 

ma sono dai tuoi anni

 

ormai disperatamente lontano.

 

Ti lascio in questa poesia

 

il mio ricordo di ragazzo solo come te

 

ed ogni volta che la leggerai, d’incanto,

 

non esisteranno più barriere né distanze tra noi due,

 

io, di colpo, rinascerò in te

 

e tu, specchiata nella mia anima,

 

sarai qui vicino a me.

 

 

 

 

BELLA MESSINA

 

Come chiave d’oro che apre al paradiso,

 

Messina spalanca la porta alla Sicilia perla incantevole.

 

Bella Messina,

 

che si lascia corteggiare da due mari,

 

contemplata dall’alto dalle sue montagne,

 

sempre spettinata dal vento,

 

bagnata dal mare ed asciugata dal sole,

 

Messina presa per mano dalla Madonna.

 

Bella Messina

 

quando dondola dolcemente le navi del suo porto,

 

quando incoraggia e protegge il sudato lavoro dei suoi pescatori,

 

quando saluta piangendo ma aspetta con ansia

 

il ritorno d’un suo figliuolo che s’allontana senza lavoro,

 

quando, nelle sue ville, accompagna il lento andare d’un vecchio,

 

guarda commossa gl’innamorati delle sue panchine,

 

gioca trasformata in bambina con i suoi piccoli.

 

Bella Messina

 

quando si tinge di giallorosso dietro la sua squadra,

 

quando si pavoneggia per accogliere i forestieri,

 

quando, tutta parata, si trucca con i colori della vara

 

ed il mito dei Giganti,

 

divertente e scapestrata come il suo dialetto.

 

Messina lunga donna dagli esili fianchi

 

con gli occhi blu come il suo mare

 

ed i capelli d’oro come il sole delle sue spiagge,

 

baciata sulla superficie del mare da mille gabbiani,

 

che col suo stretto maliziosamente s’avvicina

 

senza lasciarsi toccare,

 

Messina che all’alba apre gli occhi sul mare

 

e di notte s’addormenta sotto un lenzuolo di mille luci.

 

Messina solare dalle ali libere verso l’orizzonte

 

con gli occhi luminosi mai annebbiati,

 

sposa d’un clima ch’è armonia in ogni stagione,

 

Messina che con frutti e fiori profuma di primavera.

 

Bella Messina

 

defunta ma risorta dopo il 1908,

 

Messina che vuole andare avanti,

 

che non vuol morire più,

 

vestita ormai di abiti sempre più moderni.

 

Bella la mia Messina

 

è la mia terra, la mia città,

 

qui sto bene, sono felice.

 

Ogni sua strada, ogni sua via

 

è casa mia, il mio giardino.

 

In lei sono nato

 

ed in lei voglio morire.

 

 

 

 

TU BAMBINA

 

Tu bambina, tu semplicità,

 

tu gioia e serenità, tu l’infinita innocenza.

 

Tu che vivi felice i giorni della tua giovinezza,

 

tu che ti affacci con paura alla tua adolescenza.

 

Dai tuoi occhi traspare ancora

 

la magia di un mondo che sa di fantasia

 

e chissà se il tuo piccolo cuoricino

 

riuscirà ad esprimere ciò che sente dentro.

 

È sbocciato adesso un amore

 

e forse stai provando qualcosa che non hai mai provato prima,

 

sarà per te il primo dolore

 

ma sarà dolce lo stesso come il succo d’una caramella,

 

e le prime lacrime

 

avranno ancora lo splendore della tua innocenza.

 

I tuoi pensieri sono di amori fugaci,

 

i tuoi giochi tenere primavere

 

e tu ora dondoli spensierata nell’altalena dei tuoi desideri

 

come quando stringevi la tua bambola

 

che hai perso ormai.

 

Dipingerai di sogno i tuoi giorni,

 

colorerai d’arcobaleno persino i tuoi disegni

 

e li annoterai dolcemente nel tuo caro diario.

 

Vorrei regalarti una vetrina e riempirla dei tuoi sentimenti

 

così chiunque, sostando lì,

 

scoprirebbe la ricchezza che hai dentro.

 

Crescerai in fretta e non mi vedrai più con gli occhi di bambina

 

so che ti perderò per sempre.

 

Mille ed infinite parole non bastano a descriverti,

 

mille ed infinite poesie

 

non potranno farti capire quanto sei importante

 

ma quello che provi dentro non crescerà mai,

 

servirà a farmi rivivere ricordi di adolescenze perdute.

 

Con te bambina

 

correremo insieme e voleremo via lontano

 

verso nuovi orizzonti,

 

lì, resteremo per sempre

 

anche se dovrò dirti mille ed infinite volte: “Tu bambina”.

 

 

 

 

LA FINE DELLA CICOGNA

 

Un serpente velenoso

 

s’insinua vischioso nel mio giardino d’infanzia,

 

due mani sporche di fango,

 

maliziosamente,

 

rubano al mio impubere corpo l’innocenza.

 

Sui miei occhi appena aperti

 

calano inesorabili ombre senza più luce.

 

I sorrisi ingenui delle fate

 

divengono tentacoli della paura.

 

Muore sbocciando quel fiore reciso

 

che non crescerà più.

 

Mi hanno ucciso la cicogna

 

e con lei anche Gesù Bambino.

 

 

 

NOSTALGIA

 

Le inquietudini del mio primo bacio

 

e poi le affascinanti scoperte intime,

 

i primi turbamenti,

 

quei peccati d’una età che non torna più,

 

scomparsa per sempre.

 

E tu sorellina timida timida

 

ed io fratellino impacciato e buffo,

 

tra sguardi e silenzi ci spiavamo dentro l’anima,

 

imparavamo ad amare.

 

Cerco invano di ricreare quegl’innocenti momenti intensi,

 

provo con la fantasia a tornare bambino

 

insieme con te nella poesia di quel nostro magico mondo,

 

mi ritrovo il fantasma d’un uomo

 

già inesorabilmente invecchiato.

 

Quelle due giovani creature

 

ora son come cristalli di ghiaccio d’un viso d’inverno.

 

Quell’antica primavera

 

è ormai neve e gelo.

 

 

 

RICORDO D’UNA RAGAZZA SCOMPARSA

 

Le serate passate sulla nostra scogliera,

 

il bacio lì, in riva al mare

 

col tramonto che ascoltava le nostre anime

 

mentre il mare suonava la nostra canzone.

 

Tanti ricordi, tanti momenti felici,

 

tanto amore.

 

È questo che vorrei gridare in silenzio

 

ma a che serve ora che non ci sei più?

 

La tua vita è stata troppo breve

 

come il nostro amore.

 

Forse il tuo compito

 

era farmi provare un sentimento nuovo per me: l’amore

 

per poi scomparire come un angelo.

 

Sei salita al cielo

 

ed ogni notte, piangendo,

 

cerco di vederti tra le stelle.

 

Addio per sempre!

 

 

 

SPERANZA

 

Nel buio della mia solitaria esistenza,

 

proprio sul punto di smarrirmi,

 

vorrei improvvisamente incrociare la luce dell’amore,

 

tra mille volti riconoscere il tuo soltanto,

 

e come un bambino,

 

di colpo,

 

scoppiare a piangere di gioia.

 

 

 

 

VIAGGIO NELL’ANIMO MIO

 

Muta di parole e sguardi,

 

la mia mente vaga lontano in penombra

 

dove il pensiero non ha confini

 

e tutto può sembrare reale.

 

Così, col bisogno del ricordo e del pianto,

 

penso al mio passato e alla sua perduta giovinezza,

 

al mio presente fatto di tempo fuggente,

 

al mio futuro sconosciuto ed incerto nelle sue mille paure.

 

Quanta dolcezza nel guardarsi dentro e perdersi in sé stessi!

 

Quali emozioni

 

nel vagare libero tra solitudini e silenzi profondissimi!

 

Mi scuoto

 

e lentamente mi desto da un viaggio

 

nel profondo della mia anima,

 

del mio essere così fragile, così indifeso

 

rispetto alla grandiosità della mia vita.

 

 

 

 

 

VOLO

 

 

Ho aperto i miei occhi, liberato la mia mente

 

sfidando tutti i miei limiti,

 

ho lasciato alle spalle gabbie, catene,

 

labirinti, muri insormontabili,

 

e quell’uomo morto ch’ero ieri

 

e che oggi non riconosco più,

 

fino a ridere della mia disperazione del passato,

 

persino la morte sembra inchinarsi

 

alla mia nuova voglia di vivere.

 

Dentro di me

 

l’oscurità s’è trasformata in un riverbero di luce,

 

nell’anima esplode

 

l’incredibile forza dell’amore verso la vita.

 

Vedo nuovi orizzonti

 

distendersi davanti ai miei occhi.

 

Intorno a me

 

spazi infiniti m’invitano a raggiungerli.

 

Tutto è ancora da scoprire

 

e mi sta aspettando,

 

e con l’entusiasmo di un bambino,

 

m’accorgo per la prima volta,

 

quanto sia meraviglioso vivere.

 

Non ho più paura ormai.

 

Solo,

 

con il vento in faccia,

 

apro le mie ali

 

e mai più mi fermerò.

 

Finalmente adesso volo.

 

 

 

RICORDI

 

 

Si dirada come per incanto

 

la nebbia che mi avvolge

 

e s’apre d’improvviso il cielo

 

col suo manto azzurro,

 

torno a ritroso nel tempo in seno ai miei ricordi

 

come alghe marine che succhiano caute mammelle di roccia.

 

Mi vedo a otto anni

 

quando avevo un’amica soltanto

 

che volevo bene come sorella.

 

Ricordo ancora come fosse ieri

 

i suoi capelli neri a boccoli

 

che le coprivano quell’esili spalle

 

come schiuma del mare accarezza gli scogli.

 

Era una bambina orfana

 

e la sera, quando andava a dormire,

 

si addormentava con due pupazzi vicino:

 

un orsacchiotto grande suo padre, una Barbie la madre,

 

aveva un segreto, teneva quei pupazzi sotto il cuscino.

 

Mi chiedeva spesso:

 

“Come mai le tue poesie son tristi e tu non ridi mai?”

 

non sapevo mai risponderle.

 

Da grande sognavo già di sposarla,

 

le dedicavo poesie e come per magia il suo caro viso spariva

 

ed io mi vedevo in un teatro affollato

 

con tanta gente in piedi ad applaudirmi.

 

A quindici anni

 

evitavo i compagni, i giochi e le feste

 

e restavo da solo per ore

 

ad osservare la distesa infinita del mare,

 

una voce dentro mi ripeteva sempre:

 

“I sogni non muoiono mai”.

 

Cercavo la libertà,

 

mi chiedevo se nell’universo esistesse qualcuno simile a me,

 

immaginavo di volare via per scoprire il mondo

 

senza ritorno, senza fermarmi

 

come un’onda senza mai una spiaggia

 

ed i miei occhi ragazzini curiosi e attenti,

 

si perdevano in lontananza,

 

laggiù dove si disperdeva il mare oltre l’orizzonte.

 

Son diventato uomo troppo in fretta

 

e non riesco più a sognare.

 

Cerco ancora l’arcobaleno d’allora,

 

trovo le inquietudini di adesso.

 

La speranzosa attesa d’un tempo,

 

le antiche illusioni,

 

come oggetto prezioso caduto per terra

 

e frantumato in mille pezzi,

 

sono morte e crollate inesorabilmente

 

nell’amara consapevolezza del nulla che mi circonda.

 

Ma perché bisogna dire addio

 

sempre alle cose più belle?

 

alle delizie che promette ma non concede la vita?

 

Rassegnati animo mio,

 

le tue domande non conosceranno mai risposte!

 

 

 

 

IL TRENO DELLA VITA

 

 

E il treno corre,

 

corre lontano sui binari della vita,

 

lungo la strada del mio dolore.

 

Va via velocemente

 

proprio come i miei anni,

 

il mio tempo che scorre.

 

Dai vetri del finestrino il quadro cambia sempre

 

vedo montagne invalicabili di paure,

 

pianure non più verdi di speranze invecchiate,

 

laghi salati di pianto amaro.

 

Vedo fiumi, violente cascate trascinare via tutto quanto,

 

mari in tempesta come i miei pensieri irrequieti.

 

Vedo gallerie coprire il sole come i miei momenti bui,

 

prigioni di tanti limiti ed arrese,

 

miraggi di felicità nei deserti della mia esistenza,

 

il cielo dove non ho mai volato,

 

lontane isole esplorate solo nei sogni,

 

nebbia lontana e foschie senza amore, senza fortuna

 

e poi

 

file di alberi e nuvole passare come un susseguirsi di emozioni,

 

paesi e città fuggire malinconicamente come i ricordi più belli,

 

prati verdi dove correvo sull’erba da bambino,

 

rivedo mia madre aspettarmi a braccia aperte,

 

odo nel vento la sua voce che mi chiama.

 

Il treno corre

 

la sua corsa senza fine

 

senza ritorno, senza fermate

 

ed io via con lui

 

m’allontano sempre più senza sapere dove andrò,

 

certo di perdermi solo

 

come un vagabondo senza famiglia.

 

Addio casa mia d’infanzia!

 

Addio amici della mia adolescenza!

 

Addio giovinezza perduta per sempre!

 

Quanta struggente nostalgia mi avete lasciato!

 

Com’è triste non poter tornare indietro!

 

Ma perché la vita è una corsa continua?

 

Perché la fine di un viaggio non c’è mai?

 

Mi fermerò soltanto

 

quando giungerà l’autunno con la sua folata gelida,

 

come foglia ormai ingiallita,

 

sarò strappata dal mio albero,

 

trascinata nel vento.

 

 

 

 

 

LA FRASE PIÙ BELLA

 

 

“Se per gli altri ormai sei grande

 

per me resterai sempre il mio bambino”.

 

È la frase più bella che mi hai detto

 

e che da sempre avrei voluto sentire.

 

È un pensiero profondissimo,

 

a tal punto che neanche tu puoi capire quanto.

 

Forse è Dio che ti ha ispirato

 

per rendermi felice.

 

Tu mi hai gettato in mare un’àncora di salvezza

 

dove io mi aggrappo con tutte le mie forze per non annegare

 

e trovo le mie poesie, il tuo amore per me.

 

Nessuno malgrado i propri sforzi

 

è mai riuscito a cogliere la mia ricchezza interiore,

 

la mia sensibilità profondissima, la mia particolarità,

 

il mio disperato bisogno d’amore.

 

È solo riuscito a intravedere

 

come sono dentro

 

ma in lontananza

 

senza mai percepirmi a fondo.

 

In questo mondo dell’immagine

 

l’apparire conta più dell’essere

 

anche perché spesso l’essere non c’è.

 

Amante della solitudine e della tenerezza,

 

senza nessuno che mi somigli,

 

cerco da sempre

 

un’anima che mi comprenda.

 

 

 

 

ATTRAVERSANDO IL SOLE

 

 

Da questo carcere,

 

chiuso dietro le sbarre,

 

vedo il sole uscire dai monti.

 

La sua luce m’abbaglia.

 

Continuo ad osservarlo

 

con l’anima aperta alla speranza

 

ed i miei occhi rimbalzano sul suo splendore

 

e vanno su te

 

che sei così tanto lontana

 

al di là della mia immaginazione.

 

Ti vedo riflessa nel sole in controluce.

 

E tu puoi guardare me.

 

Tu ed io alle due estremità d’una scia luminosa

 

che ci avvicina passo dopo passo

 

unendoci sempre più.

 

Ci veniamo incontro

 

percorrendo raggi di luce.

 

Ora tutti sono morti,

 

sono più vecchi

 

ma noi due siamo ancora insieme nell’aria

 

come bambini

 

attraversando il sole.

 

Ho cercato a lungo qualcosa che non c’è

 

bastava semplicemente che guardassi il sole.

 

Dalla sofferenza scaturisce il carburante per la rinascita!

 

Non occorre essere in carcere per sentirsi prigionieri

 

dentro di me mi sento adesso libero,

 

il male ha finito di avermi in pugno: è inefficace.

 

È l’ultimo atto del suo progetto diabolico.

 

Il demone ora trema ed è lui ad aver paura di me.

 

 

 

 

PREGHIERA D’UN’ANIMA IN PENA ALLA LUNA

 

 

Luna,

 

tu muta e bianca

 

sul destino degli umani

 

posi silente lo sguardo.

 

Solinga e distante,

 

sorella del buio e delle ombre,

 

non ti diletti e non piangi

 

ma taci,

 

osservi e sempre taci.

 

Eppure chi può dirmi se non tu sola

 

se è per natura perdente l’umana sorte

 

o se riposerà alfin ciascun mortale

 

e avran sollievo le sue notturne paure?

 

Vorrei chiederti o mia cara luna

 

a che serve vivere

 

e dove porta questo terreno viaggiare,

 

per cosa si arresteranno i battiti del mio cuore?

 

Ma tu mi appari misteriosa e vana

 

come lo è tutta l’esistenza umana

 

senza risposte, né certezze,

 

incurante della mia anima che anela, brama di sapere.

 

Io fragile essere, piccolo e limitato

 

tu immortale creatura d’uno sconfinato universo,

 

eppure quanta grandezza nell’umano spirito

 

nel desiderare l’infinito pur comprendendo la propria piccolezza!

 

Silenziosa luna presto dovrai andar via,

 

l’alba si sta svegliando,

 

la terrena notte illuminerai nuovamente alla fine del giorno

 

ma gli occhi del mortale uomo rivedranno ancora luce?

 

e le piante e gli animali tutti qual destino avranno?

 

Luna

 

musa ispiratrice di poeti e cantanti,

 

meta irraggiungibile di sogni lontani,

 

compagna notturna di viandanti e zingari,

 

lascia che io alzi lo sguardo fino a te,

 

ultima sconsolata preghiera d’un’anima in pena.

 

Tu luna vegli sopra uno strano mondo

 

fatto di pazzi.

 

Qui non c’è amore né comprensione

 

ed io non voglio più starci.

 

Un immenso buio

 

ha schiuso le ali sul mondo

 

e sul cuore degli uomini,

 

e questa notte sembra non aver mai fine.

 

Addio anche a te luna!

 

la mia solitudine è ormai segnata

 

in un presagio di morte

 

che prelude al pianto.

 

 

 

 

SOGNO

 

 

Io cerco

 

quel che non esiste

 

e che nel nulla svanisce

 

in un effimero sogno.

 

 

 

 

IL MISTERO

 

 

Rapito dal tuo vortice

 

sto scrutando il tuo cielo infinito,

 

volteggiando nel tuo vento impetuoso,

 

naufragando nel tuo mare in tempesta,

 

sprofondando nei tortuosi meandri della mia mente,

 

ma sto solo impazzendo

 

perdendomi in un labirinto enorme.

 

Scopro l’ignoranza della scienza.

 

Smarrisco la mia fede.

 

Rimango spaventosamente affascinato.

 

Sulla riva un bimbo col suo secchiello

 

vuol prendere un pò alla volta tutto il mare.

 

 

 

MORTE SOLITARIA IN UN CIMITERO DESERTO

 

 

Odore di morte, ricordi segnati da croci,

 

paura angosciosa, solitudine senza fine,

 

tristezza cupa, silenzio assopito,

 

pianti accorati, rosario di dolore.

 

Lumicini ardono, crisantemi ornano le tombe,

 

fotografie di gente che non è più,

 

ombre vaghe di cipressi,

 

aria che trema di fiamme e di preghiere,

 

io che diverrò cenere, sarò ombra di nulla,

 

niente rimarrà di me:

 

e quale conforto potrò avere,

 

perduto tra volti sbiaditi di fotografie d’epoca,

 

dagli occhi tristi dei posteri?

 

Una bimba inginocchiata su una tomba,

 

col cuoricino infranto e gli occhi che s’apron a stento,

 

unisce le sue labbra e per due volte le dischiude

 

supplica e singhiozza un nome santo,

 

il nome della sua mamma.

 

Un angelo sceso dal cielo

 

su lei schiude le ali,

 

e non visto,

 

nelle mani raccoglie quelle stille viventi per il suo Signore.

 

Io, smarrito, da solo,

 

come un uccellino spaurito,

 

vado per le vie di un cimitero deserto.

 

Con la mente nel buio

 

cerco la mia tomba.

 

Quì dentro tutti mi somigliano

 

loro morti davvero, io defunto dentro,

 

con i morti ci so stare.

 

Io muoio pian piano così

 

nel triste rosario delle cose che non han ritorno

 

ma tutto rimarrà com’era,

 

la mia vita è inutile,

 

nessuno mi ricorderà,

 

nessuno s’accorgerà che sono andato via.

 

Io solo nella vita,

 

io solo con la morte addosso.

 

Tomba abbandonata in un angolo oscuro,

 

faccia sbiadita dal pianto,

 

occhi già ciechi nel buio,

 

rughe sul mio viso ancora giovane.

 

Anima mia stanca, ricordi che non avuto mai,

 

sogni svaniti nel nulla, speranza affievolita dal tempo,

 

amore che non mi riscalda più, giovinezza che non è più mia,

 

morte che mi viaggia accanto.

 

Questo son io, altre parole non servono.

 

Eppure la voglia di gridare,

 

di ridere forte, di spaventare la morte,

 

c’è ancora dentro me.

 

Eppure sono figlio della luce, brillo sotto il sole,

 

ho ali per volare, un cuore per amare,

 

una mano tesa ancora c’è,

 

ma il mio sangue è fragile per vivere, troppo fragile!

 

getto via l’acqua pur assetato di vita

 

e chissà, forse qualcuno mi capirà,

 

mi darà il suo sorriso, mi salverà.

 

No, il buio, no!

 

Ma poi torno in grembo all’eterno destino.

 

Il tempo è crudele con me,

 

mi strappa via dalle cose che sentivo più mie.

 

La vita è una corsa inarrestabile,

 

gli anni scivoleranno su me ed io non potrò più fermarli,

 

so bene che soffrirò, invecchierò,

 

piangerò tanto, morirò.

 

Aspetterò in silenzio,

 

questo tempo nemico della bellezza sciuperà il mio corpo,

 

trascinerà via la mia ultima fiamma,

 

disperderà ogni mia speranza,

 

qualcun altro la raccoglierà.

 

Tutto fugge e va via veloce portando via anche me

 

ed io mi accorgo che non mi resta niente,

 

forse solo una lacrima perduta

 

in fondo al mio cuore,

 

forse solo il bene che ho dentro

 

che mi fa amare di più.

 

Ed io sto male

 

e piango in silenzio nel buio della notte,

 

nascondo nel pianto la mia poesia.

 

Signore,

 

ho un vuoto dentro

 

e in questo vuoto non ci sei tu,

 

dammi la forza di supplicarti ancora,

 

di chiederti amore.

 

Non desidero successi e ricchezze terrene, solo la tua presenza in me.

 

Le mie parole in una preghiera,

 

volano in cielo

 

e fanno piangere Dio.

 

Signore, ma come faccio ad essere così cieco

 

tu sei davanti a me

 

ed io continuo a dirti “non ti vedo”.

 

Ho perso tutto ma posso ricominciare con te ritrovando me stesso.

 

 

 

 

NULLA ETERNO

 

 

Non vi fate sedurre,

 

non esiste ritorno,

 

non c’è nulla dopo,

 

morrete come tutte le bestie

 

divorati da vermi.

 

 

 

 

COME IN UN INCUBO

 

 

Penso agli anni della mia giovinezza

 

che mi sono lasciato alle spalle

 

e, per nostalgia,

 

mi viene una gran voglia di piangere

 

e un terribile timore d’invecchiare e di morire.

 

Mi sento dentro

 

terribilmente solo e smarrito

 

con una forte e struggente

 

paura nell’anima,

 

come in un incubo

 

dal quale non posso svegliarmi o fuggire.

 

Qualcosa che non riesco a scacciare

 

mi opprime e tormenta

 

ma non so cosa sia

 

contro cosa combattere,

 

lentamente mi succhia l’energia.

 

Il tempo che mi rimane davanti,

 

oscuro e minaccioso,

 

è una clessidra di morte

 

che m’avvicina sempre più alla fine

 

inesorabilmente.

 

 

 

 

QUESTA VITA BREVE

 

 

Non camminare piano

 

quando puoi correre,

 

e non ti accontentare

 

se ti accorgi che puoi volare,

 

e non restare muto

 

quando puoi gridare.

 

Ascolta la voce della natura

 

e piangi quando hai voglia di farlo.

 

Vivi intensamente l’amore,

 

rincorri la tua felicità.

 

Apprezza il valore della salute,

 

ama chi ti sta vicino come se lo vedessi per l’ultima volta.

 

Non rimandare a domani quello che puoi fare ora,

 

non indugiare e non procurarti rimpianti,

 

questa vita è talmente breve ed imprevedibile,

 

la vecchiaia e la morte son sempre in agguato

 

come belve affamate, sbranandoti quando sei isolato.

 

 

 

 

SOLITUDINE E LIBERTÀ

 

 

Solitudine è libertà,

 

libertà è solitudine.

 

Voglio essere completamente solo

 

per sentirmi veramente libero.

 

 

 

 

PRIMAVERA

 

 

 

Petali di fiori,

 

ali di farfalle,

 

canti di uccelli,

 

profumi nell’aere.

 

Il sole che sorride,

 

il cielo che sta a guardare.

 

 

 

 

L’ARMONIA DEL CREATO

 

Da ogni notte buia

 

rinasce sempre il sole

 

così come dal bruco

 

fuoriesce ogni volta una crisalide.

 

E fra una stella lassù ed una lucciola quaggiù

 

nessuna distanza, la stessa luce.

 

Tra Dio e l’ultimo insetto creato

 

nessuna differenza, la stessa perfezione e l’identico amore.

 

Ogni cuore che palpita,

 

anche il più piccolo che esista nell’universo,

 

è un battito di vita e d’amore.

 

 

 

 

LUNGO LE STRADE DEL MONDO

 

 

Girando a lungo per le strade del mondo

 

ho incontrato tanta gente:

 

bianchi e neri, ricchi e poveri,

 

santi e carcerati.

 

Ho conosciuto servi e re,

 

cristiani e musulmani, suore e prostitute.

 

All’apparenza

 

mi sembravano diversi gli uni dagli altri

 

ma poi li ho visti piangere

 

tutti allo stesso modo.

 

Ho capito dentro di me

 

che esiste una sola razza: l’umanità,

 

un solo gesto: la solidarietà.

 

 

 

DOLCE SILENZIO

 

 

Dolce silenzio

 

cosa mi nascondi?

 

chi può dirmi se m’inganni?

 

se dolori e tempeste son prossimi?

 

e mentre io,

 

estasiato,

 

dalla dolce tua magia mi lascio rapire,

 

chissà quant’altra gente

 

soffre, si dispera, s’abbandona.

 

Dimmi o dolce silenzio

 

dov’è celata la chiave dell’umana esistenza?

 

Che sarà di me?

 

e fin quando goderti posso?

 

perché eterno peregrinar è questo nostro viver

 

e quel poco di pace che mi vuoi offrir

 

è gran gioia per me e di essa mi nutro

 

errando solitario per i campi

 

tra immote piante e assopite creature.

 

Dolce silenzio,

 

immenso tu sei

 

ed il mio esser fragile

 

dinanzi a te si perde sotto l’azzurro del cielo

 

come piccola cosa tra le innumerevoli cose,

 

come formica d’un enorme formicaio

 

persa tra tutte le altre.

 

O dolce e profondo silenzio

 

che all’eterno sonno somigli,

 

prendimi con te e invasami,

 

i miei tormenti assopisci,

 

e nel tuo languor pacato,

 

supino m’addormento in un dolcissimo morir,

 

forse senza mai più mirar

 

la viva luce del sole.

 

 

 

LA LEGGENDA DI CAMILLA

 

Chi di realtà si nutre

 

defunta ombra del nulla eterno è,

 

chi ai sogni crede,

 

la collera del tempo affamato

 

vincerà nei secoli.

 

Fra i castelli fatati dei mie sogni

 

Illa io ti sto inseguendo,

 

è la tua leggenda.

 

Gelosi folletti la raccontano in sogno.

 

 

Una notte di duemila anni or sono,

 

Camilla, una leggiadra ed esile ancella,

 

scrisse nel suo cuore:

 

“L’amor non vien da me, la fede stanca illusione,

 

la mia tenera età fior che appassisce,

 

ai sogni affido il mio avaro destino”.

 

Disperata ma senza lacrime,

 

corse verso quel dirupo che dominava quella valle

 

incantata da filtri magici, popolata da gnomi,

 

e da lassù altissima si gettò

 

gridando al vento prima di schiantarsi al suolo:

 

“Io vivo e vivrò per sempre”.

 

Sopra quella valle,

 

il tempo arrestò la sua corsa affannata

 

e, come per incanto, tutto restò immutato.

 

Ed ancor oggi, duemila anni dopo, il viandante solitario

 

che ignaro non conosce la storia di lei

 

ed attraversa quell’angusta e remota valle,

 

senza veder né capir nulla,

 

ode nel leggero mormorio del vento,

 

l’eco della voce del fantasma di lei

 

che ripete ancora:

 

“Io vivo e vivrò per sempre”.

 

 

Sì, nella mia fantasia,

 

tu Illa sei viva

 

e vivrai per sempre

 

con me.

 

 

 

IL VOLTO INQUIETANTE DEL MIO MALE

 

 

Vorrei svegliarmi da quest’incubo,

 

gettami acqua fresca in viso,

 

il ghiaccio mi assale,

 

scaldo le mani con un po’ di fiato.

 

Cerco in me una via d’uscita

 

ma non esiste fuga,

 

non c’è posto per nascondersi,

 

proteggermi non puoi.

 

Diverso da ogni altro,

 

nella terra di nessuno,

 

tutto intorno tace

 

in un silenzio irreale.

 

Guido senza meta,

 

faccio sesso senza amore,

 

riflesso in uno specchio

 

c’è un fantasma al posto mio.

 

E non trovo le parole

 

per spiegare ciò che ho,

 

ogni cosa intorno a me

 

appare sadica e crudele.

 

È inutile sforzarsi

 

di essere normale,

 

non posso fingere a me stesso

 

proprio non funziona mai.

 

Trascinato dentro un labirinto enorme

 

vedo stanze tutte uguali;

 

in ognuna di esse

 

mi attraggono piaceri sempre nuovi.

 

Sembrano dirmi:

 

“Entra da noi, esaudiremo qualunque desiderio

 

non importa che sia proibito

 

vedrai sarà bellissimo”.

 

Sbagliare è facile

 

se non sai più chi sei,

 

non ho saputo dire no,

 

mi sono perso in un vicolo cieco.

 

La strada ammaliante del piacere

 

mi viene incontro senza ostacoli,

 

preda inerme della concupiscenza

 

tocco il fondo pensando di raggiungere la cima.

 

Sono schiavo del mio istinto,

 

intrappolato nella mia angoscia,

 

c’è un’ombra che mi insegue,

 

dovunque vado non mi lascia mai.

 

In una danza infernale,

 

senza fermarsi mai,

 

girano intorno a me

 

fantasmi ed incubi.

 

Voglio scoprire la tua origine,

 

combattere ed annientare le tue tentazioni,

 

fino a giungere faccia a faccia

 

con il volto più inquietante del mio male.

 

Sì, scaverò nei miei profondi abissi

 

tirerò fuori il demone a cui appartengo,

 

a costo d’impazzire,

 

giuro io mi libererò.

 

La mia anima smarrita

 

ora sprofonda dove non c’è luce,

 

nuda nuota sott’acqua,

 

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in foto: Claudio Cisco10547594_10203026838965687_4944733308813437392_n

Apr 20, 2018 - Senza categoria    Commenti disabilitati su EROS E MORTE (Claudio Cisco)

EROS E MORTE (Claudio Cisco)

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EROS E MORTE

Eros e morte

camminano insieme,

l’uno a fianco dell’altro,

dall’origine dell’universo

sino all’eternità.

Non può esistere il sesso

senza l’incombente presenza della morte,

e non si può morire per sempre

se non si sparge prima su questa terra il seme dell’amore.

Ogni essere umano comincia a morire

da quando un orgasmo lo genera,

e conserva nella memoria d’una lapide

parte di quell’amore che non separa la vita dalla morte.

Non c’è maga Circe capace di convincere Ulisse

col dono dell’immortalità,

e non esiste spada di Damocle sul punto di crollare

che spaventi l’uomo

perchè quest’ultimo, bramoso d’avere tutto e subito,

ostinato e vanitoso,

innamorato di quel breve soffio che è la vita,

è pronto a sfidare persino gli dei primeggiando

pur di amare e morire,

respirando fino all’ultimo alito di vita,

sfruttando anche l’ultima goccia di sangue che arrivi al cuore.

Dinanzi a tanta meravigliosa presunzione di vitalità

anche l’Onnipotente resterebbe senza parole.

 

 

 

MADRE E FIGLIO

Perchè sei così sporco, figlio mio?

sembri il figlio di nessuno!

Ho fatto l’amore per la prima volta, madre!

con una grande signora.

Perchè l’hai fatto, figlio mio?

c’è il tempo giusto per ogni cosa.

Volevo farlo, madre!

non volevo avere rimpianti.

Ma sei impazzito, figlio mio!

hai imboccato una strada sbagliata.

Forse sto sbagliando, madre!

ma abbiamo sentito di farlo sulla terra e nel fango.

Tu hai perso il senno della ragione, figlio mio!

non ascolti più neanche tua madre.

Io ti voglio ancora bene, madre!

ma oggi ho scoperto di avere un’altra madre:

è questa terra che stringo nelle mani,

e l’aria che sto respirando,

e la natura, il mondo, l’universo

e tutto ciò che mi sta intorno.

E quando mi sentirò triste e solo,

mi arrotolerò con gioia nel fango,

soffierò felice sulla polvere delle mie mani,

bacerò i fiori dei campi

e mi laverò la faccia con l’acqua dei ruscelli.

Non ti capisco e non ti riconosco più, figlio mio!

ma come parli?

Io invece ora mi conosco bene, madre!

parlo col linguaggio dell’amore!

E darei tutto quel che ho

pur di trasmetterti la felicità che ho dentro.

 

 

 

IL MIO CORPO SUL TUO CORPO

Il mio corpo sul tuo corpo

si muove lentamente.

Il mio corpo sul tuo corpo

si dimena dolcemente.

Voglio scoprire il tuo segreto,

sprofondare nell’intima tua essenza

fino a esplodere in te violentemente

svuotando il mio liquido nel tuo nido inebriante.

Ora che sono in te

non puoi più nascondermi nulla,

ho svelato il tuo mistero di donna,

io ti possiedo, so tutto di te.

Prepotente,

sono entrato nella tua inesplorata caverna,

e nei tuoi umidi anfratti

sto scivolando.

Sono io il tuo corpo.

Sono io l’universo.

 

 

 

 

 

 

BIANCANEVE

Ragazzini eravamo forse bambini

una decina circa non di più

8-10-13 anni al massimo

queste le nostre età.

35 anni aveva lei se ben ricordo

Biancaneve la chiamavamo noi,

per cinquemila lire il pisellino ci toccava,

per dieci lo succhiava.

Infine per trentamila l’amore faceva

e sempre con uno per volta

mai tutti assieme

o più di uno.

Com’era bella Biancaneve nostra!

Com’era dolce e comprensiva!

Come ci sapeva fare!

Un dolce segreto era e nessuno di noi mai parlò.

Per caso l’ho rivista dopo 30 anni e forse più

appesantita, invecchiata, sfiorita, la nonna pareva

di quella Biancaneve conosciuta allora

ma un sussulto al cuore ho avuto lo stesso nel vederla:

“Biancaneve!”

d’istinto le ho detto senza volerlo;

“Prego?”

mi ha risposto stupita lei.

 

 

 

 

 

LE TUE MANI

Le tue mani morbide più della seta

sfiorano con dolcezza il mio pene,

lo accarezzano,

lo stringono,

lo muovono.

Chiudo gli occhi

mi concentro su quel delizioso piacere,

sospiro piano,

mi abbandono vinto,

abbraccio l’estasi.

Come un trovatello ragazzino

stretto fra le tue mani,

il mio membro si lascia andare,

cresce sempre più

nell’eccitante movimento d’un’altalena.

Il cuore ora sembra scoppiarmi in petto,

incontrollabile diviene il mio respiro,

esplode come neve bianca

il succo del mio piacere

splendido dono per le tue sapienti mani.

 

 

 

 

 

AMPLESSO

I nostri corpi che si scontrano

e si possiedono senza tregua.

Pelle bollente,

segnata,

battuta,

e il sangue che scorre dentro

impazzito.

Fluisco dentro di te

come un’onda inarrestabile

che mi porta a riva,

e poi

mi spinge di nuovo al largo.

Scopro limiti che mi fai superare

ancora prima che io me li ponga.

Non resisto perchè non voglio resistere.

Prima ti penetro la mente con la mente,

poi il sesso con il sesso.

Il tuo corpo apre la folle danza del piacere

e il mio puntuale risponde.

Penetro in te in profondità.

E’ come se io stesso entrassi in me,

scavando tra emozioni e desideri

che non conosco

e scopro ogni volta come fosse la prima.

Ti accarezzo

come un soffio di vento

e mi scuoto quando esplodo in te,

quando godo nella parte più intima del tuo corpo,

quando esce l’animale che ruggisce dentro di me.

E in quei momenti,

possiedo anche la parte più intima

della tua anima.

Ti faccio gemere, urlare, tremare, godere, venire.

Per me tu sei sempre

completamente nuda

anche quando sei vestita,

mai ho desiderato tanto conoscerti!

possederti!

amarti!

 

 

 

 

TI POSSIEDO

Ti guardo negli occhi fiore del male

e poi ti bacio tirandoti i capelli.

Ti mordo forte le labbra,

ti strattono, ti sgrido, infine ti faccio gemere.

Stringo la tua carne fra le mie mani,

ti spoglio fin dove voglio,

ti costringo in tutto e per tutto.

Ti colpisco forte e non smetto

neppure quando mi supplichi,

poi piego il tuo corpo sul tavolo

e ti espongo, ti offro, ti apro.

Ti insulto,

ti faccio promettere l’impossibile,

m’impongo e dispongo di te,

ti infilo dietro qualsiasi cosa,

la forzo sempre più dentro lasciandola lì come dolce tortura,

ti ficco il mio sesso in bocca fino a non farti respirare.

Poi ti alzo il volto e ti guardo,

ti penetro col mio membro

riempiendoti di me e di altro.

Ignorando le tue lacrime

ti sbatto violentemente,

ti uso,

ti possiedo.

Non puoi più pensare ora

e nemmeno agire: kamasutra dammi l’estasi!

Finalmente ti ho dominata,

mi appartieni,

sei totalmente mia.

 

 

 

 

LEGATO

E’ inquietante

questa corda nera

come l’atmosfera che respiro

attraverso la benda.

Mi preme sulla pelle

e mentre imprime strani disegni su di essa

sembra che il fuoco divoratore di cui è capace

mi trasformi ammaestrandomi con disciplina.

In preda a questo vizio perverso

che mi hai insegnato,

non so difendermi

nè voglio, mi lascio andare sconvolto nei sensi.

Questa corda mi appartiene,

i suoi fili intrecciati m’immobilizzano

iniettando nei miei occhi

sete di sfida.

Le parti del mio corpo vibrano

imprigionate in quella ragnatela di piacere,

risalta inconfondibile il desiderio

di abbandonarmi completamente a te.

Se non fosse stato creato il piacere sessuale

quanti peccati legati ad esso

non sarebbero stati commessi!

E’ perché è considerato peccato se piace così tanto?

Può il piacere sessuale essere anche piacere dell’anima?

STRANE SENSAZIONI

Strane sensazioni pervadono il corpo e la mente

mi attraversano, mi riempiono, mi lacerano, mi annientano:

la frusta, le corde, le catene

tutto mi consuma.

Attraversato, riempito, lacerato e infine annientato

e poi ancora sconfitto, umiliato, usato

in qualunque gesto, in ogni parte del corpo.

Quale grande capacità possiedi!

Quante infinite sensazioni mi regali!

Che potente nettare di piacere mi offri!

Strane sensazioni mi vincono

fino a divenire un tutt’uno di orgasmi

in una perfetta simbiosi.

 

 

 

IL MIO IMPERO

Sono entrato prepotentemente

nella tua anima fortificata.

Inesorabile ho abbattuto ogni tua difesa

e conquistato la tua nuda terra.

E ora

senza nessuna clemenza, nessun mistero

ciò che un tempo era soltanto tuo

adesso è anche mio.

Mi muovo espandendomi dentro te,

come fuoco che brucia appare il mio pene

forte quando divampa,

umiliato quando si spegne.

Ma anche tu sei crollata senza scampo,

nel tuo fragile corpo ormai

ho costruito il mio impero.

Arrenditi a me!

 

 

 

 

PAGLIACCIO BAMBINO

Tu sensuale, invitante, carnale

magica e perfetta nelle tue assurde follie di donna.

Gemiti appena sussurrati,

orgasmi urlati a squarciagola

ma sei sempre tu, tu e soltanto tu

dolce e glaciale, candida e perversa,

lucente angelo meravigliosamente diabolico.

Tu carne e cibo della mia mente,

pericoloso rifugio per la mia anima,

cavallone impazzito che travolge il mio mare di insicurezza.

Sento di essere un uomo

solo nell’istante in cui vengo in te,

poi torno e resto per sempre

pagliaccio bambino.

 

 

 

 

 

LA FINE DELLA MAGIA

Il mio respiro,

il suo.

Il mio battito,

il suo.

I respiri che si accordano

ritmici,

affannosi,

incalzanti,

ansimanti.

Il cuore

batte, batte, batte

tutto il petto batte,

pulsa in gola,

pulsa nell’anima.

I pensieri assumono lo stesso ritmo,

la stessa intensità,

si uniscono,

si esaltano.

Un crescendo folle e continuo:

vertigini,

ronzii,

la mente

che ha lasciato ogni controllo.

Le emozioni

sono padrone dei corpi.

Avvinghiarsi,

rotolarsi,

ubriacarsi,

urlare.

Secrezioni,

sudore,

saliva,

odori intensi.

Segnale della fine

o è solo l’inizio?

Silenzio…

assaporando la fine della magia.

 

 

 

 

 

 

SOLO UN ISTANTE

Il cuore che scoppia,

il respiro affannoso.

Esplodo finalmente

come unico rimedio

per non impazzire di piacere

ma è solo un istante!

La mente si svuota,

lentamente sento uscire

poco a poco ciò che è di lei.

Non sento più le mani, le gambe

non so più chi e dove sono:

odore, sudore, respiro

non sento più nulla!

non ho più un corpo,

mi sfugge l’anima.

E’ solo un istante,

poi mi sento leggero.

Una piuma che lieve

si culla tra le nuvole

in un cielo immenso

e mai si posa.

Rientro di colpo nella realtà

disteso sopra il suo corpo abbandonato:

ho soltanto amato!

 

 

 

 

 

FRA LE TUE COSCE

Ora che mi ritrovo fra le tue cosce

vorrei stare fermo per un istante:

donna di terra e di acqua

plasma la mia nella tua intensità!

invadi anche la mia mente!

prendi tutto del mio essere!

Io cane fedele d’ogni tuo desiderio

desisto nel non voler più il poeta in me

in questa sera di stelle senza tempo,

dove in una folle danza di erotismo

si perde persino il mio gemito

formica nella tua foresta di peli.

Donna che mi ami senza amore,

non è alba o tramonto,

non è estate o inverno

e non è nemmeno gioia o dolore:

è un fiore che germoglierà tra le tue cosce

donato insieme con te a questo mondo.

 

 

 

 

NETTARE DI TE

Col fuoco addosso

umida tana

non placa il rogo

che di te s’avvampa.

Dentro il tuo corpo

su quel sentiero

inseguo paradisi

a luci spente.

Nel tuo regno

frugo l’oscuro

cercando sensazioni

oltre il tempo.

Ti desidero

in quel possederti

gocce di sole vanno

oltre il cielo.

Esplorandoti

oscuro tunnel

dov’è racchiusa in te

luce di stelle.

Sabbie mobili

affondano nel clitoride

ma in quel cader mio

non cerco scampo.

Mappe d’estasi

sul tuo mare

disegnano le magie

dell’infinito.

Nettare di te

raccolgo le gocce

d’oscuri paradisi

fra i cespugli.

 

 

 

 

UN LAMPO NELL’OMBRA

Donna completa, mela carnale, luna calda

denso aroma d’alghe, fango e luce mischiati

quale oscura chiarezza s’apre tra le tue colonne?

Quale antica notte tocca l’uomo con i suoi sensi?

Ahi! amare è un viaggio con acqua e con stelle,

con aria soffocata e brusche tempeste di farina,

amare è un combattimento di lampi

fra due corpi da un solo miele sconfitti.

Bacio a bacio percorro il tuo piccolo infinito,

i tuoi margini, i tuoi fiumi, i tuoi minuscoli villaggi,

e il fuoco genitale trasformato in delizia

corre per i sottili cammini del sangue,

si precipita come un garofano notturno

fino a essere e non essere che un lampo nell’ombra.

 

 

 

 

 

 

EROS D’ESTATE

E siamo

mari in tempesta

venti che onde

già portano in cielo,

aliti ardenti

che accendono di fiamma

l’umida tua pelle.

S’intrecciano le dita

a catturar magie

mentre

sotto le stelle

un vulcano si risveglia.

Nudi

vestiti d’amore,

ci prendiamo,

ci sentiamo

annullandoci a vicenda.

Il tempo dei sogni

s’è assopito,

ora pulsa la vita,

l’amore!

Ed il respiro,

frenetico,

corre

sui ritmi

dell’estate.

 

 

 

 

 

CANTO DI DELIZIA

La mia lingua sfiora la tua lingua,

il mio sesso nel tuo sesso,

il mio cuore nel tuo cuore,

la mia vita nella tua.

Anima sguarnita da ogni vincolo

stretta a me in un desiderio sfrenato

rincorre la perfetta incarnazione del godimento.

Bagnato è il tuo corpo

di linfa sacra

dove riposa la più alta eccitazione

delle fantasie più proibite ed inconscie.

Profumo di rose appena colte

sparse nel tuo campo che ho appena sconfinato,

in un sussulto il tuo respiro

sa di mandorle e canditi.

I tuoi vagiti si fondono con i miei

creando intensi movimenti fisici

di pura creazione artistica

tramutandosi in un canto di delizia.

 

 

 

 

 

 

GODI

Eccoti giungere

stanotte e mille altre ancora

preda esclusiva del mio letto,

trappola divina di desiderio.

Su colline di creta morbida

i miei baci sparpagliati,

accarezzami con gli occhi

mentre scorri sul mio cuore arso.

Benvenuta, entra!

Spengo la luce?

Soffio sul buio e ti accolgo,

senza una parola

ingurgiti il mio sesso

bevendone avida il succo.

In un abbraccio stordito

mi trascini giù

su lenzuola chiare

che odorano ancora di candele spente,

ritratto di mani voraci e volti sconosciuti.

Nel silenzio

che ci avvolge insieme,

strappi incauti di sospiri, atti più impuri

orgasmi che ritmicamente si susseguono

e che rammendo senza fretta.

No, non chiedermi niente! Sei già proposta indecente.

Godi…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

OMBRE SUL MIO GIACIGLIO

Non sarà nè legno nè pietra

a vegliare sul mio riposo,

nè sarà un fiore

il pegno del ricordo.

E non saranno le fronde dei cipressi

a fare ombre sul mio giaciglio,

nè epitaffio nè voce nè ricordo di un caro

come amara consolazione del mio definitivo viaggio.

La terra è la mia culla,

la selva intatta il mio nascondiglio,

la polvere e gli sterpi il dolce lenzuolo,

il silenzio il mio unico compagno.

 

 

 

 

 

ESSENZA LARVALE

Su strada nera conduco i miei passi,

nascosto oltre un nulla d’infinito,

una volta oscura sovrastante incombe.

Ascolto le cadenti lacrime della natura,

scendono sul mondo e me

cencioso essere mortale.

Enigma è la mia inesistente provvidenza,

nichilismo dei buoni sentimenti

icone perdute di essi.

Come dalla psiche profonda

omissioni di verità approdano

caricandomi di brama di comprensibilità.

Fuori da mura di pelle

le febbri son più grandi

dei geli del cuore.

Respiro zolfi del mondo

dove il calore diviene sempre più tenuo,

solo fredde spinte sussistono in me.

Nessun vigore ausilia la triste marcia,

tranne un’anomia fredda come il cuore

d’essenza larvale che sono.

E soltanto ora la mia anima maledetta

comprende il senso insensato

di un’esistenza di vela senza vento,

di airone senza ali,

di carne senz’anima.

 

 

 

 

 

 

NULLA ESISTE OLTRE I SOGNI

Nel buio della notte,

seduto sull’orlo di un precipizio,

ammiro la bellezza della luna,

il suo pallore è come il viso della morte

che affamata di anime

attraversa l’aria contaminandola.

Niente!

solo oscuri pensieri

che trafiggono la mia mente,

grigie lame di metallo

che perforano la mia anima,

sangue che scorre

lungo il mio corpo.

Il cammino da seguire è lungo

ma non riesco più a vedere oltre,

non ce la faccio a capire,

non posso più correre.

Morfeo mi avvolge nel suo mantello ramato,

lacrime di morte

scendono dal cielo illuminato dalla triste luna

mentre il vento sfiora il mio corpo

e la solitudine mi trascina nella valle della morte.

Ho perso ogni mia speranza,

il fuoco della vita brucia il mio spettro.

Nulla esiste

oltre ai sogni,

mondi fantastici di oracoli e maghi

che cancellano la realtà.

 

 

 

 

 

 

DEPRESSIONE

La salute c’è

non presenta nessuna malattia.

Eppure è così deperita,

quando dorme sembra morta!

Cos’ha questa povera ragazza?

Non ha niente!

Ha solo il verme

della depressione

che la sta consumando

pian piano

ogni giorno di più.

 

 

 

 

 

 

ANGELI SPORCHI

Essere due piccole gocce di inchiostro nero

su una tela dipinta

ove falsi colori vivaci

esaltano con cattiveria e pregiudizio

la loro diversità:

non spetta anche a loro sognare l’armonia?

No! il cielo non ammette angeli sporchi

e violento strappa loro le ali.

Essere creati

per vivere accanto alla colpa,

insieme alla vergogna

ma di cosa?

Di essere diversi? Ma da chi? Perchè?

Domande che chiamano altre domande

in un girotondo senza risposte.

La confusione aumenta

al pari di uno strano risentimento

che fa soffocare,

che induce a dubitare:

E’ questo ciò che gli altri vogliono da loro?

Che non esistano?

E’ quello che vuole il loro Dio?

Che non esistano?

Sì! il cielo non ammette angeli sporchi

e graffia la carne sotto la loro pelle.

Ho visto quelle due piccole gocce avvicinarsi

fino a diventare una sola,

angeli che finalmente hanno qualcuno

che asciughi le loro lacrime,

che li accarezzi,

che li abbracci!

Angeli sporchi

che ora si stringono tra loro

consolandosi a vicenda.

Un solo gesto,

un grande coraggio!

Il piacere profondo del peccato giudicato dagli altri

peccato come realizzazione di un sogno

come fuga da un mondo ipocrita in bianco e nero,

come vendetta verso una madre

che cerca di soffocare sul nascere

le proprie creature.

Perchè mai l’uomo

non rispetta l’uomo?

Non riesco proprio a capire…

 

 

 

 

 

LA BESTIA RARA

Sguardi sconosciuti,

persone che mi scrutano, esaminano, giudicano

che ridono guardando

verso di me o nel vuoto.

Non so…

in qualunque caso

sono persone come altre

che seguono la massa.

Non apprezzano la diversità come novità.

Alcune mi fissano

come se fossi una bestia rara, un bersaglio da colpire

a volte mi fanno paura

sembra che mi disprezzino,

che vogliano farmi del male.

Forse solo perchè mi distinguo dal gregge

e sono per inclinazione

fuori dal coro.

Mi sento un ebreo fra i nazisti.

Ma io non sono nato per far fare numero

o per consumare ossigeno prezioso,

ho un’anima con me anch’io,

preziosa e brillante più di un tesoro,

io e Dio soltanto

sappiamo bene il valore che ha.

 

 

 

 

 

 

I MIEI PIU’ ATROCI INCUBI

Sono stato al parco.

Era notte.

Buio.

Cielo nero a sovrastarmi.

Incerto presagio di fine.

Io e l’oscurità.

Mi sono inginocchiato

ai piedi dell’acqua sporca che scorreva.

Ho rivisto il mio volto,

nel silenzio ho urlato,

ho urlato,

urlato!

fino a non avere più voce.

Non ero solo,

eppure mi sentivo come abbandonato.

La solita sensazione di dispersione

che si impadroniva nuovamente di me.

Sarei voluto correre via, scappare via

veloce, sempre più veloce

ma sono rimasto paralizzato

senza armature per difendermi

vittima dei miei più atroci incubi.

 

 

 

 

 

 

OMBROSI PENSIERI

Desolazione d’anime

nella valle dell’attesa.

Da crisalidi pendenti

cadono lembi di carne putrida

(adombrata metamorfosi

di esseri un tempo umani).

Coltivazioni demoniache

di ombrosi pensieri.

 

 

 

 

 

PERDUTI

Percorrendo una vuota spirale

alla fine della quale troveremo noi stessi,

osserviamo la nostra ombra crollare al suolo

affrontando il riflesso di una nostra immagine residua

concepita nella più cupa desolazione.

Giacendo su queste corrotte strade di vorticanti pensieri,

mentendo ai nostri propri stati mentali,

tratteniamo tutto ciò che non saremmo

anelando a ciò che ci è proibito.

Un delirio di onnipotenza è ciò che chiamiamo conoscenza

senza renderci conto che il decadimento è solo un passo avanti

ma la vanità in cui crogioliamo

si è mutata nella nostra gloriosa tomba cristallina

coesione sublimata di un ego inferiore pieno di incompiutezze.

L’umanità si consola aspettando l’arrivo di un nuovo messia sintetico che possa risanare i nostri corti circuiti interiori

decretando l’annullamento dei nostri ultimi atomi,

così saremo definitivamente perduti.

 

 

 

 

 

 

SORELLA MORTE

Gioco con le mie emozioni,

una manciata di biglie di vetro nella mia mano.

Per ogni biglia infranta

un sogno si dissolve.

Resto a fissare

il cupo riflesso della mia noia,

Biglia infranta,

crepa nel mio cuore.

Frammenti di vetro,

illusioni svanite.

Con sguardo apatico

osservo pezzi di intonaco volare via,

e non tenderò alcun muscolo

posseduto da un’inerte volontà,

non cercherò di andare al di là di questo velo

che mi copre tutto.

La mia anima si scioglie,

ogni cosa grava, ingarbugliati pensieri

nulla emana benefica essenza.

Ardo di una luce opaca.

Fallo con grazia, sorella morte

spegnimi con un soffio!

 

 

 

 

 

 

 

UN MONDO DISFATTO

Il mio demone mi mostra la realtà più brutta di com’è

guarda attraverso i miei occhi deformandola

e contempla un modo disfatto.

Il canto della sirena

giace impotente ai piedi del rumore.

Il senso della vita

ha perduto lo scettro,

resta una lapide senza nome

del tempo che fu.

Il mausoleo del giardino delle rose

è stato violato

da malvagi profanatori.

Ma non riesco a gioire

nel vederli annegare

in laghi di sangue.

L’amore perduto

non tornerà mai più

a specchiarsi dentro di me.

Siringa e sangue lungo il mio cammino,

confini sordi alla realtà per la mia mente in gabbia,

ciechi gli occhi dello spirito.

Non so come uscirne fuori!

 

 

 

IL SERPENTE

Un’eco

insegue la mia fuga,

è una lingua di fuoco

che tutto brucia

e che quando mi raggiungerà

consumerà il mio essere.

È forte solo perché io gli permetto di esserlo.

Il vortice

si avvicina sempre di più,

gira

sempre più forte,

e il suo buco nero,

al centro,

mi risucchia,

mi avvolge i sensi e la mente.

Annaspo nel turbinio

ed ho paura di toccarti

per non contaminare anche te

e trascinarti con me

nell’immenso occhio nero.

Vedi accanto a te un mostro con tante teste

il grande serpente

che oscilla fra te e il futuro?

Vedi

le sue lingue di fuoco

che bruciano tutto davanti ai tuoi passi?

E non senti i suoi piedi

calpestare la polvere,

bruciare nella cenere?

Ridicolo essere umano, ammasso di briciole tenute su dalla presunzione,

non puoi vincere

una potente soprannaturale forza.

Ti prego

guarda accanto a te: E’ bugiardo! Abile mistificatore!

Non si rivela mai per quel che è realmente:

è il tuo serpente!

 

 

 

 

 

 

QUEL CHE SONO NON MI PRENDE

Chiuderei gli occhi

e in un soffio me ne andrei

stanco di tutto,

il solo respirare

mi affatica,

qualcosa mi opprime,

credo sia il peso della vita.

Mi guardo allo specchio

e fisso l’obbrobrio riflesso.

Continuo a guardare quella oscena figura

fino a sferrargli un pugno,

osservo il sangue scorrere sulla mia mano,

e mi perdo nei piccoli frammenti dello specchio

ma è ancora lì:

Cosa vuole questa vita da me? Perche mi ha voluto?

Non l’ho chiesto, non ho desiderato esserci

ho pregato per andarmene!

Perchè quel che sono non mi prende?

Un’eternità di nulla, una vita di vuoti, solo rimpianti!

Nessuna lacrima, forti dolori, un grande amore!

Sono all’inferno, spiritualmente morto

immenso vuoto e depressione.

Come ombra che svanisce alzo bandiera bianca.

Poi e per sempre

solo morte!

 

 

 

 

 

 

 

INVOLUCRO DI CARNE

Piccola anima

accartocciata dentro un involucro di carne,

il tuo respiro attraversa il petto.

C’è luce, c’è ombra.

Ancora luce e di nuovo ombra.

La mano ascolta il tumulo, l’ossessione.

La punta della penna solca il foglio.

Scrivi per te, scrivi di te.

Mi parli di una realtà che regna dietro tante porte chiuse.

Di sangue del proprio sangue.

Di verità custodite nel silenzio.

Fa tutto parte del gioco,

tu stai gelando ora!

Si può morire di disperazione, la testa fra le mani

la penna caduta per terra,

le braccia stese sul pavimento

mentre le ombre avvolgono ciò che resta di te.

Un involucro di carne e niente di più!

Solo un miserabile e insignificante involucro di carne.

Una mano ti abbassa delicatamente le palpebre,

il segno della croce

e subito dopo il nulla.

Non sono un angelo.

Non sono un demone.

Io sono la verità.

La verità a volte uccide.

 

 

 

 

 

MASCHERA

Sembra tutto così perfetto

come scenario di un’opera teatrale

ma quale sarà il segreto,

l’orrendo retroscena di questa farsa,

di questa commedia che chiamiamo vita?

Qual’è il ruolo che mi è stato assegnato?

Cos’è questa maschera che prontamente

le mie emozioni cela?

Come una lumaca

mi rinchiudo con viltà nel mio guscio.

E’ piu adatto a lacrime e vani sorrisi

questo mio volto coperto e deturpato

miserabile sotto la sua ridicola perenne smorfia.

Teschio

a ghigno

eternamente condannato.

 

 

 

 

 

 

 

LA SOLITUDINE

Lacrime nere rigano un volto,

pallido

e senza segni di vita.

Ghiaccio nell’anima,

foglie morte al vento,

inverno che piange.

Uno sguardo,

quello di una creatura non sola pur essendo sola

vogliosa e assetata d’affetto

che crede d’affogar in un bicchier d’acqua.

Ormai abbattuta

china il capo

e si piega alla grandezza,

al potere immenso di quell’essere.

Quell’essere di cui è umile serva:

la solitudine!

 

 

 

 

 

 

 

LUCIDO E FREDDO E’ IL MARMO

Lucido e freddo è il marmo,

riflette tutto come uno specchio.

C’è disordine,

oggetti dimenticati,

ed un velo di polvere

copre tutto.

Regna il silenzio,

le torri sfidano il cielo,

fantasmi appaiono nell’ombra.

Lucido e freddo è il marmo,

candide come la neve le statue,

la piccola bambola fissa

con occhi verdi di smalto

abbandonata nel buio.

Rena la quiete,

i bastioni proteggono il castello,

i passaggi merlati paiono ponti sulla fantasia.

La bella addormentata non è mai stata qui,

non vi è mai stato un sogno incantato,

lucido e freddo è il marmo.

 

 

 

 

 

 

MIA SORELLA SOLITUDINE

Ubriaco di te

smaltisco la mia sbornia

su una panchina isolata

nella periferia della città

di Paranoia.

Non so dove andare,

non so chi cercare,

non so perchè respiro

ma protendo ancora la mano verso te,

nuovamente implorante ai tuoi piedi

mia amante,

mia amica,

mia compagna,

mia sorella Solitudine.

 

 

 

 

 

ANCESTRALI PAURE

Fievole luci

che all’imbrunire

non vincon l’ombre.

Indecise sagome

arrancanti nel buio

nero antro di ancestrali paure.

Figure incerte

di bieco pensiero avvolte

che di nera cronaca s’ammantano.

Passi veloci

come a sfuggir tempesta

nei vicoli t’inseguono.

Il gelo del comune sentire

tutto avvolge

come unico sudario.

E a nulla vale

il lume della ragione che è vanto

nè il saper che l’amor mio m’è accanto.

Solo il colore del sogno

potrà spezzare

del grigio orrore il cerchio.

Solo di poesia il volo

potrà sciogliere delle catene

l’angosciante nodo.

Subisco l’ultimo disperato assalto

di chi sa che la sua guerra

ha già perduto ormai.

 

 

 

 

 

 

 

LO SBADIGLIO DEL TERRORE

Nessuno ascolta

il rumore assordante del lupo

estasiato

dinanzi ai bagliori

della notte

stregata.

Un luccichio assorbe

il silenzioso spazio,

nel vuoto dell’ignoto

respiro accaldato dalla lucciola

che traballante attraversa il sentiero,

dal folto dell’ugola fuoriesce soave alito umano.

Ascolta la notte!

Ascolta la nebbia!

Ascolta i battiti del cuore!

Ascolta e non restare

senza un fruscio oblungo

nel dolce mio silenzio.

 

 

 

 

“GIACOMO LEOPARDI”

RIPROPOSTO IN UN LINGUAGGIO MODERNO:

 

 

“L’INFINITO”

 

Ti ho sempre amato, colle

solitario come me.

Ti ho sempre amata, siepe

che mi fai aprire l’anima

verso l’orizzonte,

me lo nascondi

ma me lo fai amare

immaginando spazi infiniti.

Ho sempre amato questo posto,

il suo sovrumano silenzio,

la sua profondissima quiete,

e il tenue soffio del vento tra gli alberi,

e la dolcezza di queste piante che dormono.

E mentre sono seduto e guardo lontano

mi tornano in mente le stagioni fuggite,

l’ora presente,

l’eternità,

ed è dolcissimo

perdersi nell’immensità della natura.

 

 

 

“IL PASSERO SOLITARIO”

 

Ti vedo in cima a quella antica torre,

solo,

proprio come me!

Tu canti finchè non muore il giorno

mentre la primavera brilla nell’aria,

esulta per i campi

festeggiata da mille uccellini

che fan mille giri nel cielo.

Ma tu passero solitario non ti curi di loro,

resti indifferente a quella festa,

non la cerchi, non provi a volare

consumi così nella solitudine

la parte più bella della tua vita.

Quanto è simile il mio modo di vivere al tuo!

non c’è spensieratezza in me,

gioie e divertimenti io li evito,

mi sento estraneo e quasi fuggo da loro

e il dramma è che non so spiegare a me stesso

nemmeno il perchè.

Chiuso nella mia stanza

passo le mie giornate vuote e monotone

in silenzio, in solitudine.

Eppure questo giorno che ormai volge alla sera

è festeggiato da tutti in questo paese,

si odono nell’aria suoni di festa vicini e lontani,

i giovani sono allegri

indossano i loro abiti migliori

si divertono

ed è persino bello guardarli.

Ma io,

in quest’angolo del paese vicino alla campagna,

io resto da solo come sempre,

ogni divertimento

lo rinvio in altri tempi

non so a quando!

guardo il sole che si dilegua dietro i monti

e sembra ricordarmi

che anche la mia giovinezza sta morendo.

Tu, passero solitario

alla fine dei tuoi giorni

non potrai pentirti d’aver vissuto così,

è la tua natura che ha deciso questo.

Ma io,

se non riuscirò a evitare la detestata vecchiaia

e tutto sarà noia più di adesso,

cosa penserò della mia giovinezza sprecata

e non goduta?

Forse piangerò,

guarderò indietro

ma sarà ormai troppo tardi.

 

 

 

“IL SABATO DEL VILLAGGIO”

 

La ragazzina spunta dalla campagna

al tramontar del sole

con la dolcezza, con la malizia

d’una età che non dà pensieri.

Ha un fascio d’erba in mano,

un mazzo di rose e di viole,

domani è festa, deve farsi bella.

La vecchietta con le sue amiche,

seduta sull’uscio di casa,

è intenta a filare

e con una lacrima agli occhi

ripensa a quando anch’ella era ragazza

e spensierata e felice

era circondata da tanta compagne.

L’aria si fa bruna,

le ombre scendono dai colli e dai tetti,

una luna bianchissima splende nel cielo.

Una tromba suona annunciando la festa,

i bambini giocano felici nella piazzetta,

il contadino torna a casa fischiettando.

Poi, quando le luci si spengono

e tutto tace,

si ode soltanto il rumore d’un martello

e di una sega,

è il falegname che ha fretta di terminare il suo lavoro

prima dell’alba.

Questo è il più bel giorno della settimana

pieno di gioia, di speranza

domani tutto ritornerà normale, triste, monotono

e ciascuno riprenderà il suo lavoro col pensiero.

Ragazzo mio,

la tua splendida ma fuggitiva età

è proprio come questo giorno

chiara, serena

che prepara la festa della tua vita.

Ragazzo mio divertiti!

non mi sento di dirti altro!

Ma ti prego non rammaricarti

se la tua festa tarda a venire.

 

 

 

“AMORE E MORTE”

 

Amore e morte,

fratelli,

furono creati insieme

e insieme vanno uniti per il mondo,

l’uno elargendo il piacere

l’altra annullando il dolore.

Quando l’amore nasce nel petto

lo accompagna sempre un languido desiderio di morte.

Non so perchè…

forse l’uomo,

presentendo i mali futuri che ne deriveranno,

brama di giungere al porto della sua vita

e di annullarsi.

Financo nel furore della passione,

quante volte gli amanti ti invocano o morte!

E che sentimento di invidia

al rintocco della campana funebre

per chi se n’è già andato!

Perfino il contadino e la timida fanciulla

non temono più,

comprendono l’ineffabile dolcezza della morte.

Talvolta l’amore

mina un fisico già prostrato,

talvolta invece

induce al suicidio giovani e fanciulle.

E tu morte

da me tanto invocata e celebrata

fin dai miei primi anni,

chiudi pietosamente gli occhi miei.

Ho sempre disprezzato le consolazioni della religione.

Non ho mai lodato e benedetto i patimenti.

Ho rifiutato i fanciulleschi conforti degli uomini.

Te sola ho sempre invocato!

Aspetto serenamente

di addormentarmi sul tuo seno.

 

 

MEMENTO

(Dalla lirica omonima di I.U. Tarchetti)

 

Quando bacio le tue labbra profumate,

cara e dolce fanciulla,

non posso dimenticare

che un bianco teschio vi è nascosto sotto.

Quando stringo a me il tuo corpo sensuale,

cara e dolce fanciulla,

non posso proprio dimenticare

che uno scheletro nascosto vi è celato all’interno.

Quando faccio l’amore con te, cara e dolce fanciulla,

mi è impossibile dimenticare che sotto la tua pelle

vi è un ammasso di sangue, vene e organi schifosi.

E assorto in questa orrenda visione,

dovunque ti tocchi, ti baci o posi le mie mani

sento sporgere le ossa fredde d’un morto.

 

 

 

IL CANTICO DI FRATE SOLE

(Dall’opera omonima di S. Francesco d’Assisi)

 

Benedetto tu sia, mio Signore!

con tutte le tue creature

specialmente per fratello sole

che fa diventare giorno

e illumina ogni cosa intorno

ovunque ci sia vita

con grande splendore,

ed è bello, radiante.

Benedetto tu sia, mio Signore!

per sorella luna

che bianchissima non dorme mai

per vegliare la notte,

e per le sorelle stelle

che hai creato in cielo

chiare, preziose e belle.

Benedetto tu sia, mio Signore!

per la sorella acqua

che è molto utile

è preziosa, è casta.

Benedetto tu sia, mio Signore!

per fratello fuoco

che rischiara la notte

e trasmette il suo calore,

ed è forte, è vivo.

E per fratello vento

che muove l’aria, le nuvole

rigenerando con la pioggia tutte le creature.

Benedetto tu sia, mio Signore!

per la nostra madre terra

che ci sostenta stringendoci al suo seno

e ci offre frutti, fiori colorati, erbe.

Benedetto tu sia, mio Signore!

per i miei fratelli che sanno perdonare

aiutali nelle loro tribolazioni terrene,

hanno bisogno della tua presenza

nella loro vita.

Beati quei fratelli che difenderanno la pace!

saranno da te premiati.

Benedetto tu sia, mio Signore!

per la nostra morte fisica

dalla quale nessuno di noi può scappare

e guai a coloro che morranno nel peccato,

beati invece quelli che su questa terra

avranno fatto la tua volontà.

Laudate e benedite tutti il mio Signore!

e ringraziatelo

e servitelo con grande umiltà.

 

 

 

 

OSSESSIONE PER UNA NINFETTA

(liberamente ispirata al libro LOLITA di V. Nabokov)

 

 

Spiccava col suo giovane corpo e l’aria da bambina

 

tra la gente ignara,

 

quel piccolo micidiale demonietto,

 

inconsapevole anche lei del proprio fantastico potere.

 

Mi guardò col suo visino indecifrabile di ragazzina tredicenne

 

come se mi avesse letto il desiderio negli occhi

 

fino ad intuirne la profondità,

 

e nel preciso momento in cui i nostri occhi s’incrociarono,

 

tra di noi si stabilì subito un’intesa

 

capace di annullare in quell’attimo qualunque barriera

 

ed io non avrei potuto abbassare gli occhi

 

neanche se fosse stata in gioco la mia vita.

 

La sfiorai ma senza osare toccarla,

 

respirai intensamente quella sua delicata fragranza

 

che sapeva di borotalco,

 

e da quel punto così vicino eppure disperatamente lontano,

 

ebbi per la prima volta la consapevolezza,

 

chiara come quella di dover morire,

 

di amarla più di qualsiasi cosa avessi mai visto

 

o potuto immaginare,

 

e di voler essere il primo ad assaporare quel piacere proibito

 

che soltanto la mia giovanissima dea dell’amore

 

avrebbe saputo offrirmi

 

in un paradiso illuminato dai bagliori dell’inferno.

 

Un uomo normale,

 

forse per vergogna o sensi di colpa,

 

scaccerebbe via dalla propria mente simili pensieri.

 

Bisogna essere artisti,

 

eterni bambini sempre in volo senza logica né equilibrio,

 

folli di malinconia e di disperazione,

 

di solitudine e di tenerezza

 

per lasciarsi totalmente trasportare e tormentare

 

dalla magica ossessione per quella ninfetta.

 

 

ASSENZA

(liberamente ispirata al libro LOLITA di V. Nabokov)

 

Bastava un tuo sorriso

 

per mostrarti bella dentro e fuori

 

come un inno alla grazia,

 

malgrado le tue smorfie ed i tuoi capricci,

 

desiderabile, né donna e né bambina, favolosa e splendida

 

con la tua travolgente sensualità acerba

 

mista di malizia e d’innocenza.

 

Eri un cucciolo indifeso tra le mie braccia,

 

non riuscivi a tirare fuori la donna che stava nascendo in te.

 

Di quella mia incantevole lolita

 

che mi aveva stregato persino l’anima

 

fino a possedermi del tutto,

 

e del suo sconvolgente modo di essere,

 

non mi rimane ora che l’eco di un coro di fanciullesche voci

 

udite in lontananza e perdute per sempre

 

come foglie morte sparse lungo il sentiero

 

in una stordita calma irreale.

 

È la mia fine come uomo,

 

l’apice della mia ispirazione come artista.

 

La mia vita è ormai alla deriva nelle tue mani di bambina,

 

legata a te da un cordone ombelicale

 

obbedisce al tuo volere senza più orgoglio, senza dignità.

 

Mi tormenta l’immagine dei tuoi coetanei

 

che posano i loro sguardi carichi di desiderio

 

sul tuo giovane corpo.

 

È folle il pensiero che la tua verginale bellezza

 

appartenga esclusivamente ad un uomo della mia età

 

ma più ti sento irraggiungibile

 

e più cresce in me il desiderio di averti.

 

Come un vecchio mendicante ormai solo ed esausto,

 

chiedo ancora ad una ragazzina che non ha colpa,

 

l’elemosina d’un amore che mai potrà darmi.

 

Un amore impossibile, assurdo, folle

 

incomprensibile, a senso unico, non corrisposto

 

ma pur sempre un amore!

 

Forse sono posseduto dal diavolo

 

o forse ho solo qualche rotella fuori posto

 

è tutto così assurdo e illogico

 

ma io credo di amarla.

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in foto: Claudio Ciscommmm

Apr 20, 2018 - Senza categoria    Commenti disabilitati su L’ANIMA DEL MARE (Claudio Cisco)

L’ANIMA DEL MARE (Claudio Cisco)

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DOLCI SILENZI

 

Dolci silenzi mi accompagnano

mentre lo sguardo del mare

arricchisce il cuore,

libera la mente.

Parole incise in un diario

fanno da eco fra le onde,

sembrano perdersi oltre le nuvole

là dove l’orizzonte apre all’infinito.

Il vento modula suoni con la luce

non spegne il suo soffio,

tarda a morire,

si confonde in volo con ali di gabbiani.

Sotto la pelle ambrata

caldo scorre il sangue

pulsa nelle vene

e tutto si fa memoria.

 

 

 

 

 

IL MIO MARE

 

Ecco il mio mare!

Non parlerò.

Non dirò nulla.

Chiuderò solo gli occhi

e respirerò il suo respiro.

Ecco qui il mio mare,

immenso e potente,

dolce e glaciale.

Lo guardo

lasciando volare i miei pensieri,

con gli occhi seguo il suo movimento

scrutando l’orizzonte.

I miei sogni cercano chissà cosa.

Quanta magia c’è in lui!

La sua voce

è un dolce richiamo.

Ed io sono qui ad ascoltarla.

 

 

 

 

 

INCANTO DI LUNA

 

Gli occhi fissati in quel lembo

di luna rilucente a fili d’acqua

portano la mente a ricordare.

Antichi ma vivi sono i palpiti d’amore

la voce si fa lieve nel rimembrare

un grido sulla pelle ricama nuove emozioni.

Trame tessute su corpi nudi

avvolti in lenzuola di sabbia

inventano l’alba di un nuovo giorno.

Onde impazzite nel mare inseguendosi

cancellano ciò che la mente

non riesce a fare.

 

 

 

 

 

VELA

 

Silenziosa e assente

ti fai sospingere

dalla leggera brezza della sera.

Solchi i mari

sembri quasi trasparente

sospesa sull’acqua.

Solo un leggero fruscio

accompagna il tuo viaggio

nella calma del tramonto.

Sei come la mia vita

persa nel mare

della mia solitudine.

 

 

 

 

 

UNA SIRENA

 

Una sirena

in alto mare

mi ha portato il vento,

bagnata di sole,

fresca d’alga marina.

Una sirena

che intona canzoni d’altri mondi,

accorda melodie d’acque azzurre

bianche di schiuma,

profumate di salsedine.

E’ il ritmo del mare;

quando le onde

tuonano di rabbia

nell’urlo della burrasca,

nel pianto di grandine incessante.

O mia sirena!

femmina mediterranea dalle squame d’argento

compagna d’abisso d’agili pesci e crostacei,

dissipa l’inganno dei tuoi inebrianti canti,

sussurrami al cuore sincere parole d’amore.

Intanto

echi omerici mi catturano

si dibattono tragici sul fondo

trascinandomi in un sepolcro senza fine.

 

 

 

 

 

 

UNA BOTTIGLIA NEL MARE

 

Quello che scrivo

lo metto in una bottiglia

e lo affido al mare.

In fondo

non mi ascolta nessuno

non serve nasconderlo.

Verrà trasportata dalle correnti

attraverserà mari ed oceani.

senza pace proprio come la mia vita.

Qualcuno un giorno troverà quella bottiglia

e forse in quel momento leggendo quei pensieri

avrà per sempre un’emozione da ricordare.

 

 

 

 

 

 

ANIMA SOLITARIA

 

Quell’istante tra la luce del giono ed il buio della notte

dove è ancora nitida la linea dell’orizzonte

è magia, è incanto per la mia anima solitaria.

Lentamente cancella con le sue carezze silenziose

ogni traccia del giorno passato

e il suo respiro si fa lieve.

Quella luce rimasta ancora, rischiara le acque

sento in lontananza le voci dei gabbiani

arrivati per il riposo notturno.

In questo momento vorrei essere con te

ad ammirarti, a respirarti

sotto questo cielo che brilla di stelle.

 

 

 

 

 

 

 

SONO COME IL MARE

 

Sono come il mare

e per amore di esso voglio vivere.

Puoi accarezzare le mie sponde di sabbia

e farti cullare dalle mie braccia azzurre.

M’immergo negli abissi

risalendo tra gli scogli.

Emergo tra bollicine d’acqua

simili a mormorii di rosari in coro.

Saltello su distese marine felice come un delfino

fra la voce del vento e quella delle acque.

Il sole affonda fra limpide profondità

dissipando le ombre, scacciando i fantasmi.

Custodisco i tesori di madreperla

vivendo tra fiorite chiome di corallo.

Regalo a chi mi cerca

perle colorate e tempestate di conchiglie.

Sono libero come il mare

e come il mare voglio vivere.

 

 

 

 

 

 

 

LA RAGAZZINA CHE GUARDA IL MARE

 

Appoggiata al muretto

la ragazzina guarda il suo mare

attenta, rapita, sognante.

Quel sole giallo

enorme palla lucente di remoti giochi infantili

saluta il giorno che muore regalando i colori più belli.

Il mare dolcemente si trasforma in adolescente

poi in padre comprensivo

e penetra nell’anima di quella ragazzina.

 

 

 

 

 

PRINCIPESSA DEL MARE

 

Eri tu la regina sullo scoglio

venuta dal mare

sirena dai neri capelli.

Fiera e vanitosa

ti lasciasti immortalare

come principessa del mare.

Tra quelle acque limpide e lucenti

stavi quasi per asciugare

quando tornò quell’onda che verso me t’aveva spinta.

Così il mare t’ha ripreso catturandoti

lasciandomi di te

solo due squame ed un ciuffo di capelli.

 

 

 

 

 

 

MISTERIOSO MARE

 

Segni sull’acqua,

note solitarie,

disperse armonie

come lettere d’amore,

come onde svanite

al rossore di un timido tramonto.

Onda sull’onda

voli di gabbiani che si rincorrono giocando

in un unico suono,

ed io che

sulla riva ti attendo

impercettibile richiamo d’amore.

E per pochi istanti

è come se la mia anima

viaggiasse lontano dalla terraferma

per fondersi con tutti i mari del mondo,

strana sensazione che mi fa sentire

come un verme attaccato ad un amo.

Misterioso mare

dimmi chi sei e che vuoi da me,

sott’acqua

ho cercato il tuo nome,

dall’onda

emerge il tuo viso.

 

 

 

 

 

 

 

DONNA DEL MARE

 

Ella appare e scompare

donna ridente

di bianche vesti ondulate

di piedi nudi e veloci.

Avanza danzando

tra gli scogli addormentati

blu di mare,

azzurra di cielo.

Sorride

vela gli occhi tra le ciglia

allunga le ombre sulle guance

chiusa in se stessa appare profonda, misteriosa.

Poi si rivela d’improvviso

luce emanata dall’anima

festa del cuore

danza di sorrisi.

Suo è il nettare

d’un sensuale richiamo cullato dal mare

inebriante aroma

liberato nel sole e nel vento.

Avanza ondeggiando i fianchi

morbidi e rotondi,

dolce nei gesti

infantile nei sogni.

Nei ricordi antichi che prepotenti riemergono in superficie

il suo ventre suona e risuona

chiama e richiama

si muove, sorride, libera se stesso.

E’ un attimo soltanto

e poi di nuovo ella fugge via e si vela

scompare

nascondendo la sua figura oltre la linea dell’orizzonte.

Sei sparita un’altra volta donna del mare

tua è la pienezza e la bellezza

tuo il profumo della carne e dei sensi

la gioia della vita e dell’amore.

 

 

 

 

.

 

 

IL MARE AMANTE

 

Dolce ed impetuoso

come un’amante.

Ti guardo.

mi affascini.

La tua voce

entra nella mia mente.

Mi lascio accarezzare

dalle tue onde che t’allontanano e riportano da me.

Brividi,

sulla mia pelle.

Il tuo continuo movimento

culla i miei pensieri.

Li porta via laggiù

dove l’orizzonte si confonde con il cielo.

Amami finchè vorrai,

amami e saprò chi sei!

 

 

 

 

 

BREZZA MARINA

 

Lì sul ciglio,

assorto nel silenzio,

ascolto il canto del vento

e con mute parole

dipingo il mare a mio piacimento.

Mare e vento

da sempre complici ed antagonisti,

son la personificazione di attori e registi

in uno scenario naturale

straordinario.

La visione è così spettacolare

sortisce su me un effetto magico

apocalisse interiore e meravigliosa ricostruzione

oggi, come loro,

anch’io sono reso immortale.

Spumose onde si rincorrono

in una danza perpetua

per poi schiaffeggiare lo scoglio

graffiandolo,

umiliandolo senza pietà.

Nell’impatto

stille marine

si posano sul viso,

mi ristorano

da quest’arsura opprimente.

Brezza marina,

ora tocca a te!

inebriami col tuo potere!

rendimi libero e schiavo

irradiami d’infinito.

Coriandoli d’acqua salata,

rapiti dal celere vento fluttuano sull’azzurro tappeto

andando altrove fino a dissetare sua maestà il Re Sole,

immobile spettatore

da sempre assoluto padrone e gran signore!

Inchiodato lassù nel cielo,

riscuote piacere

e splendendo,

a modo suo,

gode!

 

 

 

 

 

 

 

MAREE

 

Noi siamo maree,

vivi e liberi come onde i nostri pensieri

a volte sommersi da potenti   tempeste

altre cullati da dolci zeffiri.

Ma vi è qualcosa di straordinario e grande:

un pensiero unico, travolgente

che cerca il naufragio e non l’approdo,

così fuggente e folle

da essere eterno,

così intenso e imprevedibile

da essere amore.

 

 

 

 

 

 

 

A TE MARE

 

Se solo sapessi esprimere a parole

il sentimento che susciti in me

quando ti vedo

o mio adorato mare.

Quanto spettacolo

nel vedere la tua calma e serenità,

sei celeste e limpido come un neonato,

sembri immune dalla cattiveria di questa vita.

Se solo sapessi

quanta pace infondi nel mio cuore selvaggio.

come mi somigli quando sei agitato,

vorrei avere la tua forza, impeto travolgente e implacabile che tu solo hai.

Se solo sapessi rinascere e diventare delfino,

per poter solcare i tuoi fondali

lasciandomi travolgere dalla schiuma delle tue onde,

sentirei sulla pelle le tue correnti prima calde e poi fredde.

Tu sei come il mio faro nella notte più scura,

il sentiero più   sicuro nel maremoto della confusione,

dolce pensiero di liberazione

quando la solitudine attanaglia il mio cuore.

Non resta che sperare di incontrarti ogni notte nei sogni…

per dare a te o Mare

quella potenza d’amore inespressa

che vibra da sempre dentro di me.

 

 

 

 

 

 

 

SOLO NOI DUE

 

Mare,

oggi ti ho incontrato di nuovo,

in silenzio

ho ascoltato la tua voce.

Il mio sguardo

spazia libero nella tua immensità,

i tuoi colori sempre nuovi ai miei occhi

mi hanno riempito il cuore e l’anima.

Sei calmo, sereno, invitante,

ho accettato la tua chiamata

e mi sono immerso nelle tue acque

sempre così fresche.

Ogni pensiero

si è allontanato,

eravamo solo noi due

in queste prime ore del mattino.

Intorno,

il nulla.

 

 

 

 

 

 

 

NEL FARO

 

Nel faro

i nostri corpi amanti,

come ombre cinesi,

spaziano isocroni

nel futuro infinito,

scanditi lampi di luce

girando nel nulla

accendono desideri

oscurando l’amore.

L’estasi

proietta lontano nel tempo

costellazioni d’amore

per folli amanti.

E il tuo gemere

risuona in me,

ora,

come la risacca

nel mare.

 

 

 

 

 

 

NON SMISI PIU’ DI AMARTI

 

Immerso nel tuo grandioso ventre

popolato da anime colorate

che vivono in te,

mi hai accolto

senza fare domande

nelle tue limpide e chiare acque.

Sei apparso

come un’immensa madre

o forse come una bambina,

dalle tue onde

che mi accarezzano il corpo,

inerme mi lasciavo coccolare.

Sono rapito ed estasiato

la mente mi riporta indietro nel tempo,.

alla prima volta che ti vidi

quando ancora bambino

mi conquistasti all’istante,

provai subito per te un amore profondo.

Leggiadro

mi abbandonai sulla battigia,

i miei occhi rivolti al cielo,

catturati dal volo di gabbiani

che volando in alto

sembravano rincorrersi per gioco come angeli bambini.

Mare

io non smisi più di amarti!

 

 

 

 

 

 

 

CANZONI DEL MARE

 

Fermati sulla spiaggia,

ascolta la melodia del mare!

Pensa

che racchiusi sul fondo di esso

esistono mille segreti

vivono incontaminate bellezze,

un mondo irreale,

quasi finto,

magico,

inesplorato.

In quei profondissimi fondali

anche nell’oscurità più totale,

pullula la vita

d’esseri minuscoli ed enormi,

strani e fantastici,

creature mai viste

inventate da nostro Signore

che appartengono solo al mare.

Ma se hai orecchie anche per udire,

nel silenzio abissale degli oceani,

sentirai le canzoni piu belle.

note antiche di vecchi pirati,

che parlano di donne

e di battaglie, di tesori sommersi.

Canzoni un po’ stonate,

piene di speranze, di sopravvivenze affidate al mare,

con mani seccate mai dome di pescatori appassionati

che sanno di sale, stanche di fatica.

Canzoni romantiche e tenere

d’innamorati incollati

a guardare tramonti morire

e gustare felicità nascente nei cuori.

Canzoni che le onde spumeggianti

trasportano lontano oltre il sole

e che i gabbiani scuotendo le ali

disperdono nell’aria.

In questa notte d’inverno

ci sarà sul fondo

una canzone in più.

La mia voce

arrivera’ dolcemente a te

e questo scrigno

fatto di acqua salata

sarà poesia per me.

 

 

 

 

 

 

PARLAMI

 

Parlami, mare!.

Raccontami le tue infinite storie,

fammi partecipe del tuo mondo.

Ammiro la tua bellezza,

mi spaventa la tua potenza,

mi cattura la tua immensità.

Le tue parole mi arrivano con le onde

s’infrangono nella mia mente

e mi fanno sognare.

 

 

 

 

 

 

IL MIO SOGNO

 

La spiaggia al tramonto.

Cammino

solo con me stesso,

il respiro del mare

accompagna il mio,

il suo profumo

inebria la mia mente,

un gabbiano

vola all’orizzonte.

Mi fermo,

guardo il suo volo,

come vorrei poter volare anch’io

andare lontano

raggiungere il mio sogno

e non tornare

mai più.

 

 

 

 

 

 

 

 

SOSPESO

 

Ti guardo.

seduto davanti a te,

sento il tuo respiro

calmo.

La mia vista

spazia fino all’orizzonte

là dove ti unisci al cielo

e i suoi colori si riflettono nelle tue acque.

Starei ore ad ammirarti,.

in silenzio

seguo il tuo movimento,

lento, continuo, le tue onde arrivano lievi.

Mi avvicino,

lentamente allungo una mano

avverto la tua presenza

sento la tua carezza.

Mi sdraio sulla sabbia

ad occhi chiusi

ne aspetto un’altra

e un’altra ancora.

Mi lascio scivolare via

tu mi accogli,

sento il tuo abbraccio

il mio corpo perde peso.

Sono sospeso

sopra di me l’immensità del cielo.

come ritornare protetto nel grembo materno,

rivivendo quegli attimi ovattati.

Poi dolcemente,

mi riporti a riva

mi adagi sulla sabbia

mi regali. le tue ultime carezze.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TU CHE AMI IL MARE

 

Tu che ami il mare

e ne fai parte.

Tu che voli con ali leggere

e ti lasci trasportare dal vento.

Le tue grida si confondono

con la voce del mare.

E quando sei stanco

ti adagi sulle sue acque facendoti cullare.

Che voglia avrei di seguirti,

di volare con te e sentirmi libero!

Ti regalo un mio pensiero,

portalo con te.

Sopra questo mare,

nel vento.

 

 

 

 

 

 

 

L’OCEANO DELL’ANIMA

 

La felicità

spesso ci raggiunge in silenzio

nei momenti più impensati

della nostra esistenza.

Arriva come un gabbiano

spinto dal vento

e rimane con noi

se non la turbiamo coi nostri pensieri.

L’amore

è come un’onda del mare

che può infrangersi prima del tempo.

Non sarà perduta per sempre dentro di noi,

prima o poi

una nuova onda raggiungerà la riva.

Tutta la nostra esistenza è avvolta nel mistero

proprio come la profondità del mare.

Nei suoi abissi inesplorati

vi è il luogo dove s’incontrano

due realtà della vita:

quella che riusciamo a vedere coi nostri occhi

e l’altra velata dal buio.

Ma nella nostra anima

vive un oceano immenso, potente, sconfinato.

E la nostra immaginazione diviene eternità

spazia nell’infinito

varcando qualunque orizzonte

libera di sognare e di amare.

 

 

 

 

 

 

IL RESPIRO DEL MARE

 

Com’è bello il mare all’alba!

La spiaggia deserta,

l’onda che l’accarezza dolcemente,

il sole all’orizzonte che nasce,

l’aria ancora fresca.

Passeggiare sulla riva,

ascoltare il suo respiro,

sentire il suo profumo

così intenso.

E poi fermarsi

e rimanere a guardare

questo immenso continuo movimento

fin dove l’occhio può arrivare.

Provo

infinite sensazioni,

il mio respiro,

è il suo.

Un richiamo

e lentamente

passo dopo passo

mi ritrovo immerso nelle sue acque.

Mi sento abbracciato

baciato da questo liquido amante.

Mille brividi

percorrono il mio corpo

e mi lascio trasportare,

libero da ogni pensiero.

Che silenzio stupendo!

E’ come rinascere ogni volta.

 

 

 

 

 

 

 

L’ARTE DEL MARE

 

Camminando sulla spiaggia

s’incontrano tanti piccoli particolari

che colpiscono la nostra attenzione:

legni levigati dal mare,

fiori sparsi qua e là   usciti dal nulla,

rami di alberi trasportati   dalle mareggiate,

opere create

da questo meraviglioso ed immenso artista.

Ascolta il respiro del mare,

affacciati alla finestra e guarda ….

Il mare gioca con gli scogli

e li accarezza dolcemente

oppure

si abbatte su di loro con forza

e li plasma a suo volere.

Osserva ancora le scogliere!

le onde del mare

giocano con loro

modellandole come le dita di un artista,

con dolcezza e potenza,

negli anni

ricamano un merletto prezioso,

regalandoci insenature,

grotte bellissime.

Rimani ammutolito

davanti all’arte creativa del mare

e sogna proprio nel punto dove lo stesso

si incontra con il cielo.

 

 

 

 

 

 

IL DELFINO E IL GABBIANO

 

Volava il gabbiano

nel suo pezzo di cielo dipinto di bianchi voli

permeato dei dialoghi striduli

intessuti di piume leggere.

Nuotava il delfino

nel suo giardino azzurro fatto di onde amiche

scomparendo in esse

e riemergendo poco più in là.

Ma un giorno il gabbiano

volò in un pezzo di mare

e il delfino si immerse

in un giardino di cielo osando sognare.

E lì si incontrarono

in quella terra di mezzo che è l’orizzonte,

in quello spazio infinito dove si affacciano i sogni

che è approdo felice di pochi.

Allora il gabbiano disse al delfino:

quali sono i tuoi sogni?

e il delfino rispose: volare e i tuoi?

il mio sogno è imparare a cavalcare le onde, rispose il gabbiano.

E il gabbiano e il delfino si presero per mano

e insieme divennero maestri e scolari l’uno dell’altro,

scoprirono la forza di essere in due

e di saper sognare.

Quando venne il momento di separarsi

il gabbiano disse “addio” e riprese il suo volo

“addio” rispose il delfino

e scomparve nel blu.

Ma il suo cuore di oceano

aveva messo le ali

così come il cuore di aliante del gabbiano

che adesso solcava i mari.

Erano a conoscenza entrambi

che prima o poi si sarebbero incontrati nel cielo o nel mare

ormai sapevano essere mare e sapevano essere cielo

e all’orizzonte potevano essere sogno.

 

 

 

 

 

 

 

QUELLA STRANA RAGAZZA

 

Magia di una notte di luna piena.

Non riuscivo a dormire.

Le tende bianche svolazzavano leggere

e una chiara luce illuminava la stanza.

Il respiro del mare arrivava alle mie orecchie

il richiamo era troppo grande per resistere.

Una figura

dai lunghi capelli biondi,

innamorata del suo mare

veniva verso di me.

Il suo sorriso era dolce

i suoi occhi tristi,

quella strana ragazza confidava al mare sogni e segreti

sicura che mai nessuno li avrebbe rubati.

Disperato io la chiamavo

in quella notte di luna piena,

avevo bisogno che qualcuno mi ascoltasse

sognasse per me.

E lei era già là

a piedi scalzi,

sulla sabbia umida e fresca,.

si lasciava accarezzare dalle onde.

I suoi occhi erano quelli del mare

guardavano la luna e il suo chiarore

inseguivano i suoi desideri,

rincorrevano i suoi sogni.

La luna

era alta nel cielo,

la sua luce argentea

illuminava il mare.

Gli occhi di quella strana ragazza

seguivano il ritmo delle onde,

la vedevo correre,

ritornare a vivere.

 

 

 

 

 

 

UN ALTRO GIORNO MUORE

 

Il sole

gioca con i colori,

ogni volta

sempre diversi.

Come non volesse mai andare via

fino all’ultimo momento

i suoi raggi si specchiano nelle tue acque

trasformando l’orizzonte in un una tavolozza dai mille colori.

Il cielo scuro

si riflette in te

come in uno specchio,

e tu diventi triste e il vento muove le tue onde.

Un altro giorno muore

dimenticato nel silenzio,

solo un gabbiano sopra di te

vola.

 

 

 

 

 

 

 

QUEL MARE

 

In quei giorni

ero triste,

disperatamente solo,

ateo,

col cuore chiuso nel ghiaccio.

Per fuggire dal mondo,

lontano da tutto e da tutti,

mi rifugiavo lì nel solito posto

sulla spiaggia in riva a quel mare.

Quante volte ho pianto!

volevo capire,

essere amato,

tornare bambino,

e parlavo al mare della mia solitudine.

Più volte seduto sopra quella sabbia

ho provato ad alzarmi di scatto

per andare incontro al mare

sempre dritto fino ad annegare.

Desideravo affidare

a quelle acque a me così care

il mio corpo,

e farla finita per sempre.

Ma qualcosa invisibile e forte

mi ha sempre fermato

proprio sul punto di farlo,

oggi che sento Gesù nel cuore

capisco che è stato Lui a bloccarmi.

Adesso la mia vita

è completamente cambiata in positivo,

torno spesso in quel posto

ma non mi sento più solo.

Gesù è con me,

sento gioia, felicità, certezza,

ho dentro una ricchezza immensa

non spiegabile a parole.

E’ una potenza d’amore, una luce infinita,

e quel mare che prima mi parlava di morte

o non mi rispondeva affatto,

oggi comunica col linguaggio della pace.

 

 

 

 

 

 

 

I TUOI SEGRETI

 

L’immensità che ti porti dentro

è come il mare.

Non scorgo l’orizzonte

del tuo essere.

Cielo e acqua si fondono

nella tetra nebbia della tua solitudine.

Non ci sono velieri di speranze in te,

e nemmeno alghe

che possano attaccarsi agli scogli.

Rifiuti la mia àncora di salvezza:

perchè ti lasci annegare così?

Preferisci naufragare nelle tue paure

per poi morire

nel vento e nella tempesta del tuo dolore.

Non posso far nulla se non ti lasci aiutare,

darei la mia vita per te.

E come un marinaio sconfitto

vago alla scoperta dei tuoi segreti.

 

 

 

 

 

 

ANIMA INQUIETA

 

La mia anima inquieta

di naufrago Ulisse,

non ha smesso

di navigare;

non ha porto

cui fare ritorno,

non ha lidi

sui quali approdare,

è perdutamente libera.

Dolce sirena,

più del tuo canto

mi vince il silenzio.

 

 

 

 

 

 

LE ALI DELL’ANIMA

 

C’è un momento nell’universo

in cui il cielo

incontra il mare.

Ed è proprio in quell’istante

che le ali dell’anima

iniziano a volare…

 

 

 

 

 

 

LA POESIA DEL GABBIANO

 

E’ arrivata esultante

la stagione del gabbiano,

è tempo di migrare

verso terre lontane

per scoprire nuovi segreti,

nuove sensazioni.

Un nuovo giorno è oggi

per spiccare il volo

sulla superficie del mare aperto,

sull’orlo dell’oceano,

per volteggiare sulla cresta dell’onda.

Vola nel vento gabbiano!

vola più in alto che puoi!

non ti fermare.

La mia penna

saranno le tue ali,

i miei versi

la tua scia.

 

 

 

 

 

 

 

IL MARE E LA BAMBINA

 

L’inesorabile sbattere delle onde

graffia gli scogli,

li scolpisce,

li modella.

La bambina,

con la vestina gialla e il fiocco stretto in vita,

ha negli occhi l’immagine del sole

per l’ultima volta visto.

Guarda il mare,

vi proietta quell’immensa luce.

E’ solo un attimo

e l’acqua la travolge.

E dopo è solo luce

luce che rischiara e scalda il mare

e la bambina è solo acqua.

 

 

 

 

 

 

LA SPOSA DEL MARE

 

Il suo corpo appartiene solo al mare

fedele sposa e amante del potente Nettuno.

Avanza elegante tra schiere di pesci

nel suo abito bianco,

spuma di cristallo

dal riflesso lunare.

Avanza la sposa sopra le onde,

cadono fiori dal cielo stellato

cielo che si confonde col mare,

brezze di vento

alitano accanto,

leggero un profumo di conchiglie

si diffonde sulle coste.

E’ un rito la sua danza

sulle acque in controluce,

lontano s’ode un canto.

 

 

 

 

 

LAGGIU’ DOVE SI DISPERDEVA IL MARE…

 

Si dirada come per incanto

la nebbia che mi avvolge

e s’apre d’improvviso il cielo

col suo manto azzurro,

torno a ritroso nel tempo in seno ai miei ricordi

come alghe marine che succhiano caute mammelle di roccia.

Mi rivedo di colpo adolescente

quando evitavo i compagni e le feste

e restavo da solo per ore

ad osservare la distesa infinita del mare,

una voce dentro mi ripeteva sempre:

“i sogni non muoiono mai”.

Cercavo la libertà,

mi chiedevo se nell’universo esistesse qualcuno simile a me,

immaginavo di volare via per scoprire il mondo

senza ritorno, senza fermarmi

come un’onda senza mai una spiaggia

ed i miei occhi ragazzini curiosi e attenti,

si perdevano in lontananza,

laggiù dove si disperdeva il mare oltre l’orizzonte.

 

 

 

 

 

 

 

ALLONTANA DA ME QUESTO CALICE

 

Allontana da me questo calice, Mare!

non voglio berlo,

non è vino

ma è sporco di sangue, veleno per il mio spirito

è salato

come schiuma di mare.

Allontana da me questo calice, Mare!

non lasciare che io m’immerga in te

sino a scomparire sott’acqua,

sono ancora vivo

il mio corpo inerme non giace sul tuo fondale.

Allontana da me questo calice, Mare!

sono solo un uomo di carne e ossa

non posso vincere le tentazioni

non riesco a sconfiggere forze soprannaturali,

abbi pietà di me. Nelle tue acque ho gettato la rete.

Allontana da me questo calice, Mare!

sono come Gesù nell’orto degli ulivi

non posso perdermi

e tu non puoi abbandonarmi

ora che ne ho più bisogno.

Allontana da me questo calice, Mare!

trasmettimi la potenza delle tue onde

la libertà del tuo orizzonte,

fa’ che la tua immensità

riempia la mia solitudine.

Aiutami!

 

 

 

 

SOGNI DI SIRENE

 

Era quello un modo

per rinascere innocenti

su una strada nuova,

come se una dea partoriente

avesse plasmato il suo feto

in schiuma di mare,

fino a ridosso delle correnti

dove accorsero sirene

a cantare ninnananne al vento,

richiamo vibrante

d’antica preghiera,

primordiale anelito

di sfiorare Dio,

 

 

 

 

PERDENDOMI NEL TRAMONTO

 

Un altro giorno sta passando uguale agli altri

ed io sono da solo con i miei pensieri come sempre,

dentro l’anima sospesa tra i ricordi e l’infinito

una irrefrenabile voglia di fuggire via,

di respirare forte l’aria.

Con la mia auto corro sull’asfalto verso chissà dove

come per riscattare l’anima dal suo torpore

ma la strada sembra farsi sempre più triste.

Il sole scende lentamente all’orizzonte,

la sua luce filtrando attraverso le mie lacrime

mi mostra il suo colore su ogni cosa intorno

avvolgendo il paesaggio d’una malinconica bellezza.

Vedo la spiaggia deserta,

cammino udendo il rumore del mare che s’infrange contro gli scogli,

sento il calore della sabbia sotto i piedi nudi e mi scopro vivo

seguo la via illuminata che il tramonto sembra indicarmi.

E in quella luce come una visione

mi appare il tuo viso

così vicino da sembrare reale,

per quante notti l’ho sognato.

Purtroppo i sogni vanno via col vento e si dissolvono

ma io, chissà perchè, non l’ho mai dimenticato.

Ora vedo scomparire laggiù in fondo al mare

il sole,

nasconde i suoi ultimi raggi quasi furtivamente,

e la superficie dell’acqua,

che nelle giornate serene luccicava

come ricoperta da miriadi di specchi,

assume quel triste colore che segue al crepuscolo

delineando il profilo d’una natura morente.

Anche il tramonto ormai,

come tutte le mie cose più belle,

è fuggito via.

Ed io mi trovo ancora qui in riva al mare

senza sapere il perchè.

Portami via dove sei tu

non lasciarmi solo.

Distante dal mondo

senza ombra viva intorno e col tempo che vola,

la mia anima s’è perduta

volgendo anch’essa al tramonto.

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in foto: Claudio Ciscouid_11ad967e4a4_580_0

Apr 20, 2018 - Senza categoria    Commenti disabilitati su LUCE (Claudio Cisco)

LUCE (Claudio Cisco)

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LUCE

 

Quando nel buio della notte

perdutamente solo

come un bambino prego,

sento nascermi dentro una forza improvvisa

calore ed energia mi esplodono nel corpo,

ed è di nuovo LUCE nella mia anima

di nuovo LUCE dentro i miei occhi

gioia nel cuore

festa di sorrisi.

Quando invincibile

il male sembra sconfiggermi

ed ombrosi pensieri mi spingono verso la morte

una potenza positiva forte come un fuoco

scorre divampando nelle mie vene

ed è di nuovo LUCE nella mia anima

di nuovo LUCE dentro i miei occhi

pace nel cuore

libertà nella mente.

Quando con brividi di freddo

la paura mi assale

ed io credo di non farcela più

una voce intima mi infonde coraggio

pronta ad aiutarmi mi tende la mano

ed è di nuovo LUCE nella mia anima

di nuovo LUCE dentro i miei occhi

amore nel cuore

equilibrio nella mente.

Quando terrorizzato d’invecchiare e di morire

solo senza compagna e senza amore

sono schiavo del terribile pensiero che la mia vita non abbia senso o valore

tu cancelli di colpo questa mia agonia

la tua presenza rende preziosa la mia esistenza

ed è di nuovo LUCE nella mia anima

di nuovo LUCE dentro i miei occhi

serenità nel cuore

comunione con te attraverso la mente.

È di nuovo LUCE, LUCE e soltanto LUCE!

E spariscono le tenebre

fuggono da me fantasmi e demoni

è sconfitto il serpente.

Solo LUCE, LUCE, e per sempre LUCE.

Ed io ora so

che non smetterai mai di illuminarmi.

 

 

 

 

 

VIALE ALBERATO D’AUTUNNO

 

Cade una foglia

soffice piuma

leggera

volteggia nell’aria

come una ballerina che danza sulle punte

poi

si posa per terra

sul tappeto di questo viale alberato

anch’essa

parte d’una coperta

ingiallita

di foglie morte.

L’autunno è arrivato

con la sua malinconica dolcezza

ed ogni albero si sta spogliando

del proprio vestito.

I rami ormai nudi

sembrano tendere

le proprie braccia al cielo

quasi come ad abbracciarlo.

In un amplesso tenero ed appagante,

io mi stringo a te,

alma Natura,

voglio cogliere ogni tuo palpito

e respirare il tuo stesso respiro,

vestendomi dei tuoi colori.

 

 

 

 

 

CASTELLO ANTICO

 

Il castello

sta

là,

disteso sul colle

come statua imponente.

Guarda

nebbie e fantasmi

terre ed oceani

monotoni e spettrali

nel tempo che passa.

Ricorda

lotte e tormenti

amori e passioni

nel volgere lento

dei secoli.

Fra quelle mura antiche e millenarie

trova ancora rifugio un vecchio gabbiano

ammalato e stanco

che mira da lontano

le immense acque solcate nei voli.

 

 

 

 

 

MONTAGNE

 

Maestosi giganti addormentati

o eruttanti fuoco fra le gole,

vi osservo in silenzio su pendii boscosi di valli ridenti

brillare al sole come rocce ardite.

Cime svettanti che austere sfidate il cielo

incontrastate padrone dei grandi silenzi

accogliete le aquile, scrutate i mari

riconciliatevi con l’immenso.

Dolci declivi bianchi di pura neve,

inesplorati paradisi e regno di purezza,

siate finestra aperta verso l’infinito,

dove quiete e pace dànno ebbrezza.

Voi segno di grandezza vera,

espressione della potenza della natura madre,

noi al confronto tante formichine,

prede di paure e confusioni.

 

 

 

 

 

PRESAGIO DI MORTE

 

Ho un presagio,

qualcosa serpeggia nell’aria,

striscia invertebrata nella memoria,

credo sia angoscia,

spettro del mio respiro pesante.

Ansimo,

ho il fiato corto,

sarà paura,

e m’abbandono,

vinto.

È punta di spillo che penetra le mie carni,

solitudine

vuoto,

è vento di ghiaccio che invade

rapida mi scava nelle ossa.

Schiava la mia mente di lei e del suo male

vorrei almeno vederla, comprenderla

ma ella non si mostra,

mi osserva,

la si sente e basta.

In un muto silenzio

come trasparenza nascosta

penetra profonda nelle mie pupille,

non posso che subirla ma adesso so cos’è:

presagio di morte.

 

 

 

 

 

 

L’ANTICAMERA DELLA MORTE

 

La paura dilata il tempo come un elastico

il cuore palpita disordinatamente,

ansima il respiro.

Occhi catturati dall’inquietudine,

sguardi impietriti dal terrore,

il volto è una maschera.

Il corpo dapprima si oppone,

si dimena,

poi affoga in una lenta agonia.

Mentre il torpore immobilizza gli arti,

il cervello resta lucido qualche altro istante,

poi si perde la concezione dello spazio e delle ore.

Confusa e impaurita la mente,

l’abbandono può sembrare dolce e soffice,

l’ultimo respiro sembra seta.

L’uomo ora è rigido,

si adagia smarrito,

perduto.

L’attimo che segue è l’anticamera della morte,

il tempo   immoto,

gli occhi pesanti, opachi, vitrei.

A malapena distinguono i colori,

si allontanano dalla vita,

graffiano la memoria.

Alle luci dell’alba

sguardi deliranti sigillano le tenebre

le labbra spalancate in una smorfia amorfa.

La morte brinda in calici d’argento,

il silenzio diventa

perfetta armonia.

 

 

 

 

 

 

LEI MI SEGUE

 

Ovunque io vada

lei mi segue

in silenzio

discreta

e senza farsi notare.

Ogni tanto mi sembra

di sentirne il respiro

dietro ogni angolo

ogni porta

ogni passo.

Non serve correre

rifugiarsi

scappare chissà dove

lei è la mia ombra

e ci sarà sempre.

Non riesco proprio

ad allontanarla da me

mi ossessiona

sono l’unico ad accorgermi di lei

soltanto io riesco a vederla.

Ma forse una soluzione c’è

no! non cadrò nelle sue braccia

non sarò il suo burattino abbandonato

ormai ho deciso

sarà la mia poesia a farmi fuggire da lei per sempre.

 

 

 

 

 

IL MIO DESERTO

 

Non ho mai conosciuto amore alcuno

in quest’orrido deserto

che è la mia vita,

solo miraggi d’amore inesistente

sete d’acqua mai bevuta.

È il deserto

quello nel quale mi ritrovo,

ricordo che è stata la mia culla,

momenti di intensa solitudine,

di preghiere inascoltate rivolte al cielo.

In fondo è sempre in esso che mi sono ritrovato

dopo lunghe corse affannate ad inseguire il vento,

a sognare di raggiungere le stelle,

nei miei occhi neanche un raggio di quel sole,

solo freddo nell’anima e nulla più.

Sento la notte nel mio cuore,

alitare con lunghi interminabili silenzi

giovinezza sfuggita fra le dita e perduta per sempre

sogni svaniti all’alba.

Non mi è rimasto che rifugiarmi nel deserto, amico fedele

lì anche se triste ogni cosa è mia,

è solo sabbia lo so, echi di silenzio

ma almeno non posso perdere

ciò che non ho mai avuto.

In questo mio deserto

il niente è tutto per me,

e il mio tutto è niente per il mondo,

oggi è la mia casa,

domani, la mia tomba.

 

 

 

 

 

 

SOLO

 

Pagina di giorni inutili

spesi a pensare e piangere,

muta amica di parole confidate ad un diario

silente fanciulla triste ma accattivante.

Con la tua veste leggera di tulle

mi inviti a ballare

un giro di danza e mi dici perfino:

“sai che amo ballare con te!”.

Mi afferri le mani e me le stringi forte

ed io mi sento così bene,

è tutto incredibilmente assurdo

incomprensibile.

Ma non vedi la contraddizione

nella nostra amicizia?

Io con te dovrei sentirmi…

solo!

 

 

 

 

 

 

PULEDRINO

 

È una piccola bellezza la sua

in tutti i sensi,

con quelle gambette ancor deboli.

Venuto alla luce da una settimana,

ha sempre un’aria incuriosita

per tutto ciò che di nuovo gli sta intorno.

È completamente nero come la notte,

con soltanto un piccolo raggio di luce sulla fronte;

fa tenerezza con quel corpicino che appena nato muove i primi passi.

Non so… ma questa piccola creatura

possiede una bellezza estranea a questo mondo, una novità

due occhietti dolci che osservandoli ti fanno innamorare di lui.

Ora, disteso fissa il vuoto

chissà a cosa pensa!

le sue orecchie attente aspettano qualcosa di curioso.

Appena la sua mamma si muove

lui la segue come se avesse paura di rimanere da solo,

in questo mondo che sente ancora straniero.

Con quelle lunghe gambette e tutto il suo corpicino

scoprirà pian piano la vita

e non sarà più un gioco.

E chissà,

forse un giorno sarà libero di correre lungo i campi

da solo con la sua raggiante bellezza.

 

 

 

 

 

 

AL MIO CANE

 

La tua presenza

colmava il vuoto

della mia oziosa solitudine,

spesso mi contrariava

il tuo lungo abbaiare

che ora mi manca da morire.

Mostravi tutta la tua gratitudine

stendendoti ai miei piedi

e mi contemplavi,

parlavi con gli occhi

ci capivamo

nell’incrociarsi dei nostri sguardi.

Ci ritrovavamo sempre

nel nostro mondo

pieno d’abitudini,

forse

non ero solamente il tuo padrone

ma il vero amore.

Oggi non ci sei più

la tua festosa compagnia

si è dissolta

nella morte

ricoperta

dalla nuda terra.

Ma per me

rimani sempre una ferita aperta

incancellabile ricordo dentro al mio vuoto

nel ripiombato abisso

d’un’altra e più profonda

solitudine.

 

 

 

 

 

 

FARFALLE

 

Le ali son come petali

di fiori colorati,

e con eleganza

volano posandosi sui prati.

Ed è in festa la radura

per quelle piccole creature sospese in aria,

sorride gioiosa

la natura tutta.

Un’esistenza tanto fragile

quanto bella e preziosa la loro

che dura solo qualche giorno,

il tempo di imparare a volare e farsi ammirare.

Ma a differenza degli uomini

accomunati dallo stesso destino,

son felici ugualmente mostrando di apprezzar la vita

e spensierati si godono

la loro breve gita terrena.

Son consapevoli

d’aver concorso fino in fondo

a far stupire gli uomini

e colorare il mondo.

 

 

 

 

 

L’AQUILONE

 

Un esile ma robusto filo

ci lega l’uno all’altra

e tu mi conduci senza esitazioni,

ed io posso andare più in alto

e scorgere paesaggi sublimi., bellezze mai viste.

Corri veloce

ammiro il mondo oltre la collina,

al di là delle montagne fino al mare

dove il cielo dona voce solo al mio respiro

mentre l’infinito abbraccia i miei pensieri.

Qualche nuvola all’orizzonte

accompagna il mio volo sempre più leggero

ed il vento mi sostiene l’anima

innocente e bambina in questo cielo azzurro,

più su di così io non sono stato mai.

Non so se le mie ali sono davvero forti,

o sei tu che mi incoraggi,

da quassù ogni segreto,

ogni promessa,

sembrano più veri, non arriva la cattiveria degli uomini.

Di quella terra lontana non scorgo più nulla,

quasi fosse ormai dimenticata e perduta

qua in alto tutto sa di eternità,

sto assaporando lentamente

la magia che mi circonda.

Vorrei descriverti ogni cosa che vedo

trasferendoti le emozioni che provo

ma tu continui sempre a dirigermi,

non ho paura di volare, sai

mi sei vicina nei pensieri.

Ora conosco i desideri del cuore

vivono scolpiti in me

ed io volerò per sempre

e ti porterò con me ovunque

al di sopra di queste montagne, oltre l’orizzonte

nello spazio infinito.

 

 

 

 

 

TU

 

Tu!

un vento gelido che consuma il respiro,

un bacio di lapide

dal sapore di terra,

tu mi indichi il cammino verso la morte.

Tu!

sei la notte del vampiro

che sorge dalle macerie della mia disperazione

triste riflesso di luna piena,

tu godi della mia rassegnata sconfitta.

Ma tu non sai

di quella scritta scolpita sul legno

di un ulivo arso dal vento,

che perde sangue lasciando un segno eterno di riscatto:

Sangue innocente di perdono, non di condanna.

Dopo tre giorni scaraventato fuori dalla tomba

slegato da ogni legame mortale.

Tu sconosci

che quella morte mostrava la vita

non più pioggia di dolore ma riso di angeli

in quella croce la definitiva vittoria.

 

 

 

 

 

C’È QUALCOSA

 

C’è qualcosa che immagini

quando sei bambino

e che poi perdi da grande.

È una sensazione magica

figlia della tua innocenza

vivida d’una luce quasi immortale.

Ma se da adulto riuscirai a ritrovarla,

davanti ai tuoi occhi

come per incanto si aprirà l’universo.

E le sue leggi lo governeranno con amore

e sarà armonia

bellezza cosmica.

L’oceano non ti farà più paura

e vorresti essere una goccia d’acqua

per unirti al mare.

E scoprire il tutto

essere in simbiosi con la natura

ammirarne il fascino.

Vorrai dare agli altri

la ricchezza che avrai dentro,

fino ad entrare in comunione con Dio.

Sentirai il bisogno di parlargli nel silenzio del tuo cuore

ringraziarlo per averti donato la vita

con le sue meraviglie sempre nuove.

 

 

 

 

 

SOGNO SVANITO

 

Sono in un prato,

un grande prato fiorito,

pieno di pace

e silenzio,

lì vedo i miei sogni perduti

impossibili

finiti.

Ci sei anche tu con essi

mi tendi le braccia con i capelli al vento

accenni un sorriso

ed io ti corro incontro,

ma di colpo mentre sto per sfiorarti

il mio sogno si spezza,

e il prato ridiventa il mio letto.

Il cielo torna ad essere un bianco soffitto,

tutto intorno si trasforma

il sole diventa luna,

il giorno notte,

ed è caos nella mia mente,

tormento nel cuore,

mi ritrovo solo.

Non più il tuo sorriso

ma lacrime nei miei occhi,

quella brezza leggera è ormai vento freddo sul mio viso,

addio mio dolce sogno inghiottito dalla realtà

di te mi rimarrà solo il ricordo

e la speranza di incontrarti di nuovo,

intanto mi consumo nella mia tristezza.

 

 

 

 

 

AD UN PASSO

 

La tua esile figura,

trasfigurata nello specchio dell’universo

come spicchio di luce scende dall’alto

e attraversa cieli

strati di lucide gemme.

Entra così nel giardino della mia vita

fiore rigoglioso che affonda radici

nella terra della mia carne,

mutando destinazione

orientandosi su di me.

Ed è amore

puro

asceso come in un vortice

alimentato dalla forza della speranza,

pervaso da particelle fuse di materia.

Imponente figura

regina e sovrana

giri le spalle

all’ultimo sguardo della tristezza

ormai

ad un passo dall’amore immortale.

 

 

 

 

CONCHIGLIA

 

Come una conchiglia

che racchiude in sé

i profumi e i segreti del mare,

attendi che le mie mani calde

si posino su te,

forti e gentili,

per raccogliere la tua essenza.

Spuma di mare e salsedine sulla mia pelle,

accarezzi il mio involucro

fragile eppur millenario con te vicino

mi osservi mostrandomi la tua fiduciosa nudità,

per poi sussurrarmi all’orecchie

suadenti parole d’amore

in un mistico erotismo.

Portami con te

nell’intimità di un pensiero ribelle,

cullami,

come onda che lambisce le coste,

scaldami,

con carezze e sguardi penetranti

infine vivimi.

Tu sarai per me fantasia che non teme realtà

ed io sarò per te complice silenzioso e compagno di giochi

di fughe e ritorni,

innocenze e malizie

brezze di desiderio

che spirano gioiose

e rallegrano il cuore.

E saremo

semplicemente noi,

attimi di vita,

creature senza tempo

anime viventi

liberi

indelebili.

 

 

 

 

 

ISTANTE ETERNO

 

Mi svegli di soprassalto,

la notte è carica di misteriosi segreti.

Esco dalla mia morbida tana

ed inseguo una fata irrequieta.

Mi conduce lì,

in luoghi soavi ed incantati.

Boschi incontaminati, fiumi e laghi scintillanti

profumi nascosti eppur quasi reali.

Lì incontro gli elfi, mitiche originali creature

e anche gnomi, folletti, e tanti strani esseri sconosciuti alla realtà.

Rimango a braccia aperte sotto cascate d’acqua cristallina

poi volo libero tra vulcani e nuvole.

Guardo affascinato ma non domando nulla

non oso chiedere dove sono.

So soltanto che è stato un istante eterno,

spazzato via troppo in fretta dalla bufera della vita.

 

 

 

 

 

SUSSURRI

 

Solo sussurri

parole senza voce

sovvien la morte,

riverberi di luna

a illuminar la notte

ritagliano paure ancestrali.

Occhi negli occhi

scorre l’ultimo sangue

mani giunte in preghiera,

antiche speranze in Dio

amor oltre la vita

sigillato in eterno.

 

 

 

 

IL GIOCO DELLA MORTE

 

Si è fatta bella

la morte,

che con mano gentile

dell’inferno m’ha schiuso le porte.

Stanotte ha indossato per me

l’abito da sera,

soffiandomi lieve sul viso

un alito di primavera.

È Bella!…È santa!… Così vestita da puttana,

giarrettiera, pizzo e calze a rete.

Con mosse seducenti s’aggiusta la gonna tra le gambe,

mentre si aggira furtiva con la sua falce intorno a queste tombe.

Intenso il suo odore,

inebria come vino l’aroma del peccato,

gocce di mistero i suoi occhi,

sensuale si manifesta il profumo del tormento.

Malizioso e penetrante il suo sguardo grigio fumo

m’ ha legato con robuste catene

e posseduto sull’altare del piacere

attimo di fugace emozione.

Come rito sacro

di gran sacerdotessa,

intenta a celebrare

messe nere.

Pezzi di carne cruda

e sangue offerti in sacrificio,

calice di fiele per acquietare

l’ansia nell’oblio.

Incantevole, dolce ella appare

e io l’ho amata

su un letto di passione impudica e discinta

intensi orgasmi i nostri tra lenzuola di seta,

nettare d’ambrosia e miele il suo calice.

È cosi bella….Così dolce ….Mio Dio !

sul viso vivida

risplende una luce.

Sembra innocente e pura

come una bambina,

il mio nero angelo

invece mi tenta come una sfrontata sgualdrina.

La   cerco!… La voglio! … La bramo!…

non conosco il suo nome

ma in silenzio

la chiamo.

Da questo mucchio di cenere e ossa

dove è sepolta sotto nuda terra,

la mia sconsacrata fossa

è già pronta.

Leggera come un’odalisca

ella volteggia su opposti cieli,

sinuosa muove i passi di una strana danza,

sventolando lunghi veli.

È allegra…libera… e mi sorride!

Mentre cerco di afferrarla con le dita scheletrite:

“Dimmi come ti chiami!” le chiedo finalmente,

me lo scrive con rossetto color porpora

su una lavagna azzurra

illuminata da una stella:

“Amor mi chiamo io! E dolore è… l’eterno compagno mio”

mi risponde.

 

 

 

 

PREGHERÒ

 

Pregherò per chi mi ha creato

e per te che mi sei sconosciuto,

per chi nel deserto arso dal sole

brama un sorso d’acqua

e per chi nel freddo degli inverni

batte i denti esposto alla neve.

Pregherò per chi crede di cambiare

qualcosa con una guerra,

e allo stesso modo pregherò

per chi suda nella valle della vita,

mentre scuote con fatica

le zolle della propria terra.

Pregherò per chi cura le piaghe del corpo

non vedendo le ferite della propria anima,

pregherò anche quando da te

sarò cacciato, non capito

perché solo di parole sarò vestito

e di fede consolato.

Pregherò accettando

il tuo passo nel mio confine

condividendo senza spartire,

imparando a servire prima di mangiare

porgendo rispetto perché anche tu come me

non rimanga da solo ma faccia parte di un tutto.

Pregherò per chi è rinchiuso

dentro o fuori le mura,

che sia prigioniero d’ingiustizie

o per le proprie colpe,

per chi è un re e si sente povero

e per chi è povero ma si sente un re.

Pregherò per i tuoi azzardi

perché non di sola mano sarà il peccato

ma conteranno anche gli sguardi

di chi umilia con occhi e gesti,

pregherò per chi non crede

e per chi da poco ha imparato a farlo.

Pregherò senza giudicare perché ho peccato più di te

io che non so neanche il tuo nome,

pregherò senza limite alcuno

e ancor più per chi ha offeso

nella speranza che scopra

il valore di un perdono.

Pregherò

chiunque tu sia

alla luce del sole

o nel buio di questa notte

perché tu mi abbia al fianco

qualunque sarà la nostra sorte.

 

 

 

 

 

LA BAMBOLA GONFIABILE

 

Per quante notti

ti ho tenuta stretta a me, mio pneumatico amore

sotto le lenzuola come una vera amante!

Ti ho baciata, accarezzata, posseduta

quanto liquido seminale ho versato su di te

e quante dolci parole d’amore ti ho sussurrate.

Eri giovane in viso con trecce infantili

seducenti le tue forme

ti mostravi sempre pronta e disponibile.

Oggi rido di te

dell’assurdità di averti comprata

e tenuta nel letto con me per così tanto tempo.

È stata solamente follia

o la mia solitudine forse è la chiave d’ogni risposta

ma non c’è nulla di logico in questa pazzia che è la vita.

È la mente umana

specie la mia nella propria lucida follia

ad esser così ammirevolmente imprevedibile.

 

 

 

 

 

CARITÀ

 

Siede un mendico

lungo la strada

con voce querula

tende la mano.

Passan le donne

lo sfioran gli uomini

nessuno sguardo

verso il vecchio scarno.

Eppur egli tende

più smunto il viso

sempre protesa

la mano tremante.

O perché mai

indifferente l’uomo

alla miseria resta

del proprio fratello?

 

 

 

 

 

ATTESA

 

Felici tanto

al tremulo trillar d’un campanello

i bimbi escono da scuola.

Ed erra una gran gioia tutta intorno

che irrompe impetuosa nel cortile

fra dolci braccia trepide d’attesa.

È tutto un luccichio di mille speme

di palpiti e d’amore

su cui sorride intatto l’arco dei cieli.

 

 

 

 

MIA STREGA

 

Balla mia strega

balla per me muovendo più forte i fianchi

balla con il corpo e con l’anima.

Balla sotto questa luna piena

colora d’argento i miei sogni

nei tuoi occhi vedo riflessi cosmici diamanti.

Non ho bisogno di bere il tuo filtro

mi hai stregato solo con lo sguardo

mi hai in tuo potere ormai.

Riempimi i sensi e l’anima di te

abbandonati tra le mie braccia

e regalami la tua follia per sempre.

 

 

 

 

 

LA BELLEZZA DEL SILENZIO

 

Chiuso in un silenzio

senza fine

la solitudine mi fa compagnia.

È bello il silenzio

è di una bellezza

che fa paura.

 

 

 

 

 

COLORI SPENTI

 

Tu, bambino che abbracci un fucile e spari,

dimmi cosa guardi lassù.

Io vedo solamente un cielo di fuoco che illumina la notte,

cammino tra i campi ed urto contro… la morte.

E tu, bambino che schiavo fai la guerra imbracciando un fucile,

dimmi, raccontami di quando nei prati vedevi fiori bianchi.

Io… non li vedo più!

osservo solo occhi che non guardano più alcun colore,

orecchie che non sentono più alcun rumore

cuori che non provano più alcun dolore.

Erba spezzata, prati calpestati, fiori contaminati.

Io bambino Italiano chiedo a Dio per te,

un infinito giardino, che risvegli il tuo cuore e ti riporti a giocare.

 

 

 

 


OCCHI SENZA LUCE

 

Ti guardi riflessa allo specchio,

sei bella ancora,

ma come sei diventata adesso? Sembri anestetizzata

chi sei? Fuggi da questa tua vita vuota.

Hai il viso di sempre,

i gesti, le smorfie

non son cambiate,

ti manca il sorriso lo so

ma sei tu, positiva, anche se credi di non esserlo

sei quella di prima,

la stessa che un tempo correva felice, eri un mito per me

ingenua, innocente, serena

con gli occhi pieni di sogni,

diamanti di luce

sei sempre tu, speciale, non immagini quanto

son solo passati due anni!

tu non puoi sentirti già vecchia, inventa di nuovo la vita.

Hai cercato la tua libertà senza sapere mai dov’era.

I sogni

ti sono stati rubati dal destino

e tu,

sei da sola nel mondo,

fantasma vagante senza pace

inquietudine nell’anima.

Dolore?

Sì,

tu l’hai conosciuto, vissuto e forse ti ha fortificato

ma ora non è tempo di morire come credi.

Devi reagire alle ingiurie e ai malanni che ti stendono,

risorgere dalle macerie: morire è il nulla

chi vive può ancora sperare.

Vedrai cambierà solo se tu ti ritroverai

e ritornerai ad essere quella di ieri in una casa che non sia solo tua.

Adesso anche gli occhi

sembrano spenti, svogliati

e non è rimasto che vuoto,

un corpo riflesso allo specchio,

privo d’identità, senza reazioni

che non sa chi sia, ridotto ai minimi termini

giovane ancora,

ma vecchio dentro,

vivo

ma senza sangue nelle vene,

con un viso che non sorride

e due occhi senza luce.

 

 

 

 


MELODIE DEL CUORE

 

Ho riascoltato oggi,

dopo anni,

una musica che non sentivo più:

liuto, violino, arpa e chitarra.

Una cascata di suoni

che prima, la mia tristezza,

mi impediva di apprezzare;

le scale di chitarra

percorse da dita alate;

i trilli del violino

suonati da un archetto fatato;

le note del liuto

toccate con dolce armonia;

le fantasie dell’arpa

cercate fra una miriade di corde;

ma la mia anima, prima, non era serena;

e non c’è mente più chiusa di quella

che non si vuole concedere!

Ma oggi, di nuovo,

ho apprezzato quelle melodie

e che gioia sentir cantare nuovamente il cuore!

 

 

 

 


LA VOCE DEL CREATO

 

Musica nell’universo

come di mille strumenti

agli occhi nascosti

ma palpitanti di ancestrali note.

Armoniose spirali si diffondono,

vagano sospinte dal vento,

cullate dalle onde del mare,

vestite della tenerezza di un’alba,

del riverbero infuocato di un tramonto.

Melodie piovono dal cielo stellato,

scivolano sui raggi di luna

e si librano nel silenzio della notte

come nenia al sonno degli umani.

Suoni sublimi rapito percepisci

se incontri il languido sguardo di una donna

o il candido sorriso di un bambino,

se chi soffre con gli occhi ti ringrazia,

grato apprezzando una tua carezza.

Non soltanto gli artisti hanno sensi

per cogliere il bello della vita:

basta lasciare fuori da se stessi

il fragore del mondo

ed ascoltar la voce del creato,

di ciò che ci circonda e che ci parla

di quanto la Natura ci ha donato.

 

 

 

 

 


STILLE DI SENTIMENTI

 

Stille di sentimenti

imperlano i miei occhi,

scavano solchi sul viso,

scendono lunghe e piovono

su questo foglio vuoto.

Lacrima il mio pensiero,

piange il ricordo

di un passato lontano

che più non può tornare

immobile come mummia imbalsamata.

Di quel che avevo in mano

e distratto lasciai cadere,

di ciò che allora non colsi

ed incosciente sciupai

nulla più mi rimarrà.

 

 

 

 

 


GLI OCCHI DI UN BAMBINO

 

Guarda la luce

negli occhi

di un bambino,

osservane la purezza,

la voglia di scoprire,

l’innocenza.

Guardala attentamente,

fanne tesoro,

proteggila,

è il riflesso d’un angelo,

melodia del paradiso,

ninnananna e girotondo di eternità.

Solo quella luce autentica

riuscirà a rimetterti

in pace col mondo,

sarà l’unica ragione

per cui valga la pena

vivere e sperare nel domani.

 

 

 


ELEVATI POETA

 

Elevati, poeta!

agita forte le ali della fantasia

e portati in alto,

dove non giunga il rantolo

di questa umanità morente,

il fragore delle armi,

la disperazione degli oppressi.

Allontana dallo sguardo

le brutture di un mondo

contaminato e contorto.

Immergiti nell’argento lunare

e fatti specchio per riflettere

su questa derelitta terra,

un raggio rubato al sole

che illumini le menti

e sia speranza d’un futuro migliore.

Eleva, ispirato Aedo,

un canto di pace che come neve

scenda ad ammantare le valli

ed addolcire i cuori.

Celebra la Natura,

che pur maltrattata e stanca,

ogni giorno si veste di bellezza

per far felice l’uomo.

 

 

 

 

 


I VECCHI

 

E guardo questi volti stanchi

il mio cuore e la mia anima

si aprono a nuove sensazioni profonde

di indicibile tenerezza

che mi conducono alla scoperta di un mondo

a me prima sconosciuto.

Provo a ridisegnare la vita di ciascuno di loro

anime vaganti in un limbo immaginario

ma così terribilmente reale

quasi tangibile.

così disperatamente soli, avviliti, scoraggiati

invecchiati di fuori ma tornati bambini di dentro.

Menti brillanti un giorno ormai lontano

ora prigioniere di se stesse

dove le parole che escono dal cuore

diventano solo suoni col sapore salato

delle loro lacrime non viste,

vecchi considerati morti ancor prima di esserlo.

Sarebbe così semplice capire, provare nella profondità di noi stessi

tutti i sentimenti che ci propongono

inconsapevolmente queste anime silenziose

che forse non hanno avuto il tempo di dire, ieri:

“Io vado. Esco di scena.

Ti lascio il palco della vita; il prossimo atto è tuo”.

 

 

 

 

 

 

 

SCONVOLGIMI

 

Trascinando la mia anima per i capelli

portami   negli oceani più tumultuosi,

facendo ondulare nelle profondità

il mio esile essere come un fuscello.

Poi di corsa

trascinami nei deserti più arroventati,

con migliaia di serpenti ai miei piedi

in modo che io possa atterrirmi.

Quando tu mi prendi il cuore e lo stomaco

sei peggio di un cancro

non hai pietà

mi annienti, mi distruggi.

Spingimi da altissime cascate

e lanciami giù per lasciarmi affogare nelle acque impazzite

facendomi percepire il vuoto assoluto

più terribile della stessa imminente fine.

Segregami in caverne

popolate da infimi animali

che possano succhiare

quasi tutto il mio sangue.

Fammi sostare in vallate sconfinate perennemente ghiacciate,

abitate da enormi rapaci

pronti ad affondare i loro poderosi artigli

nella mia povera carne.

Sii spietata e crudele con me

perché sai esserlo se vuoi

questa è la tua essenza di donna angelica

pronta all’occorrenza a diventare diabolica.

Svegliami nel cuore della notte

accelerando i miei battiti all’impazzata

e poi via nelle foreste più nere

tra il rumore assordante delle piogge battenti.

Voglio che tu mi faccia sentire

il suono minimale della follia,

mordimi quando fai l’amore con me

mischia sangue e orgasmo, orgasmo e sangue.

Fammi raggiungere le cime delle montagne più alte

ed ascoltare il fortissimo sibilo del vento,

poi giù nelle grotte più oscure e remote

dentro l’occhio di uragani giganteschi.

Sarò nudo come un verme

ma tu indifferente ai miei lamenti

mi lascerai schiavo di dolorose tagliole

coi miei piedi lacerati da piaghe.

Insieme a te avrei voluto tante volte morire,

guardami!

mi è rimasta soltanto

un po’ di compassione per me stesso.

Se mi farai tutto questo

io ti amerò di più,

amore mio

sconvolgimi!

 

 

 

 

 

 

PICCOLO RIVOLO

 

Ascolto il ruscello

mentre lento ma eterno

scorre assieme ai miei pensieri,

ai ricordi di una vita.

Gocce distillate

dal suono fresco di purezza

scendon giù dalla montagna

per finire chissà dove.

Solo io e te piccolo torrente

potessi seguirti,

tornando ad esser innocente bambino,

e lievemente carezzar le tue sponde.

Percorrere strade di verità

che solo tu sai attraversare

che noi umani abbiamo da tempo perdute

sulla nostra zattera ormai alla deriva.

La sapienza è sconfitta

la ragione calpestata,

è la speranza del domani che è morta

e con essa l’amore.

Ormai niente di questo mondo

somiglia più a te, casto ruscello!

Lascia che io stia qui vicino a te piccolo rivolo

ad imparare cose che solo tu puoi dirmi

con la musica delle tue limpide acque

col silenzio delle tue magiche parole.

 

 

 

 

PRIGIONIERO

 

Non ho mai chiesto di esser nato

ma è ugualmente avvenuto,

non è quello che volevo

indossare ogni giorno una maschera diversa

tanto da non sapere più chi sono

per chi vivo e perché.

Prigioniero di questo corpo

prigioniero di questa anima

prigioniero di questi pensieri

pensieri che ogni giorno si infrangono in me come onde forti

spinte dalla rabbia del mare

senza smettere mai.

L’odio, l’amore

la vita, la morte

la gioia, il dolore

che senso c’è in tutto questo?

se non il fatto di essere prigioniero di me stesso

prigioniero sino all’ultimo respiro.

E poi alla fine di questo incubo che cosa resta?

Una fredda tomba?

Solo il pensiero della pace

può darmi sollievo

quella   pace che non ho mai avuto

da prigioniero di questa carne,

una pace vera, finalmente!

senza più onde.

 

 

 

 

 

DI NOTTE

 

Di notte tutto è diverso,

e cambia aspetto

e anche il freddo

può divenire calore.

Di notte tutto è più intimo,

c’è chi si abbraccia per dormire,

chi per passeggiare,

chi per far festa,

e anche un randagio,

cane o uomo che sia,

può suscitarti tenerezza.

Di notte puoi essere quello

che di giorno non sei,

forse perché non ne hai il coraggio,

c’è chi si spoglia di quelle vesti non sue

obbligato ad indossarle col sole

finalmente libero di essere se stesso.

Di notte puoi sognare,

nasconderti

amare

fare ciò che la mente vuole

ed entrare in contatto con anime

che di giorno non puoi mai vedere.

Di notte tutto è più romantico,

ti guarda la luna dal cielo

e brillano su te le stelle

torni dentro le favole dei bambini.

Di notte fai l’amore nei posti più incantevoli,

in quelli più assurdi

spariscono i tabù, si cancellano le inibizioni.

Di notte rifletti

preghi

crei opere d’arte.

Di notte non ci sono fantasmi

esistono solo di giorno nella tua psiche

ma con l’aiuto delle ombre puoi liberartene.

Altro che tenebre,

la notte è vita,

magia.

Di notte ti ritrovi,

di notte vivi

di notte avverti le emozioni più forti.

Di notte tutto è possibile.

 

 

 

 

 

VAGO

 

Vado

ma in realtà vengo sospinto,

verso un destino ignoto

e vago senza luce;

avanzo a passi incerti,

non ho meta,

neppure so dove la via conduce.

Spesso smarrito

guardo alle mie spalle,

alla già lunga strada che ho percorso

ed avvilito resto a meditare

quanto del tempo mio

sia già trascorso

e quanto ancora me ne rimane.

Rivivo ore di dolore e gioia,

rivedo visi amati,

e sento a volte in lontananza

suoni di campane

scandire l’ore al buio della notte

quello stesso suono che avvertivo

nelle mie inquiete notti di fanciullo.

Mi ritrovo di colpo

ragazzo spensierato,

giovane speranzoso ed incosciente,

capace d’inseguire con coraggio

sogni che dominavano la mente;

non so esattamente cosa mi prende

ma in quegli attimi io mi sento rinascere.

Ma cosa resta in fondo

di ciò nel mio presente?

forse un po’ d’esperienza ormai acquisita

qualche gioia che mi diletto a ricordare,

tristi rimpianti d’un’età beata

ma nulla più

che possa riempire questo incolmabile vuoto.

Vorrei sedermi un poco a riposare,

ma l’impietoso tempo non consente:

bisogna andare avanti senza pause,

incontro all’al di là, a cercare il niente,

darei miniere di soldi, maturità e saggezza dell’età adulta

pur di riavere in cambio anche solo un briciolo

della mia perduta adolescenza.

 

 

 

 

 

VOCI NOTTURNE

 

Scende la notte

sulla valle intorno

brillano in cielo

da lontan le stelle

la vita immersa

in un languor di pace.

Pur nel silenzio

voci vaghe s’odono

a tratti

altre

più ancor

distinte.

Fremiti di fronde

gracidii di rane

squittir d’alati

e d’animal notturni,

poi silenzio assoluto, più ombre e nulla

e fioche luci lontane.

O immenso buio

chi può dirmi

se riposa alfin

ciascun mortale

e se son pianto

le notturne voci?

 

 

 

 

 

 

 

 

SORRIDI

 

Sorridi!

Il tuo sorriso

illumina la stanza.

Sorridi!

È un giorno in bianco e nero

che si veste di arcobaleno.

Sorridi!

E l’uva si fa vino

il grano pane.

Sorridi!

Come un bambino che gioca

come una ragazzina nel suo primo amore.

Sorridi!

I primi raggi del mattino

han già vinto le ombre.

Sorridi !

La tristezza andrà via

ogni lacrima scomparirà dai tuoi occhi.

Sorridi!

Fa’ che ci sia allegria nel cuor

non abituarti mai al dolore.

Sorridi!

Fino a stancarti le labbra

mostrando i denti.

Sorridi!

Fino a quando non ti addormenterai

sorridi ancor e sempre.

 

 

 

 

 

 

VOLARE IN ALTO

 

Tentare, osare, ardire,

senza posa cercare,

nulla dietro lasciare.

Non affogare nella tristezza

reagire senza mai arrendersi

credere in se stessi.

Degli audaci è la vittoria,

di chi al cielo dirige lo sguardo

e mediocrità disprezza.

Sono i vermi che strisciano

presto preda dei rapaci

che volteggiano nell’aria.

Indirizzare la mente

verso grandi ideali,

ambire l’irraggiungibile.

Inseguire i propri sogni

anche per spinosi sentieri,

incuranti degli insuccessi.

Pretendere il meglio in assoluto,

volare alto e un dì potersi dire:

ho fatto tutto ciò che ho potuto.

 

 

 

 

 


A ME STESSO

 

Non può esser finita se non è manco cominciata!

Hai toccato il fondo, non puoi scendere di più.

La vita è fatta di alti e bassi.

Solo quando

sei nel punto più basso e non vuoi morire

puoi dire che è arrivato

il momento di tornare su

ma come si fa a risalire

se non si ha il coraggio

di cambiare?

E se cambiare

per te vuol dire solo

ritornare

al punto di partenza?

Allora datti una smossa finalmente, è colpa tua! Lo sai

non piangerti addosso e reagisci in una nuova vita che ti somigli davvero.

Forse all’inizio ti sembrerà duro o impossibile

ma poi cambierà vedrai, sarà la tua rivincita

ma solo se tu lo vorrai veramente

dipende solo da te

e da nessun altro. Puoi cambiare quello che è stato e cancellare il passato.

Guarirai solo quando lo crederai davvero

e sarai un uomo nuovo se ti convincerai di riuscirci, ritroverai la strada trasformando il destino

sì! ce la farai, tu vincerai.

 

 

 

 

 

 

L’IMMENSO

 

Né più ti basterà

guardare il granchio

assiso sulla riva,

il sasso assiderato,

il lombrico nella crepa

e svolazzi radenti

di lucustre.

E più in là, sulla battigia,

il cannolicchio pesto,

e scheletri di carpe,

e legni secchi,

come gemiti di croce,

pallide alternative al vivere

in un mondo fatuo.

Tenderai lo sguardo oltre

l’azzurro planare dei gabbiani,

dei densi fumi che chiudono

della marina l’ultimo orizzonte

ov’uomo eterna, l’arcano.

Finalmente avrai l’Alternativa

ti arricchirai d’immenso.

 

 

 

 

 

 

 

SERENITÀ INTERIORE

 

Vivi in serenità

per come ti riesce

e ricorda ogni giorno

che non può piovere per sempre.

Nelle mattine di primavera

segui con gioia

il risveglio della natura

ed il sole che diventa più giallo.

Non pensare che il mondo

sia sempre pronto a prendersi gioco di te

ma fai in modo, con tutte le tue energie

che questo non accada.

Nei pomeriggi d’estate

respira profondamente l’aria dopo i temporali

e apprezza liberando la mente

quei pochi attimi di frescura.

Con i tuoi cari e con il prossimo

sii sempre leale e sincero:

il rispetto per gli altri

è la più grande virtù.

Nelle sere d’autunno

osserva le prime nebbie

che avvolgono la terra

e comincia a mandare i pensieri lontano.

L’essere umile ti aiuterà con forza

ogni giorno

anche quando dovrai lasciare

tutte queste cose, nei momenti difficili saprai chi ti vuol bene.

E ti siano d’ausilio tali pensieri

per poter guardare il buio delle notti d’inverno

con tranquillità, con la stessa tranquillità

con cui avrai seguito il sole di primavera.

 

 

 

 

 

È LA VITA

 

Una margherita gialla in un campo di grano

guardarla e di colpo scoppiare a ridere senza motivo

che buffo!

e sentirsi improvvisamente bambino

e ridere, correre, aver voglia d’abbracciare

tutto ciò che s’incontra per la strada:

un cavalluccio marino sulla sabbia

una giornata di vento,

un mandarino sull’albero,

mille chiese

una rondine che vola

sola!

Tutto sembra un meraviglioso e pittoresco quadro

dipinto di colori coi pennelli

dal più grande artista di tutti i tempi.

E continuare a guardarsi intorno

scoprendo ogni cosa con stupore e meraviglia:

un gatto sul tetto dormire come fosse in un comodo letto,

il sorriso smagliante di un viandante,

il rumore di pioggia battente, la luce del sole,

il gallo che canta, l’arcobaleno che ride,

è tutto così strano, così…magico!

È la vita,

semplicemente la vita!

le sue forme, i suoi colori, i suoi odori, i suoi sapori.

È la vita che ti prende

ti porta con sé

e voli su immagini di sogni

fantastici ed irreali

fanciulleschi e spensierati.

E non smettere proprio mai di ridere, correre, abbracciare

lo sguardo sereno si posa su ogni cosa, il mondo sembra tutto rosa

mentre l’anima si sveglia immersa nel giallo dell’autunno,

si abbandona all’ebbrezza dell’estate,

alla neve bianca dell’inverno

ai   papaveri rossi di primavera.

E il pensiero corre… corre come un fiume in discesa

e s’infiamma come la brace sul fuoco

poi diviene alato come un airone libero

mentre corro senza stancarmi, guardo il cielo felice, respiro l’aria

mi sento vivo…vivo…vivo… vivendo la VITA!

 

 

 

 

 

RECITAZIONE

 

Contorti, sofferenti

i miei pensieri ballano tetre danze

nella mente sconvolta da antico dolore;

gelido il sorriso sulle mie labbra,

forzato, quasi un ghigno beffardo,

mistificazione di gioia, paravento

di un’amarezza che tutto mi pervade

e che stroncare mi vuole.

Arduo è vincere la voglia di cedere,

di arrendersi senza un grido, un lamento,

dicendo solo: basta… hai vinto!

Poi l’abbandono cede alla speranza,

alla rabbiosa riscossa, al sano orgoglio:

rispetto mi devo, risorgere occorre,

ridestarsi dal torpore!

Ed anche se a denti stretti

e nascondendo le lacrime,

mi ridipingo un sorriso sulla faccia

e riprendo a recitar la mia commedia.

 

 

 

 

 

 

VIVI

 

Vivi ogni momento

come se fosse

prossimo a sbocciare,

come il gambo

ha il suo fiore,

come l’alba

il suo sole

e poi…

viversi

sfiorarsi,

lasciarsi andare,

quanto è delizioso

sorprendersi!

Ma non temere

non c’è un tempo

per appassire,

e nel tramonto

non c’è fine

sai,

nella tua purezza

ogni vita si rigenera.

Non cercare altrove la felicità

vivila dentro di te.

 

 

 

 

NELLA VALLE DEI SOSPIRI

 

Notte tetra, l’anima è in tormento

nella vicina foresta sibila il vento,

occhi stanchi, tristi e doloranti

scorgono immagini aberranti,

i solchi della mente luoghi speciali

per accogliere pensieri innaturali,

sarà stanchezza o malinconia

oppure un eccesso di fantasia,

vedo gli avvenimenti del passato

che sino a qui mi han trascinato,

pezzi di un mosaico mai risolto

umana condizione che affligge molto,

come un rebus senza soluzione

ti conduce all’eterna dannazione;

rifuggo in un sonno riparatore

come una preda dal cacciatore,

la mia anima vagabonda all’infinito

cercando il sollievo che m’ha tradito,

naufrago smarrito nel mare dei pensieri

amici ambigui di oggi e di ieri,

giungo sulla riva immaginaria

di un isola fatata e solitaria,

percorro il mio strano cammino

noto solamente all’ente divino,

vedo anime raminghe e vessate

con colpe non ancora scontate,

giungono le voci e i molteplici respiri

di spiriti che abitano la valle dei sospiri!

 

 

 

 

 

NON HO ALIBI

 

E non ho alibi

in questa mia follia

spartito senza note

per muto concerto.

Non ho domande

in questo mio deambulare

nel baratro

del vuoto.

Vago nel sentore

di una parola senza senso

partorita dall’astrazione

della non memoria.

Come onda del mare

si abbatte

irruente

sullo scoglio,

così

i ricordi miei

incontenibili

tornano.

 

 

 

 

 

 

LA SOLITUDINE DEL POETA

 

Nella spirale dell’indifferenza

a denti stretti plasmi parole,

e la notte dipani nuvole di sogni

per adagiarvi morenti illusioni

crocifisse ai remi

del quotidiano andare.

Poeta, troppo spesso la tua gioia

è fatta solamente di parole:

germogli nutriti di dolore.

Vesti abiti di solitudine,

nascondi le tue delusioni

dietro maschere di cortesia,

chiuse nel bozzolo del silenzio

indelebili le tue speranze

attendono ancora il sorgere d’impossibili aurore:

sempre spente

dal cader dello sguardo nel riflesso

inesorabile dello specchio.

Sulle labbra costantemente preme

insoluta la domanda:

Quale la mia sorte?

Il senso vero di me?

sei solo poeta

molto più solo di chi ti legge.

Un’infinità di pupazzetti sparsi per casa mia

gli unici miei amici.

 

 

 

 

 

 

 

RIFLESSI DI LUCI

 

Mi perdo nei suoi occhi

nelle notti che mi mancano,

approdo nelle sue labbra

come vascello nella quieta baia,

godendo attesi ritorni

di perpetue partenze.

Rileggo la mia vita

nello specchio del suo volto,

lancio la mia anima nel baratro dell’infinito

per coglierne il senso pieno

e inalterato da scure visioni,

rapito da trepidanti attese.

Ripercorro i viali alberati,

odorosi di glicini essenze,

ritrovo garrule le rondini

e miti le primavere consumate

e tutto mi appare buono,

e tutto mi appare vero;

Dal posto del suo sguardo

anche l’universo sembra più lieve,

distanti

riflessi di luci

mi riportano indietro nel tempo

rapito da antiche memorie.

 

 

 

 

 

 

LINFA VITALE

 

Linfa vitale

uscita intatta dal tempo dei millenni

come il respiro della storia all’albe di tutti i giorni

come melodia d’infinito

rubata ai venti della tua terra

come i presagi

rapiti a nuovi orizzonti

per la salute dei vivi.

Ma la luce dei tuoi anni va oltre il tempo

ed accende riflessi nuovi

la morta gora dei secoli.

Oh, i giorni laboriosi

nella vecchia casa degli ulivi!

Intorno alle derelitte pietre

che sanno di stagioni spente

un albeggiare di primavere

accoglie l’umile ancella

mossa dal fiato di Dio.

L’esile rete luminosa

infiammerà l’infinito

ed aprirà ai secoli il nuovo tempo.

Ora

sul tuo volto d’estasi

che ogni nube dislega

l’essere profondo del tuo amore di Madre

affranca l’anelito e l’ansia dei vivi.

E non importa se dolore a dolore

ti recheranno ancora figli

domani:

come ieri, come oggi, come sempre,

le tue mani s’illumineranno di grazia

e i tuoi occhi piangeranno di luce.

 

 

 

 

 

VECCHIA SIGNORA

 

Su di un comodino scordato,

stipato in un angolo scomodo,

riposano gli impolverati belletti:

perlate polveri ed odorosi olii,

antiche maschere artificiali.

Solo Follia ora copre i tratti,

sfatti dalla voluttà e dal tempo,

truccando a suo modo il volto:

sangue sulle languide labbra,

cenere copre gli stanchi occhi.

Davanti allo specchio venato,

cerchiato di stelle spente,

scende il sipario sullo spettacolo:

malsano ghigno s’apre tra le dita,

rigide sbarre tra Lei e la realtà.


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in foto Claudio Cisco

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